29 settembre 2018

Echi e sguardi sull’io

 
Per le undici nuove sale di Palazzo Barberini una collezione di ritratti e riflessioni sull’identità, da Caravaggio a Giulio Paolini. Con un collaborazione speciale

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Un nuovo avvincente capitolo nella serie di mostre organizzate dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica, è stato scritto sotto la direzione di Flaminia Gennari Santori: fino al 28 ottobre, Palazzo Barberini ospiterà la mostra Eco e Narciso. “Ritratto e autoritratto nelle collezioni del MAXXI e delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini”, nata dalla collaborazione tra i due musei.
La partnership tra le due istituzioni segna un punto fondamentale perché dimostra che il dialogo tra enti, anche di diversa impostazione, può favorire la nascita di iniziative di notevole qualità scientifica e stimolare il dibattito culturale, altrimenti abbastanza appiattito dal solito circuito di mostre con scarso valore artistico create ad hoc con l’intento principale di fare bigliettazione. 
Questa esposizione è un evento in sé: infatti costituisce l’occasione per inaugurare i nuovi spazi del piano nobile dell’edificio, dopo la soluzione dell’annosa questione – durata 70 anni – legata alla presenza del Circolo Ufficiali delle Forze Armate. Finalmente Palazzo Barberini può ampliare la superficie espositiva con ulteriori 11 sale che saranno utilizzate per ospitare collezione e mostre temporanee. 
È in questi nuovi ambienti che si svela il progetto “Eco e Narciso”, imperniato sui rimandi semantici che legano le opere di arte moderna e quelle di contemporanea: si tratta di una riflessione sull’identità e sul suo significato, che si snoda lungo un percorso dove antico e contemporaneo si incontrano. Non una novità di per sé, basti pensare a quello che sta facendo la Galleria Nazionale di Arte Moderna, seppur con una forbice temporale più ristretta, ma comunque un lavoro davvero interessante. Il ritratto e l’autoritratto come manifestazione di un’identità: a volte cristallina nella sua espressione, altre volte più tormentata. 
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Eco e Narciso. Ritratto e autoritratto nelle collezioni del MAXXI e delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini, Paolini, Caravaggio, Foto Alberto Novelli

Dipinti realizzati secoli fa in stretto rapporto con le opere d’arte di oggi: e se alcuni abbinamenti appaiono un po’ forzati nella loro lettura comune, come ad esempio il ciclo delle ore di Ontani collocato nello scenografico salone dominato dal trionfo barocco di Pietro da Cortona, dove il concetto di tempo viene indicato come humus comune, la maggior parte risultano efficaci: esemplificativo dell’idea di base della mostra è l’incontro tra il Narciso, attribuito a Caravaggio, e l’installazione Eco nel vuoto di Giulio Paolini. Il giovane ragazzo della tela, osserva la propria immagine in uno specchio d’acqua: tuttavia la sua identità è distorta da un’opaca oscurità. Nel lavoro di Paolini, un serie di riflessi e di frammenti di specchi sembra moltiplicare l’inquietudine del Narciso seicentesco, mentre Eco è tragicamente rappresentata mentre precipita sulla roccia che la disperderà per sempre. In questo caso l’immagine spezzettata o avvolta nel buio sembra negare un’identità che è percepita solo attraverso il ricordo del mito. Tra l’altro, vedendo dal vivo questo dialogo, la suggestione aumenta ulteriormente perché l’ambientazione è la stanza ellissoidale progettata da Gian Lorenzo Bernini: il contenitore aggiunge un plus al contenuto. 
La rotta a questo punto (siamo solo alla seconda sala) è tracciata e il visitatore si appresta a navigare in questo pelago di continui rimandi, stimolanti e sorprendenti, dove capita anche che icone femminili del passato si trovano a interagire con celebrità del presente: Natalie Portman, protagonista dell’installazione video di Shirin Neshat, artista che ha incentrato il suo lavoro sull’emancipazione delle donne, interpreta un personaggio sospeso tra la dimensione  onirica e quella reale, dove il bianco e nero accentua l’effetto straniante e di inquietudine, in fuga dai propri fantasmi. Demoni con i quali ha dovuto fare i conti il personaggio raffigurato in una tela a pochi metri dal vivo: la, presunta, Beatrice Cenci attribuita, con molti dubbi, a Guido Reni. Eroina e oggi simbolo della lotta delle donne contro il giogo imposto dalla società patriarcale che, allora come oggi, in troppe parti del mondo, le tiene ostaggio di paura e oscurantismo. 
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Eco e Narciso. Ritratto e autoritratto nelle collezioni del MAXXI e delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini, Schinwald, Giordano, Reni, Foto Alberto Novelli
Nel continuo del percorso espositivo la sovrapposizione tra i significati legati alla rappresentazione dell’identità con temi denuncia di attualità sono frequenti: è la bellezza di questo dialogo e la potenza dell’arte che cristallizza valori sempre validi e che eleva le immagini a simbolo. 
Anche in questo progetto le Gallerie Nazionali, continuano a porre l’attenzione sulla valorizzazione di opere meno note al grande pubblico. Infatti tra quelle più interessanti che fanno parte collezione di Palazzo Barberini, una poco conosciuta è quella di Marco Benefial, Ritratto della famiglia Quarantotti (La famiglia del missionario). Si tratta di un dipinto del 1756 in cui il pittore romano ritrae la famiglia del giovane missionario Giovanni Battista Quarantotti: un soggetto tradizionale inserito però in un contesto diverso, lontano, esotico che serve per raccontare l’attività di evangelizzazione del sacerdote. Dopo aver terminato di osservare questo dipinto, lo spettatore si renderà conto che al di fuori del campo visivo è collocato un personaggio, The invisible man, realizzato dall’artista africano Yinka Shonibare. Si tratta di un individuo che porta un bagaglio, senza volto, e che immediatamente può essere associato alla famiglia, ma a un livello diverso: potrebbe senz’altro essere un suo servitore. È chiarissima la contrapposizione di significato tra queste immagini: la posizione altolocata espressa dal ritratto di famiglia, affermazione orgogliosa della propria identità e quella negata del servitore, fuori dal quadro, fuori dallo spazio del visitatore, dalla fisionomia indefinita, simbolo di un numero indeterminabile di persone vittime del colonialismo (che è poi uno dei temi di ricerca artistica di Shonibare). 
Mostra affascinante che espone capolavori di Raffaello, Bronzino, Luca Giordano, Gian Lorenzo Bernini, Richard Serra, Yan Peri-Ming: un interessante esperimento, riuscito, a cui bisognerebbe dare un seguito. Magari a sedi espositive invertite. 
Luca Liberatoscioli

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