08 giugno 2020

Il Mattatoio di Roma riparte con Andrea Galvani e un nuovo public program

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Il Mattatoio di Roma presenta i Dispositivi Sensibili, progetto a cura di Angel Moya Garcia dedicato ai linguaggi della performance: primo appuntamento con Andrea Galvani

Andrea Galvani © The Subtleties of Elevated Things, 2019 Live performance with physicists from Universidad Complutense and the Universidad Autónoma de Madrid, white acrylic pen on gray wall Dimensions variable with architecture Installation and performance view at ARCOmadrid 2019 Photo by Leonardo Morfini Courtesy the artist and The RYDER Projects

Continuano le riaperture di gallerie, musei e spazi espositivi in Italia. Questa volta è il Mattatoio di Roma a riannodare i fili tra l’arte e il pubblico, con il primo passo di Dispositivi Sensibili, il progetto curato da Angel Moya Garcia dedicato alle pratiche performative contemporanee e alla loro convergenza con l’arte visiva, in linea con la programmazione dell’Azienda Speciale Palaexpo per il triennio 2020-22. Il primo appuntamento per questa “nuova” fase del Mattatoio è previsto a luglio, con Andrea Galvani, artista nato a Verona, nel 1973, e attualmente tra New York e Città del Messico. «L’obiettivo principale del mio lavoro sarà ridefinire le linee di indirizzo del Mattatoio, incentrandole sulla performance e sulla formazione, attraverso un modello di restituzione in cui le mostre, i dispositivi e le attività si evolveranno costantemente», dichiarava Angel Moya Garcia, commentando la sua nomina. Insomma, cambiano i tempi e, di conseguenza, cambiano le esposizioni e i modi di fruirne.

La ricerca di Andrea Galvani

In un coerente percorso interdisciplinare che comprende fotografia, scultura, disegno, performance, video e audio installazioni, in costante dialogo con metodologie di carattere scientifico, Galvani documenta azioni collettive, esperimenti visionari e fenomeni di carattere fisico la cui spettacolare monumentalità è paradossalmente instabile ed effimera. Il rapporto con l’esperienza, lo sforzo fisico, il fallimento, i limiti del mezzo e del luogo in cui l’artista lavora appaiono come fattori determinanti nello sviluppo di progetti complessi che sono spesso frutto di collaborazioni con istituzioni, università e laboratori di ricerca.

Galvani ha esposto in molte sedi in tutto il mondo, dal Whitney Museum e alla Calder Foundation di New York, alla Biennale di Mosca, dal Mart di Trento, al Macro di Roma e alla GAMeC di Bergamo. Nel 2017, il suo lavoro è stato selezionato per rappresentare la Deutsche Bank Collection a Frieze New York e nel 2018 è stato insignito dell’Audemars Piguet Prize ad ARCOmadrid 2019, grazie all’opera Instruments for Inquiring into the Wind and the Shaking Earth, un lavoro sviluppato in collaborazione con fisici dell’Imperial College di Londra e la NASA, dedicato alle equazioni matematiche che hanno cambiato in modo radicale il nostro modo di vedere la realtà e la complessità dell’universo. L’opera è stata presentata anche in Italia, nel giugno dello scorso anno, in una bella doppia personale alla Fondazione Golinelli di Bologna, insieme ad Andrea Nacciarriti.

Le linee guida per un nuovo Mattatoio

Il progetto curatoriale di Moya Garcia, eletto pochi mesi fa responsabile della programmazione culturale e del coordinamento degli eventi del Mattatoio di Testaccio, animerà il Padiglione 9b, in coordinamento con le attività della Pelanda – già dichiaratamente orientate alla ricerca sui linguaggi della performance – e con il Tavolo di Programmazione dell’Azienda, attraverso una serie di dispositivi di presentazione in costante evoluzione.

In questa programmazione, la ricerca di artisti incentrata prevalentemente sulla performance, si intreccia all’educazione dello sguardo, attraverso una formazione trasversale e stratificata in grado di fornire gli strumenti necessari per decodificare autonomamente e criticamente ogni singola esperienza. «Il Mattatoio diventa uno spazio di produzione e formazione in cui interrogarsi sul ruolo e sulla responsabilità che gli artisti ricoprono e assumono nella realtà attuale e in che modo possono incidere nella sua continua riconfigurazione», spiegano gli organizzatori.

Insomma, una chiamata all’azione e al pensiero, per la rielaborazione di rotture individuali e di lacerazioni collettive attraverso metodologie relazionali, partecipative, empatiche o trainanti. «Artisti che diventano attivatori di comunità tramite una dimensione inclusiva del territorio in cui lavorano, non come antropologi del contingente, bensì come catalizzatori di questi dispositivi. Una serie di tentativi di instaurare un principio insediativo della cultura nella società che riesca non solo a originare una trama espansa di relazioni, ma che arrivi soprattutto a diventare parte costitutiva della conformazione della collettività», motivano. In calendario, quindi, anche un public program a scadenza settimanale, sviluppato come parte organica e integrante del progetto, tra performance, talk, lezioni, incontri, dibattiti, seminari e laboratori.

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