27 aprile 2013

Il bello è solo l’inizio del tremendo

 
Così metteva in guardia Rilke nelle sue "Elegie Duinesi". Questione complicata, insomma, quella della bellezza. Che l’arte non ha risolto e che forse non deve (oltre che non può) risolvere. Una “idea” a riguardo prova a metterla insieme la mostra ospitata alla Strozzina di Firenze, affidandosi al lavoro di otto artisti. Che declinano, ciascuno con il proprio linguaggio, una mitologia, forse più che un’idea, per esorcizzare l’inizio del tremendo

di

Wilhelm Sasnal, Kacper, 2009, olio su tela, 85x105cm, Courtesy l'artista, Photo: Marek Gardulski

Sergio Givone, filosofo e assessore alla cultura del Comune di Firenze, chiamato a intervenire ad incipit dei contributi di rito da Franziska Nori, direttrice del Centro di Cultura Contemporanea Strozzina di Palazzo Strozzi, prendendo a prestito una riflessione del Dürer, afferma: «Che cosa sia la bellezza, io non lo so – e aggiunge – ma è ancora cosa nostra!», intendendo che seppur qualcosa che non si può spiegare, non possiamo farne a meno. 
Bellezza come luce e verità, nascosta nelle pieghe del visibile? Rilke, nella raccolta Elegie Duinesi, nella Prima Elegia affronta il concetto di bello e scrive: «Il bello è solo l’inizio del tremendo, che sopportiamo appena, e il bello lo ammiriamo così perché incurante disdegna di distruggerci. Ogni angelo è tremendo». 
Bellezza come luce che nell’orrore consola? La bellezza è segno epifanico, muto ma eloquente, inedito, che non ha nulla a che fare con il calcolo e la geometria. La bellezza è utopia.
Franziska Nori, ideatrice di “Un’idea di bellezza”, con onestà intellettuale, dichiara nel titolo che la rassegna, costruita intorno al lavoro di otto artisti contemporanei, attivi nella scena internazionale, è ‘un’idea’ e in subordine ‘di bellezza’. L’idea di arte che mostra è una selezione partigiana, seppur di tutto rispetto e, siccome si tratta di arte, non può scorrervi in mezzo che la bellezza, suo indiscusso codice fondativo. 
La bellezza è nella scala dei valori antropologici un fatto di conoscenza e come tale appartiene al pensiero, «non è qualcosa che incontra gli occhi», incontra il pensiero che conferisce statuto d’arte a un prodotto che si dà alla percezione come opera, perché riguarda qualcosa e incarna quel qualcosa. Le opere che compongono “Un’idea di bellezza” riguardano qualcosa e quel qualcosa corrisponde col nostro universo simbolico e a questo statuto non fa eccezione alcuna opera d’arte capace di interpretare un tassello del mondo reale, transitando le sensazioni, offrendo impulsi che sollecitano nel fruitore l’opportunità di mettere in gioco processi sensibili, cognitivi, così come le proprie le convinzioni.
Le otto mitologie individuali, citando Franziska Nori nel definire tanto le opere quanto gli artisti, si confrontano in un preciso percorso espositivo articolato per spazi definiti: né commistione, né contaminazione, semmai la contrapposizione sequenziale di estetiche e poetiche.
Alicja Kwade, Teleportation (54° 55' 24.524

La mostra apre sull’artista polacco Wilhelm Sasnal che lavora con un canone acquisito da sempre come espressione della bellezza, la pittura. Nel recente passato, con la propria arte, ha teso ha formulare un ritratto del proprio Paese nel divenire di una trasformazione politico-economica radicale: dal comunismo al capitalismo. Tuttavia le opere in mostra riguardano una produzione più recente, dove l’artista esplora e interpreta lo spazio tra una dimensione personale, intima, familiare, e una dimensione pubblica, di uso sociale, definendo l’esperienza individuale all’interno di un contesto più ampio. E lo fa con una figurazione foto-realistica, risultato di un’analisi del reale come immagine decostruita, ai minimi termini della rappresentazione per conferirle un significato altro, ulteriore, una realtà che transita dal dato oggettivo al soggettivo. Kapcer è tra le opere in mostra quella che più testimonia la sua intelligenza visiva e scelta come immagine coordinata dell’evento. 
Nella sala seguente il lavoro di Alicja Kwade, artista che vive in Germania, ma anch’essa polacca. Costruisce esperienze estetiche trascendendo le caratteristiche dei materiali che di volta in volta usa tra cui lamiere, specchi, vetri, ferro e anche un’oggettualità di uso quotidiano. Teleportation è la scultura spaziale installata al Centro Strozzina. L’artista tiene a comunicare che l’opera trae ispirazione da una teoria scientifica ancora in evoluzione, la “teoria delle stringhe” che fonda «sul principio secondo cui la materia, l’energia e, sotto certe ipotesi, lo spazio e il tempo siano in realtà la manifestazione di entità fisiche primordiali che, a seconda del numero di dimensioni in cui si sviluppano, vengono chiamate stringhe». 
L’opera è costituita da semplici portalampade da tavolo poggiati sul pavimento e lastre di vetro installate a terra con uno sviluppo verticale. La trasparenza del vetro teletrasporta i riflessi di luce delle poche lampade accese, trasferendola e amplificandola come materia che fisicamente non attraversa lo spazio fisico. Come in altri lavori, l’artista sembra abolire quelle regole che abitualmente sono applicate alla materia.
Isabel Rocamora, Body of war (Moving image, single chanel installation), 2010, 20', color stereo, Courtesy l'artista e Galeria Senda

Da uno spazio di oggettualità concreta a uno spazio che mostra il significare liquido dell’immagine in movimento. Isabel Rocamora, artista spagnola, è qui invitata per aver realizzato il video Body of war. Un lavoro che ha con la realtà una relazione parziale e che riflette su come la violenza e la volontà di uccidere divengano atti plausibili se l’individuo segue un determinato iter. Come in una sorta di messa in scena del teatro tragico greco, i protagonisti seguono una precisa coreografia a imitazione di un’azione muscolare, tanto brutale quanto appassionata, evocante un antagonismo bellico da cui sembra non sia più possibile tornare indietro. I due soldati, pertanto, lottano e si perdono nell’indifferenziato e nell’inospitale bellezza della luce che si staglia oltre la scena.
Andreas Gefeller, artista-fotografo tedesco, invece osserva il connotarsi del reale sia come fatto naturale che come fatto culturale, ossia, osserva la natura silente che costruisce spontaneamente se stessa e l’azione umana che costruisce razionalmente le cose del mondo. Ma la rappresentazione del reale non è ciò che gli interessa, le sue opere sono una sorta di calligrafismi, geometrie. The Japan Series testimonia un lavoro realizzato in Giappone fotografando in alto grovigli di cavi e vaste vedute di piante coltivate a spalliera, riquadrando in entrambi i casi un frammento del reale che poi iperrealisticamente astrae, fornendo al nostro sguardo un segno ri-strutturato come personale disegno ulteriore della realtà.
Andreas Gefeller, Poles 31 (The Japan series) , 2010, pigment print on fine art paper, 100x100 cm, Courtesy Thomas Rehbein Galerie Cologne e Hasted Kraeutler New York

Il reale per ciò che è e per come si propone allo sguardo è parte integrante del video di Anri Sala, artista albanese che rappresenterà il suo Paese alla prossima Biennale di Venezia. Dammi i colori è un lavoro realizzato nel 2003 organizzando controllate riprese notturne a Tirana, accompagnato dal sindaco-artista della città con il quale ha vissuto durante la sua permanenza a Parigi. Il fatto in sé è che il sindaco ha proposto di dipingere le facciate di case e palazzi costruiti a caso, frutto di un urbanismo esploso, con i colori primari, per innescare un processo vitale nei cittadini, obbligati a vivere in spazi connotati dal degrado estetico. Questa sorta di riqualificazione in superficie, voluta e realizzata da un artista nelle vesti di sindaco, ha assunto il valore di un’azione che ha innestato l’arte nel tessuto sociale vissuto. Sala ha realizzato un lavoro dalle caratteristiche documentarie, ma funzionale al contesto della mostra, poiché l’interrogativo che suscita è: l’arte (la bellezza) può cambiare la società? Certamente l’arte è fatto, capace di attivare un cambiamento radicale e condiviso dell’esistente. 
Jean Luc Maylayn, N° 428, Novembre-Décembre 2007, 2007, C-Print, 123x153 cm, Courtesy l'artista e Sprüth Magers - Berlin/London

Il lavoro di Jean Luc Maylayne sottolinea la capacità della fotografia di creare coincidenze tra la realtà e l’idea visuale di questo artista francese. Che è il più anziano del gruppo, presente nella mostra con un’accurata selezione di opere fotografiche: otto immagini che dimostrano l’interesse per l’osservazione della natura e dove sono protagonisti gli uccelli come forma indigena. I suoi scatti sono il risultato di lunghe attese, temporalità contata che entra a far parte dell’opera come titolo che la contraddistingue.
Una sorta di mini monografica caratterizza la presenza di Chiara Camoni che propone varie declinazioni estetiche: mosaico, segno strutturato, video. I frammenti di marmo, un materiale nobile riabilitato dallo status di scarto, costituiscono il mosaico allestito sul pavimento che l’artista lavora come forma liquida, fluida, diversa di volta in volta. I disegni e le pagine scritte sono il risultato di una collaborazione con la propria nonna, un lavoro, pertanto, realizzato sul concetto di delega, dimostrando il comunicare neutro dell’arte. Infine un video su tre canali che propone un viaggio nella natura in un ambiente rigoglioso, ma qui la natura è matrigna, perché attrae con l’innocuo scroscìo di rivoli d’acqua, poi tradisce con effluvi venefici: acqua che non dà la vita, dà la morte. 
Chiara Camoni, Senza titolo, 2011-2012, Marmo, 390x430x45 cm (dimensioni variabili), Courtesy Spazio A - Pistoia

Chiude il percorso Vanessa Beecroft, italiana che vive in USA, presente con un’ampia selezione di opere che attingono alla performance VB66 realizzata nel 2010 all’interno del mercato ittico di Napoli. L’artista ha dato continuità all’evento performativo attraverso i diversi formati delle tecniche artistiche: video, fotografia, scultura.
L’iconografia spaziale mostra l’uso del corpo femminile nell’arte e nella storia. Frammenti di statue e calchi delle diverse parti del corpo, come busti, braccia e gambe, sono come abbandonati tra i corpi anneriti di donne che così uniformate perdono il valore della propria unicità. Obbligate al supplizio fisico della staticità, con lo sguardo mai diretto, sono ridotte a oggetti che si fanno guardare, sollecitando un voyeurismo ossessivo che fruga anche oltre ciò che offre la superficie della pelle.
Infine, l’interessante volontà della curatrice di interagire con il pubblico, invitato a lasciare un personale contributo intorno al concetto di bellezza attraverso la testimonianza di immagini e scritti, mostrati in uno spazio dedicato.

1 commento

  1. l’energia che (ci) attraversa l’universo è tremendamente potente.ai limiti del calcolabile: microparticelle ad alta energia,stringhe,quark,fermioni,bosoni……senza contare che 80% dell’energia del kosmos è oscura,nascosta….energie che vibrano-pulsano generando nei loro incontri-scontri bellezza geo-metrica.L’arte elettro-numerica oggi,è quella che più e meglio si avvicina a questa bellezza tremenda, impersonale-oggettiva.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui