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Hacking Monuments, ovvero, come modificare lo spazio del potere
Arte contemporanea
Hacking Monuments è un progetto di ricerca e pratica artistica nato nel 2017 e ideato da Simona Da Pozzo. L’iniziativa prende avvio dall’analisi di come artisti e attivisti possano riuscire a modificare la relazione tra persone, eredità culturale e potere, attraverso l’intervento o, appunto, l’hacking, sui monumenti. Il progetto è risultato vincitore di Call for Ideas – Urban Factor, bando per il public program di Milano Urban Center promosso dal Comune di Milano e Triennale Milano. Abbiamo raggiunto Simona da Pozzo per farci raccontare qualcosa in più su questo complesso e affascinante progetto.
Hackerando lo spazio: l’intervista a Simona da Pozzo
Come è nata l’idea di Hacking Monuments?
«Mi sono resa conto che nel mio quotidiano utilizzavo molto i monumenti come punti di riferimento, ma di questi spesso non si conoscevano né il personaggio, né il tema che rappresentavano. Ho iniziato così ad osservarli, ad interrogarmi sulla loro funzione, a scrivere note sul loro rapporto con lo spazio pubblico; a fantasticare e disegnare possibili interventi performativi per riciclare i monumenti in nuove opere temporanee. Poi nel 2017 ho creato un blog che raccoglie interventi realizzati da artisti e attivisti sui monumenti con intenti simili ai miei: azioni in cui il soggetto non viene “semplicemente” vandalizzato, divelto o spostato ma, spesso laboriosamente, riciclato in una nuova opera temporanea. Alcuni di queste azioni sono atti d’amore, altre sono azioni di resistenza e opposizione. Qui nasce Hacking Monuments come ricerca art-practice based».
A partire da queste considerazioni, e dal mio amore verso il monumento al Dio Nilo a Napoli, ho dato inizio al mio mondeggiare (per dirla con Donna Harraway), cioè tessere connessioni tra monumenti, abitanti, artisti, attivisti, storie e narrative alternative».

Tra gli argomenti che hanno inaugurato il ciclo di incontri di Hacking Monuments si è trattato di nuove forme di convivenza nella città indotte dal Covid-19 e dell’abbattimento di monumenti di figure controverse, cosa ne pensi dell’imbrattamento della statua di Indro Montanelli?
«Come ricordato da Sleam Tesfai, attivista di Non Una di Meno, durante l’incontro Hacking Monuments in Triennale svolto il 18 giugno 2020, i monumenti informano lo spazio pubblico, strutturandolo. Sono come degli emettitori di segnale che ripetono un certo tipo di discorso finché non se ne interrompe o modifica il flusso. L’intervento realizzato da Non Una Di Meno l’8 marzo 2019 sul monumento a Indro Montanelli, a colui che non ha mai perso occasione per vantarsi dell’acquisto del suo ‘animalino’ dodicenne, ha funzionato come interruzione del flusso nel momento in cui l’hack è stato rinforzato, a posteriori, dagli accadimenti globali legati a Black Lives Matter di questa primavera. Quello sul monumento al Montanelli è stato una sorta di rituale di trasformazione sociale: le attiviste e gli attivisti alla fine della manifestazione hanno versato sul monumento una sorta di slime rosa (lavabile, non un dettaglio) mentre attivavano fumogeni dello stesso colore. Con questo gesto sono riuscite a far parlare dei valori, o della loro assenza. Infatti, il monumento eretto nel 2006 sottolinea come abbia più peso la fama dell’intellettuale maschio bianco cisgender etero, della vita di una bambina eritrea, perpetuando l’idea che Montanelli sia un modello da imitare. Hackerare i monumenti potrebbe diventare una pratica culturale diffusa, atta a ricordare che la storia è plurale, ad esempio gli interventi continui sulla statua del giornalista diventano uno strumento per mettere alla gogna ogni giorno lui e il passato coloniale e fascista italiano».
La mostra “Hacking Monuments. Tips to make sense of them” che hai programmato, esplora il fenomeno dell’intervento (hacking) sui monumenti, come può un monumento ‘plasmare’ la realtà?
«”Tips to make sense of them”, visibile su VisualcontainerTV, 24 ore su 24, tutti i giorni, è una immersione nel versante artistico dell’hackerare i monumenti: è il risultato di una serie di interviste fatte nell’ultimo anno ad una serie di artisti con cui sono entrata in contatto, tra cui Marcio Carvalho, Sophie Ernst, Sarah Vanagt e Kiluanji Kia Henda. Ogni hack sfrutta l’effimero per mettere in crisi la permanenza e intoccabilità dei monumenti, per cui la loro dimensione performativa spesso si traduce in tracce o opere video.
Come accade per gli odori: dopo un po’ i nostri sensi e la coscienza si abituano alla loro sollecitazione e diventano parte integrante, strutturale, del nostro orizzonte. E’ solo quando finalmente un po’ di vento scosta il marciume che ci rendiamo conto di quel che stavamo sopportando per forza dell’abitudine. Questo effetto è molto chiaro nell’opera di Sophie Ernst».

Parli con Me? è un laboratorio di indagine visiva e verbale sui monumenti della città di Milano, come è nata l’idea del laboratorio?
«Nella prima versione del progetto, che poi è stato riadattato alle disposizioni di distanziamento sociale imposte dal Covid-19, era prevista una mia installazione partecipativa e conviviale all’interno di Triennale nella quale avrei coinvolto i visitatori in una mappatura, per portante una riflessione critica e condivisa sui monumenti cittadini. Stavo parlando già con Pietro Gaglianò di questo intervento, che stava curando, quando ho dovuto rielaborare l’intero progetto. Gli ho proposto di farsi portatore di questa riflessione attraverso un workshop (qui il form per iscriversi al workshop) mentre io mi occupavo della mostra. Così abbiamo fatto questa inversione di responsabilità, ma mantenendo i nostri reciproci punti di vista professionali».
Ritieni che le indagini artistiche e sociali promosse da Hacking Monuments sui monumenti milanesi possano essere estese dal piano locale a quello globale?
«Sì, certo! Come sottolineato da Demythologize that History And Put It To Rest progetto di Marcio Carvalho, i monumenti sono il marchio con cui gli imperi hanno segnato il proprio dominio, economico, ideologico, militare e culturale, su gran parte del pianeta. Il monumento è quindi uno spazio di resistenza poiché gli effetti di prevaricazione e dominio sono ancora molto presenti… Infatti, con Hacking Monument mi muovo continuamente dal particolare-locale al generale-globale, alternando cioè una visione ampia e internazionale ad approfondimenti locali e particolareggiati. Nella mia pratica artistica in particolare, attualmente sto conducendo la mia ricerca su altre due città, oltre Milano».
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