10 marzo 2022

‘Habitat. Una riflessione sull’abitare gli spazi museali’ alla Fondazione Dalle Nogare, Bolzano

di

Per la nuova stagione del programma pubblico "Fondazione Live" la Fondazione Antonio Dalle Nogare presenta HABITAT, un progetto in più parti sul tema dell'abitare, organizzato in collaborazione con franzLAB

Fondazione Antonio Dalle Nogare. Ph: Jürgen Eheim Fotostudio. Curtesy Fondazione Antonio Dalle Nogare

Con HABITAT tre conversazioni tra Emanuele Quinz e Emanuele Coccia (lo scorso 8 marzo), Domitilla Dardi (il 15 marzo alle 19) e FormaFantasma (Andrea Trimarchi e Simone Farresin (il 22 marzo alle 19) aprono la nuova stagione del programma pubblico Fondazione Live. I dialoghi possono essere seguiti gratuitamente negli spazi della Fondazione Antonio Dalle Nogare e online su Facebook o Youtube.

Il progetto, organizzato in collaborazione con franzLAB, tratta «il tema del museo come habitat naturale per gli esseri umani, invitando gli ospiti a riflettere sulla vita possibile degli spazi museali e sul loro significato per la società contemporanea», hanno spiegato gli organizzatori. «Al termine dei dialoghi vengono proposte delle attività individuali, tipicamente svolte nell’intimità dell’ambiente domestico. In questo modo gli spazi della Fondazione si trasformano in una casa aperta a tutti». «In parallelo alla serie di conversazioni online e all’attivazione dello spazio fisico in Fondazione, – inoltre – sulle pagine di franzmagazine.com il tema dell’habitat verrà ulteriormente approfondito attraverso una serie di contenuti e interventi di altri ospiti ed esperti».

Ne abbiamo parlato con Emanuele Quinz, storico dell’arte e del design e curatore che conduce gli appuntamenti, e Anna Quinz, Creative Director di franzmagazine.

Il tema di questa serie di incontri è l’abitare. Quali aspetti ne volete indagare, in particolare? 

Emanuele Quinz: «Il punto di partenza degli incontri è la nozione di habitat. Intesa in senso largo come abitazione, ma anche come ambiente, come spazio di vita, spazio del vivente. Come ha sottolineato il filosofo Emanuele Coccia nel primo incontro, l’habitat non deve essere pensato come un presupposto fisso, immutabile, individuale, ma come una dinamica di interdipendenza del vivente, che connette l’umano all’orizzonte del cosmo. L’habitat non è solo una condizione, è un progetto.
Negli incontri, vogliamo mettere in relazione questa nozione di habitat con il museo – come spazio dell’arte. Spesso i due termini vengono opposti: da una parte la casa, la dimensione intima, protetta, dello spazio domestico, dall’altra il museo come luogo pubblico, sacralizzato dalla missione patrimoniale, scientifica, istituzionale o educativa; da una parte la vita con i suoi gesti ordinari, quotidiani, funzionali, ma anche con le trame affettive, con la massa di cose, situazioni e rituali che costruiscono la nostra individualità, dall’altra l’arte, portatrice di valori estetici e critici, che fonda l’identità di una cultura e di una comunità.
Invece di esplorare le divergenze tra questi due spazi – che implicano anche delle temporalità diverse, degli usi del tempo diversi – ci interessa mettere in primo piano le convergenze: quando e come un museo può farsi habitat o casa? E in che condizioni una casa (a diverse scale: dall’abitazione individuale o famigliare al pianeta) può diventare museo?
Partire da questo interrogativo e dalle esperienze e opinioni dei nostri interlocutori, ci permetterà di parlare del ruolo dell’arte e del design nella società attuale, in connessione con la nostra condizione di abitanti di un mondo in crisi. Allo stesso tempo, cercheremo di capire come il museo si è trasformato negli ultimi decenni, anche grazie all’impulso dell’arte contemporanea e del design, associando al suo mandato conservativo una missione esplorativa, come laboratorio di sperimentazione – non solo delle forme dell’arte del futuro ma soprattutto dei modi di abitare».  

Emanuele Coccia

Come avete scelto i vostri interlocutori? Quali punti di vista volte far emergere attraverso i loro interventi?

Emanuele Quinz: «Abbiamo scelto degli interlocutori con dei profili diversi, anche se legati tra loro da molte connessioni, sia professionali che “ideali”.
Emanuele Coccia, docente all’EHESS di Parigi e attualmente visiting professor all’Università di Harvard, è una dei protagonisti più autorevoli e radicali della filosofia contemporanea. Nei suoi libri più recenti – come La vita delle piante (Il Mulino 2018) o Filosofia della casa (Einaudi, 2021) –, Coccia propone di ribaltare la visione tradizionale dell’abitare, rileggendolo in una dimensione cosmica, non come una strategia di insediamento ma come un processo incessabile e universale di metamorfosi.
La sua visione ci permette di riconsiderare in modo critico l’antropocentrismo della filosofia occidentale e di identificare nella casa e nelle cose una dinamica animista – che è simile a quella dell’arte: gli oggetti che riempiono le nostre case, come le opere d’arte, non sono inerti e passivi, ma hanno una capacità d’agire, di muoverci, di commuoverci, di produrre effetti identitari e sociali. In questo senso, Coccia, che collabora regolarmente con musei e istituzioni culturali (dalla Fondation Cartier alla Triennale di Milano) ci aiuta a ripensare la continuità tra casa e museo, ma anche tra natura e tecnica. Come ha spiegato nel primo incontro, il museo costituisce uno dei cantieri più importanti per prendere coscienza della nostra condizione di interdipendenza cosmica e soprattutto per sperimentare nuovi modi di vivere, di abitare, di co-abitare.

Curatrice design al Maxxi di Roma e storica del design, Domitilla Dardi non solo ha una grande esperienza nella curatela e nell’organizzazione di mostre e eventi culturali, ma non ha mai smesso di esplorare e innovare i formati dell’esposizione. Portando il suo sguardo attento all’attualità ma sempre nutrito dalla conoscenza storica, e parlandoci di progetti importanti come l’apertura della casa Balla a Roma, ci aiuterà a capire come il museo ha modificato la sua funzione e le sue forme e come il rapporto tra arte e design si è trasformato, in tensione tra ecologia e economia: la questione dell’abitare entra nel museo e, allo stesso tempo, la casa si fa museo.

Infine, il duo Formafantasma, composto da Andrea Trimarchi e Simone Farresin, costituisce senza dubbio una delle voci di punta del design contemporaneo. Incarnando l’esempio di un nuovo modo di pensare il design, come ricerca e come impegno, Formafantasma ha al suo attivo allestimenti e curatele di mostre fondamentali (come il progetto itinerante Cambio, che, dopo la Serpentine di Londra e il Museo Pecci di Prato, è attualmente al Museum für Gestaltung di Zurigo). Discutere con loro, facendo tesoro delle loro esperienze, ci permetterà di esplorare da un altro punto di vista il rapporto tra spazio espositivo e abitazione, tra natura e cultura – cercando altre vie per ridurre le distanze tra queste polarità». 

Domitilla Dardi

A ogni dialogo seguono delle attività legate alla quotidianità, come una sessione di yoga, guardare un film e fare merenda. Quale è l’intento di questa proposta?

Anna Quinz: «L’obiettivo generale del progetto HABITAT – oltre alle riflessioni guidate da Emanuele Quinz con i suoi ospiti – è quello di trasformare in modo concreto e tangibile lo spazio museale in uno spazio da vivere e abitare. Oltre ai dialoghi dunque, noi di franzLAB insieme alla Fondazione Antonio Dalle Nogare abbiamo voluto attivare anche gli ambienti della Fondazione, invitando i visitatori ad entrarci spontaneamente e agilmente, come fossero a casa propria. Per questo abbiamo allestito un vero e proprio salotto, in una sala che normalmente accoglie le opere e le mostre della Fondazione. Uno spazio domestico abitabile, confortevole, accogliente dove fermarsi, accomodarsi, rilassarsi. Oltre a questo, per rendere ancora più “calda” e quotidiana l’esperienza di immersione nello spazio museale, abbiamo deciso appunto di proporre una serie di attività che normalmente vengono svolte nel proprio ambiente casalingo, non certamente in un museo. Una sessione di yoga – con il suo necessario abbigliamento “comodo” e informale – o una merenda, possono essere in qualche modo vissute come dei filtri o meglio come dei punti di connessione tra l’individuo e il museo, che diventa così molto più casa abbattendo quelle barriere che, a volte, lo spazio austero del museo può creare».

Formafantasma. Ph Reneede Groot

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui