23 giugno 2015

Entre la Idea y la Experiencia

 
Si è conclusa ieri la Biennale dell’Avana. Che si è concentrata sull’idea dell’ambiente in senso politico oltre che ecologico. E che è stata una grande opera collettiva relazionale

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L’idea della Biennale dell’Avana, curata come da tradizione da Jorge Fernández Torres, ruota attorno al ripensamento della storia e della funzione dell’architettura e s’incardina in un evento emblematico come la mostra che il Centro Wilfredo Lam ha dedicato nel 2014 all’architetto italiano Vittorio Garatti, invitato dall’architetto cubano Ricardo Porro nel 1961, appena dopo il trionfo della Rivoluzione, a progettare con lui le Scuole Nazionali d’Arte della capitale. Il progetto voluto da Fidel Castro e Che Guevara si iscriveva nel clima utopico dei primi anni della Rivoluzione, che poneva al centro il programma educativo della società. 
Nel quartiere più esclusivo dell’Avana cominciarono a crescere architetture immaginifiche e surreali, che ben presto vennero però abbandonate a favore di una razionalizzazione che si volgeva alla severità dello stile sovietico. Riprendere quel filo della storia ha un significato profondo oggi. Da una parte riflette sul rapporto arte-società. Non è un caso infatti che questa faticosa Biennale sia puntigliosamente disseminata per il territorio dell’Avana, tanto che il centro ufficiale della Biennale, il Lam, è solo un nodo in una rete formicolante di luoghi, che vanno da istituzioni pubbliche cubane, e non, a studi degli artisti, a quartieri rivivificati più che riqualificati a gallerie pubbliche e private, fino a spazi dismessi o semplicemente luoghi emblematici di passaggio degli avaneri come il lungomare. 
Questa Biennale quindi si è posta come laboratorio di collaborazione sociale e di studio collettivo, soprattutto in rapporto con gli abitanti di precisi quartieri della città. Recuperando e approfondendo istanze, già nate durante la Biennale dell’Avana del 2012. D’altra parte la storia presente è cocente e pressante: il riferimento va al clima riappacificato anche se non risolto con gli statunitensi. L’isola sta già riscaldando gli appetiti di privati, ma soprattutto di multinazionali che vorrebbero investire sul mattone, grazie alle sue grandi potenzialità turistiche. Non sarà facile resistere alle lusinghe, anche se tuttora uno straniero non può comprare casa a Cuba. Ma poi il grande problema sarà preservare l’affascinante esistente coloniale, senza farlo diventare una banale cartolina e tenere presente le esigenze, la storia e la cultura della popolazione, senza esautorarla dal suo territorio. Il problema quindi è quale sviluppo urbanistico e architettonico, se una ecologia anche sociale sostenibile è possibile oggi per tutta Cuba ed in generale quale futuro per l’isola.
Llegada al Fracaso
In modo esemplificativo le opere del Lam sono sintomatiche di un approccio problematico e interdisciplinare ai temi citati sopra. Tino Sehgal attraverso la sua abituale “delegated performance” offre denaro ai visitatori  in cambio della loro opinione sull’economia di mercato. Il messicano Gilberto Esparza si interessa dell’ecosistema focalizzandosi sui parassiti dell’aria e dell’acqua. Partendo dal progetto Plantas Nómadas, arriva qui con BioSoNot 1.2 (2015), un dispositivo che immagazzina acqua inquinata e, attraverso processi biologici ed elettrochimici, produce dei suoni. Nikolaus Gansterer (anch’egli, come Esparza, Honorary Mention ad Ars Electronica di Linz) con il suo The Eden Experiment II (The HaBana Abitat), 2015, sperimenta con due piante di tabacco l’effetto sulla loro crescita della musica classica – per la prima- e della musica nera metal cubana  – per l’altra. Riflette intorno all’effetto dell’ambiente sullo sviluppo delle forme di vita e, attraverso un video, intorno al rapporto tra produzione artistica e scientifica. Riferimenti all’ecosistema e al suono si ritrovano in Henri Tauliaut; alla tradizione culturale, che intreccia arte visiva africana e musica cubana, attraverso il culto funerario della religione sincretica cubana, nel nigeriano Victor Ekpuk; all’attualità cubana con graffiante ironia in Lázaro Saavedra (Premio Nazionale Cubano 2015); alla storia della Rivoluzione a Cuba attraverso un video in rapporto a un videogame cubano in Axel Stockburger.
Durante l’inaugurazione al Lam due performance collettive  polemizzano, contro la mercificazione dell’arte: No vendo nada di Dolores Cáceres o, contro l’emarginazione, utilizzando il linguaggio delle persone sorde attraverso la commovente traduzione in segni di poesie cubane da Nicolás Guillén ai rapper contemporanei da parte di membri della comunità cubana: Son en señas di Francisca Benítez. Alla fine della coreografia l’artista ha chiesto la liberazione di Tania Bruguera. Singolare la vicinanza con l’arte pedagogica di Nicolás Paris, che in vari incontri con studenti e professori ha approfondito il tema della traduzione linguistica della scrittura alfabetica in disegni. 
Nikolaus Gansterer, The Eden Experiment II (The HaBana Abitat)
Due gli italiani presenti con una performance: Michelangelo Pistoletto che ha ripreso la scontata idea della parata “alla cubana” circense e chiassosa, mentre il giovane Eugenio Tibaldi ha organizzato una partita a poker collettiva, facendo risalire pericolosamente la memoria ai tempi pre-rivoluzionari dei casinò. Il primo è portato, insieme a Anish Kapoor, Daniel Buren, Nikhil Chopra, Shilpa Gupta, José Eduardo Yaque, dalla galleria Continua, che ha aperto una sede all’Avana.  
Altro collettore istituzionale è la Plaza Vieja su cui affacciano la Fototeca Nacional, dove c’era la mostra del fotografo concettule Alejandro González e il Centro de Desarrollo de las Artes Visuales, dove erano raccolte soprattutto opere video o di sound-art e un’installazione esterna di Humberto Díaz, un gigantesco pilone che sovrasta il cortile e allude alla trasmissione “ad alta tensione” dell’energia e della comunicazione. A complemento le serate del Centro sono dedicate a dei concerti come quello di Carsten Nicolai
Tra gli interventi nelle librerie, ricorderei quello di Yornel Martínez artista e poeta visivo, che propone percorsi di lettura e visivi, anche con opere di altri artisti sul tema del libro. E riflette sull’editoria alternativa di Reina Marías Rodríguez, al posto del progetto sui libri posti sotto censura a Cuba, che non è stato accettato. 
Spostandosi al Vedado si va al Pabellón Cuba in co-curatela Cuba e Stati Uniti: fedele alla sua pratica attivista, Levi Orta propone El partido de Un Sol Hombre con tanto di statuto, che ha la finalità di promuovere l’arte come strumento politico. Al Foxa Felipe Dulzaides fa un omaggio alla memoria del padre famoso musicista. 
Duvier del Dago, vista dell'installazione
Nella grande rete di rapporti e relazioni multiple due possono essere considerati i nodi da cui si dipanano i fili di tutto l’evento: una frase di Joseph Kosuth nella Biblioteca Nacional de Cuba, presso la Plaza de la Revolución con il mitico obelisco e gli Ejercicios di Luis Camnitzer alla Casa de las Americas (luogo dove si svolge un importante premio internazionale sulla letteratura e la saggistica). 
Montañas con una esquina rota, a cura di Wilfredo Prieto (presente con una personale nel cortile del Museo de Bellas Artes), si svolge nella distrutta Fabbrica delle biciclette del Vedado ed evoca il rapporto con il passato e il suo resto o sparizione attraverso un pull di artisti internazionali. In questa ubiquità s’iscrive il presente di Gabriel Kuri che duplica gesti comuni a Cuba, come il riciclo delle lattine e l’aleatorietà di Roman Ondak che lascia poeticamente emergere il caso nel suo paracadute sospeso tra le rovine.
Termino con l’evento di apertura delle collaterali, del 21 di maggio, Zona Franca ospitata nella magnifica fortezza settecentesca del Morro-Cabaña. Un giorno dopo apre la Biennale, che chiude dopo un mese. Nel mare magnum ricordo: l’installazione con disegni di armi e bossoli veri sul pavimento di Arianna Contino e Alex Hernández presenti anche nella collettiva Crack sulla crisi finanziaria dell’importante galleria statale Habana. La collettiva Arrivo al fallimento con Carlos Aguilar, Antonio Gómez Margolles, Luís Gómez (parte del Padiglione Cuba della Biennale di Venezia), Ernesto Leal, Leslie è forse un’amara riflessione sulla situazione attuale di Cuba: il luogo è cosparso di macerie e di materiali di un cantiere ancora aperto. Poi ci sono le personali con i cieli tenebrosi delle folle “antiche” delle fotografie in bianco e nero di Liudmila & Nelson, il pentolone “delle streghe” sul cui bordo una fila di fragili omini sta in precario equilibrio di Roberto Fabelo (anche lui parte di Crack), il mucchio di terra di Ponjuan (Premio Nazionale Cubano nel 2014), la mappa di Cuba come territorio turistico di Ibrahim Miranda, la sovrapposizione di immaginari statunitensi e cubani nei paesaggi sfocati di Duniesky Martín e infine i disegni narrativi da cartellone pubblicitario vecchio stile di Duvier del Dago, partecipante anche alla mostra Detrás del muro che anima con innumerevoli opere il lungomare, meta serale imprescindibile degli abitanti della capitale. L’opera, intitolata Salvación, è composta da tre torri di legno alte cinque metri che terminano in una sedia da bagnino, una postazione militare, un confessionale. Metafore di controllo politico, sociale e spirituale, travestite da baluardi di salvezza collettiva. C’è dell’altro, naturalmente, sono 120 solo gli artisti della Biennale, senza contare le collaterali. Le gallerie, come la dinamica Génesis Miramar, gli studi degli artisti, come quello di Carlos Garaicoa. Ma terminiamo qui, senza spingerci più in là, verso il porto franco del Mariel, il futuro. 

Carmen Lorenzetti

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