03 agosto 2016

E finalmente si vede il cielo

 
Si sono concluse le Sette Stagioni dello Spirito di Gian Maria Tosatti a Napoli. Dove la città è metafora dell’essere umano e dove in fondo c’è la possibilità della salvezza

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Napoli quartiere di Forcella, un nome che evoca violenza, un luogo degradato che negli anni passati ha giocato un ruolo decisivo nelle logiche di camorra della città. In questo ghetto, Gian Maria Tosatti ha deciso di realizzare la sesta tappa del suo percorso mistico e sociale che, nel corso degli ultimi tre anni e mezzo, ha messo in opera all’interno del ventre della città partenopea. Questo complesso lavoro di riflessione sulla città, vista come una grande metafora dell’essere umano, è stato realizzato attraverso degli interventi site-specific in alcuni edifici abbandonati in cui è rimasto vivo il genius loci che l’artista rivitalizza attraverso dei potenti scarti percettivi. 
Sette le tappe del percorso ascensionale mediato dalla struttura in sette stanze del Castello Interiore scritto nel 1577 da Santa Teresa d’Avila che, utilizzando la metafora del castello, dimostra come Dio esista all’interno della nostra anima. La vita è come un castello, un castello di nostra proprietà, al cui interno è la camera da letto dove il Signore, padrone del castello e nostro amante, ci attende. Ma noi siamo fuori del castello, alle sue porte, a chiedere l’elemosina, senza comprendere che quel castello è nostro e vi possiamo entrare come e quando vogliamo. Viviamo di carrube fuori del castello, eppure ne siamo i proprietari. Questo in sostanza il monito che attraverso i suoi scritti ci rivolge la Santa, ogni uomo ha la facoltà di entrare nel castello solo se lo vuole. Il castello interiore descrive quindi un viaggio spirituale, il cui scopo è l’unione d’amore con Dio.
Per Gian Maria Tosatti le sette tappe del suo percorso di elevazione corrispondono ognuna ad una stanza, dalle più periferiche fino a quella centrale, quindi dall’inferno della prima tappa al paradiso di questa sesta e penultima.
Gian Maria Tosatti, Sette Stagioni dello spirito /7, Terra dell'ultimo cielo
Il Paradiso in terra non è certamente l’Eden dai fiumi di ambrosia dei vangeli né il luogo popolato da vergini vaneggiato dai fondamentalisti islamici ma, secondo Tosatti che con la sua pratica da sempre si interroga sul ruolo dell’artista all’interno della società, è il luogo dove si compie l’esperienza della nostra identità.  Lentamente, opera dopo opera, tappa dopo tappa, si è venuta definendo quella che è l’immagine del protagonista di questo immane lavoro: il visitatore. Nella quarta tappa Ritorno a casa realizzata nell’ex ospedale militare il visitatore per la prima volta comprende che, in quel Purgatorio, è lui il protagonista non solo del lavoro in cui si trova immerso ma della sua vita.  Il confronto con se stessi è spiazzante e intenso e la solitudine, che si avvertiva camminando per quei corridoi deserti e tutti uguali, era dolorosa. Ogni installazione ambientale creata dall’artista ha avuto la funzione di un potente macchinario scenico che induceva lo spettatore a compiere un’azione involontariamente performativa. 
Il Paradiso è il contrario dell’Inferno e quindi non può che essere dominato dall’azione e dalla volontà di perseguire il bene. Il Paradiso a Forcella è un sogno che è stato costruito insieme alla collettività. Uno spazio ex industriale, un borsettificio, con la serranda ancora crivellata dai colpi di un’arma da fuoco è stato utilizzato per un mese come luogo di incontro e di aggregazione. Il fantasma del lavoro che c’era e che non c’è più aleggia in queste sale abbandonate, in questo luogo ferito e maltrattato da curare e sanare come se fosse un corpo malato. I bambini del quartiere hanno fatto il miracolo, si sono affacciati, sono entrati, hanno chiesto e si sono espressi con il linguaggio dell’arte: pittura, musica, l’idea di fare un giornalino di quartiere. Il suono di un violino ascoltato per la prima volta da un bambino, considerato difficile, e che ne è rimasto incantato e vorrebbe cominciare a studiarlo è forse il miracolo più tangibile. Questo “Paradiso del fare” è la conseguenza morale delle opere precedenti e non si tratta di un’opera d’arte relazionale come ha teorizzato a metà anni Novanta Nicolas Bourriaud perché, in questo caso, l’opera d’arte è fatta dalle persone, e le persone che agiscono sono la tecnica, sono i pennelli, i colori, la creta…
Gian Maria Tosatti, Sette Stagioni dello spirito /6, Miracolo
Il Paradiso a Forcella è un potente dispositivo che tende al miglioramento costante non solo di chi ha la voglia di entrare, ma anche dei suoi spazi che giorno dopo giorno sono cambiati in meglio. Ci sono opere d’arte che possono cambiare la vita di chi le fruisce e questa potrebbe essere una di quelle.  
La settima e ultima tappa del percorso di ascesi concepito da Tosatti è ospitata nella chiesa dell’ex Ospedale militare di Napoli, all’interno del Complesso della Santissima Trinità delle Monache, che l’Università Suor Orsola Benincasa sta recuperando, nell’ambito di un ampio progetto di restauro. 
Questo epilogo, necessario dato che nella sesta tappa non c’era nessun portato visivo, è un percorso ascensionale in cui lo spettatore è obbligato a guardare, attraverso lo specchio dello spirito, al suo passato.  Al primo piano dello stabile fatiscente e semi-crollato c’è un vetro-specchio sopra un lavabo, al di là di questa membrana che sembra dividere due mondi c’è un corridoio con una lunga fila di vecchi banchi di legno. Un’installazione che l’artista aveva già presentato in Estate, la seconda tappa, una stagione dominata dall’inerzia e dall’accidia e che qui viene riproposta come memoria del nostro passato. Tutti siamo passati attraverso questa faticosa stagione dello spirito che adesso possiamo osservare da un’altra prospettiva.
Gian Maria Tosatti, Sette Stagioni dello spirito /7, Terra dell'ultimo cielo
Questo “Fondo del Paradiso”, per parafrasare Dante, questa Terra dell’Ultimo cielo, che non è una tappa di arrivo, ma il punto da cui poter partire con la consapevolezza di se stessi, è specularmente uguale all’Inferno ma si differenzia da quel luogo per la luce, la vita, il cromatismo abbagliante della sabbia bianca con i raggi del sole che ci si riflettono rendendo l’interno di quel luogo come bagnato da una luce dorata.
All’ultimo piano c’è una stanza chiusa, l’ex cappella privata delle monache, l’altare è ancora lì, maestoso e intatto nonostante il degrado che lo circonda, e quel luogo è quanto di più simile ci possiamo immaginare quando pensiamo alla pace di un Eden. Decine di uccellini gialli e arancioni, svolazzano cinguettando e posandosi sugli alberelli che l’artista ha piantato nel pavimento ricoperto di sabbia dal biancore accecante. Dietro l’altare una grande lastra di vetro si affaccia su un ambiente domestico con il pavimento ricoperto da frammenti di vetro. Stare nel mondo per gli esseri umani è come camminare sui vetri, se si scivola ci si ferisce. Il monito è che l’illuminazione ha sempre un equilibrio precario e anche se si è andati molto avanti si può sempre tornare indietro e precipitare nelle secche del Purgatorio o nell’immobilismo amorale dell’Inferno.
Anche in quest’ultima tappa le guide spirituali dell’artista sono state Santa Teresa e Dante, ma il Virgilio di questo viaggio è stato lo scrittore, poeta e filosofo francese Renè Daumal, che nel Monte Analogo (rimasto incompiuto per l’improvvisa morte dell’autore nel 1944) racconta di un viaggio verso un luogo in cui gli esseri umani sono obbligati a guardarsi dentro per poter distinguere il vero dal falso.
Questa tappa riassume tutti i capitoli precedenti in una grandiosa ed esteticamente suggestiva visione ricapitolativa in cui viene sottolineato come il Paradiso sia un luogo che è all’interno della nostra anima.
Paola Ugolini

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