01 luglio 2016

“Ho rivoltato e sezionato il corpo”

 
"E non ho ancora finito di farlo”. Così parlò Jan Fabre. L'occasione è la sua mostra a Firenze. Dove emerge l'intreccio tra dionisiaco e spiritualità che l'ha reso celebre

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È un progetto articolato quello che Jan Fabre (Anversa, 1958) ha pensato per Firenze. “Jan Fabre. Spiritual Guards” è un percorso che si snoda dal centro città, con la collocazione di due monumentali sculture in Piazza della Signoria e una mostra a Palazzo Vecchio, sino alla fortezza medicea di Forte Belvedere, dove l’artista belga presenta circa sessanta opere in bronzo e cera e una serie di film che documentano alcune delle sue storiche performance realizzate tra il 1978 e il 2016.
Questo nuovo appuntamento espositivo, che segue le grandi mostre di Giuseppe Penone (2014) e Antony Gormley (2015), dimostra la volontà dell’amministrazione fiorentina di connettere l’arte contemporanea allo spazio urbano, attraverso un percorso capace di coinvolgere i luoghi più simbolici e noti della città. Nelle parole del sindaco Dario Nardella e di Sergio Risaliti, direttore artistico della programmazione di Forte di Belvedere, Firenze si propone di diventare un “centro d’arte a cielo aperto”, dove progetti site specific si confrontano con la peculiare articolazione storica e urbanistica di Firenze.
Il progetto concepito da Jan Fabre, curato da Joanna De Vos e Melania Rossi, evidenzia la natura poliedrica del lavoro dell’artista fiammingo, un “artista totale” che nel corso degli anni si è cimentato con numerose forme espressive, dal disegno alla scultura, dalla performance teatrale ad articolate installazioni dal portato  fortemente simbolico. Le opere presenti in mostra documentano la complessità del percorso artistico di Fabre, sia grazie all’eterogeneità dei linguaggi impiegati, sia attraverso l’esplicitazione del pensiero dicotomico che ricorre nella sua opera, tra spirituale e carnale, tra bellezza esteriore e pensiero interiore, tra esperienza sensibile e immaginazione, ordine e caos.
Jan Fabre, Globo (1997)
Buprestidi e scarabei dalle lunghe corna su fil di ferro e ghisa Foto di Emiliano Cribari © Angelos Bvba
La mostra Spiritual Guards assume la forma di un percorso d’ascesa, che prende avvio con le grandi sculture Searching for Utopia e The man who measures the clouds (American version, 18 years older) collocate in Piazza della Signoria. In entrambe le opere Fabre ricorre all’autorappresentazione per mettere in scena gesta surreali e dal forte sapore simbolico. Qui l’universo animale è coinvolto allegoricamente, come ad esempio nella monumentale tartaruga di Searching for Utopia del 2003, dove l’enorme testuggine allude al sogno e al paradiso, ad una dimensione onirica e fantastica a cui l’essere umano tende.
La serie de L’uomo che misura le nuvole, ispirata al film Birdman of Alcatraz (1962) di J. Frankenheimer, raffigura l’artista che, come l’ornitologo del film, si protende in un’azione impossibile che accomuna scienziati e sognatori, polarità che l’artista fiammingo sembra riassumere nella totalità della sua opera. Già esposta in diversi musei del mondo come lo S.M.A.K. di Gand o l’Art Institute di San Francisco, in Piazza della Signoria la scultura si innalza sull’Arengario di Palazzo Vecchio, tra il David di Michelangelo e la Giuditta di Donatello, mettendo in scena un dialogo tra gli aneliti dell’uomo contemporaneo e il canone rinascimentale.
Jan Fabre, L’uomo che porta la croce (2015) Bronzo al silicio Foto di Mauro Sani © Angelos Bvba
Un lavoro senza tempo quello dell’artista belga, capace di coniugare linguaggio sacro e profano, che nel progetto fiorentino è teso a mettere in dialogo in modo ancora più evidente il mondo antico e quello attuale: così all’interno di Palazzo Vecchio il Globo di Ignazio Danti è affiancato da un mappamondo ricoperto di scarabei dai carapaci cangianti, topos ricorrente dell’opera di Fabre, dove la metamorfosi degli insetti richiama la trasformazione della realtà attraverso l’arte, il sogno e l’immaginazione.
L’emblematica piazza rinascimentale è stata inoltre teatro di una performance notturna nella quale Fabre come una sorta di lombrico (figura della terra e della materialità più esibita) ha strisciato per ore dimenandosi senza sosta: lo spazio urbano si è tramutato in palcoscenico teatrale, l’artista come un moderno stregone ha messo in scena rituali mistici e apotropaici, ha piegato il proprio corpo alla sofferenza e alla fatica dell’azione, facendo proprie le pulsioni e modi del regno animale per rappresentare la fertilità e allo stesso tempo il deterioramento e la corruzione del mondo.
Jan Fabre, L’uomo che misura le nuvole (versione americana, 18 anni in più) (1998 - 2016) Bronzo al silicio Foto di Emiliano Cribari © Angelos Bvba
Dalla fisicità esibita in Piazza della Signoria la mostra si snoda sino a Forte di Belvedere, dove le opere dell’artista fiammingo popolano interamente la fortezza medicea: qui le figure allegoriche degli scarabei collocate nei punti di vedetta del Forte annunciano la trasformazione e la rigenerazione, il passaggio dalla dimensione terrena alla vita eterna, mentre gli autoritratti a figura intera dell’artista lo ritraggono mentre piange o ride, nell’atto di riparare una fiamma dal vento, o dirigere nuvole. Una raccolta di azioni che vanno a riassumere le forme mutevoli dell’esistenza umana, caratterizzate da una vena immaginifica e a tratti ironica. Quella concepita da Fabre è un’esistenza che contempla sempre una dimensione doppia, dove il dionisiaco si combina con lo spirituale, dove il corpo è oggetto e soggetto ricorrente delle azioni, vero e proprio mezzo di conoscenza del reale: «Ho rivoltato e sezionato il corpo e non ho ancora finito di farlo. La cosa più vicina all’essere umano è il proprio corpo, io cerco la verità di quel corpo, voglio imparare a conoscerlo completamente, in tutte le sue possibili trasformazioni e metamorfosi».
Elena Magini

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