10 agosto 2018

Il cielo per James Turrell

 
A Nantes l’artista riallaccia il contemporaneo a miti intramontabili, come quello della caverna di Platone. Andando ben oltre la resa plastica della materia stessa

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Spazi di luce e colore, assenza prospettica e ambienti brumosi che disorientano, organi sensoriali che si dilatano per esperire un sogno a occhi aperti ovvero It becomes your experience, una mostra di James Turrell al Musée d’arts di Nantes, fino al 2 settembre. Classe 1943, Turrell è un artista pioniere nell’uso della luce, che sia naturale o artificiale, che diventa non più un supporto ma materia restituita in tutta la sua fisicità, trasformata in rivelazione di se stessa. 
Una scelta artistica dovuta agli studi in astronomia e al principio che la verità è nella luce, o perché già pilota di aerei a sedici anni considera, oggi come allora, il cielo come un laboratorio? Sta di fatto che in oltre quattro decenni l’artista statunitense ha avuto più di 160 personali che vanno dal Guggenheim Museum di New York, al Los Angeles County Museum of Art, con una scappata alla Biennale d’Arte di Venezia nel 2011, e una ventina di installazioni permanenti sparse nel mondo, da Twilight Epiphany presso la Rice University di Houston alla Turrell’s House of Light nei pressi di Tokyo. Confrontato a Mark Rothko o a Barnett Newman, per progetti come Roden Crater che guarda alla Land Art, ma anche alle Piramidi di Giza o all’architetto visionario francese Etienne-Louis Boullée. 
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James Turrell, It becomes your experience
In sostanza Turrell è un alchimista della luce che attraverso la sua opera fa vivere allo spettatore un momento unico il cui leitmotiv, come dal titolo della mostra, è appunto “diventa la tua esperienza”. L’esposizione nantese è articolata intorno a tre insiemi di opere che evocano ognuno un momento importante del percorso artistico dell’artista losangelino. Il patio del Musée d’arts, immerso nella luce naturale che cade dall’alto, accoglie lungo le pareti che ne marcano il perimetro, First Light (venti acquetinte, 1989-90) e Still Light (otto acquetinte, 1990-91), due lavori ispirati alla serie Projection Pieces (1966-67), che vede la proiezione di un singolo raggio di luce su un muro o un angolo, dando un effetto tridimensionale a un quadrato, triangolo, rettangolo, parallelogramma o colonna. Seguono disegni, modellini e foto di Roden Crater, il mastodontico progetto artistico iniziato nel 1977 e ancora in corso, che vede la creazione di camere ipogee all’interno di un cratere vulcanico spento da trecentomila anni e con un’altezza di quattrocento metri, situato nel Painted Desert in Arizona. Viene comprato da Turrell nel 1977, con l’aiuto della Dia Art Foundation, per creare sei tunnel e delle stanze, le Skyspaces, che hanno al loro apice un’apertura che incornicia il cielo permettendo di osservare i fenomeni celesti nel tempo e nello spazio, e rendendo quanto mai reale la relazione tra terra e cosmo. 
Nel centro del patio si trovano due installazioni luminose, quali Cherry (serie Aperture, 1998, Courtesy Almine Rech Gallery) e Awakening  (2006, Collection Fundaciôn Almine y Bernard Ruiz-Picasso para el Arte Fundacion). Cherry è parte della serie Space Division Constructions iniziata nel 1976, che vede degli ambienti autonomi composti all’interno da un ambiente che accoglie il pubblico, cioè il “viewing space”, e l’altro la luce, il “sensing space”. Cherry presenta una luce ambientale di color rosso che dà una sensazione di volume, definita dall’artista “atmosfera”, ma questa non illumina lo spazio adiacente che è invece immerso nel buio, e lo spettatore infatti impiega una decina di minuti prima di vedere il luogo in cui si trova. Si tratta di un’esperienza molto soggettiva, che per alcuni è puramente spirituale per altri visiva o quasi ipnotica, ma che comunque difficilmente lo spettatore riesce a descrivere, la risposta più consueta è “per capire, bisogna viverla!” 
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James Turrell, It becomes your experience
Insomma, come gli antichi hanno creato colori, lui cerca di rappresentare la realtà attraverso la luce, e per far ciò ha lavorato con le lampadine e i neon fluorescenti, mentre oggi usa i LED e programmi sofisticati che controlla col computer, il tutto calato a volte in strutture stupefacenti come per il capolavoro Aten Reign, presentato al Guggenheim nel 2013. In questo contesto s’inserisce nel percorso espositivo Awakening, un lavoro sulla percezione dei colori e della luce in cui impiega la tecnologia dell’illuminazione in architettura. L’ambiente di osservazione e di deambulazione dello spettatore è immerso in una luce sfumata che passa attraverso un’apertura verticale ricoperta da plexiglas, che restituisce un’illuminazione al neon programmata per modulare molto lentamente le variazioni di colore. È un’opera che produce in certo senso l’esperienza visiva del sogno lucido, cioè quel momento di alta qualità percettiva in cui nonostante si sia in piena attività onirica, si resta comunque coscienti. Cambiare il contesto della percezione visiva significa modificare il sentimento che la luce scaturisce, l’artista ripara così un rapporto primordiale che unisce gli individui a quella luce solare che oggi paradossalmente non vede più, e che invece ha regolato la vita sociale di civiltà diverse in epoche passate, oltre a essere “un nutrimento importante, grazie alla vitamina D che passa attraverso la pelle”, come ha sottolineato più volte l’artista. La luce è effimera e difficile da delimitare ma Turrell la restituisce attraverso una varietà di creazioni magnifiche, che vanno ben oltre la resa plastica della materia stessa, e che ci riallacciano a miti intramontabili come quello della caverna di Platone. 
Livia de Leoni

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