13 gennaio 2011

IL MUSEO DI ITALO

 
Tre giorni di inaugurazioni hanno riportato gradualmente al pubblico il Museo del Novecento, nel Palazzo dell'Arengario di Portaluppi. Edificio per il quale, nel 2000, l'architetto Italo Rota vince il concorso a inviti e comincia ad applicarsi al Museo delle Arti del Novecento. Ne abbiamo parlato proprio con lui...

di

L’intento principale di Italo Rota? La costituzione di un luogo nel quale mostrare le collezioni civiche
esposte dal 1984 al 1999 nella sede provvisoria di Palazzo Reale. Dopo diversi
anni di cantieri, oggi la torre dell’Arengario è diventata la prima sala del
museo (con tanto di accesso diretto dalla metropolitana) e rappresenta
l’incipit per centinaia di opere allestite lungo il percorso del palazzo. Dipinti,
sculture, documenti e libri, infatti, danno vita a un rilevante corpus dell’arte nella Storia.

Oltre agli spazi adibiti all’esposizione ciclica di collezioni, al piano terra, attraverso vetrine visibili dalla strada, è
stato previsto uno spazio per esposizioni temporanee e per approfondimenti del
patrimonio artistico esposto. Mentre al piano -1 si trova una saletta per conferenze e alcuni spazi per la didattica
multimediale, con programmi di simulazioni scultoree per ipovedenti. Difatti
sono due le attività che animeranno il museo: la didattica e gli archivi.
Futuro e passato. Ma per Italo Rota, intervistato una decina di giorni prima
dell’apertura, la vera anima del Museo del Novecento resta “il corpo dell’uomo che fa esperienza diretta
dell’arte, attraverso contenuti e contenitori del tempo, vasi che sono
sopravvissuti alle antiche civiltà della storia”
.

Che impronta ha voluto dare agli spazi del Museo del Novecento?
Qual è la sua visione per questo nuovo luogo della storia dell’arte, quale la
sua dichiarazione d’intenti?

Il mio progetto non è altro che una grande
installazione, una dichiarazione temporanea che dà un senso a una collezione, a
un percorso e alla storia che scorrerà lì in mezzo. Non bisogna mai
pietrificare le opere d’arte, che devono rimanere oggetti viventi, forme
espressive del cambiamento. Le collezioni devono essere riportate al presente
sotto forma di contemporaneità, di passato vivo. I musei dipendono
principalmente da gusti ed evoluzioni. Io ritengo che ogni dieci anni gli assetti
di un museo andrebbero rivisitati, perché potrebbero cominciare a non
rappresentare più il ritratto, il riflesso della società che l’ha voluto. Nelle
sale del Museo del Novecento sono esposte circa 400 opere, selezionate su un
patrimonio di 15-20mila pezzi. Il Palazzo dell'Arengario durante i lavori nella fotografia di Giovanni ChiaramonteLavori che comprendono l’archivio delle
collezioni donate o acquisite dal Comune di Milano. Senza pensare che, a
seguito dell’apertura dei saloni dell’Arengario, confluiranno altre collezioni
d’arte di privati. Famiglie che da anni stavano aspettando di donare interi
patrimoni con la speranza di vederli esposti all’interno di un museo. Quindi,
per tornare alla domanda, lo stesso museo, dato un archivio consistente, si può
rinnovare più volte.

A livello urbanistico quale
funzione ha voluto assegnare al Palazzo dell’Arengario rispetto a quel settore
di piazza Duomo?

Il Museo del Novecento fa parte di uno
scenario, di un contesto urbano costruito e distribuito lungo sette secoli di
crescita della città; edifici affiancati gli uni agli altri e strutturati per
mantenere il vuoto. Oggi cerchiamo di attivare b-side, cerchiamo di dare
risalto all’origine della galleria, territori all’interno dei quali
l’architettura serve a poco se non a creare ulteriori landmark per nuove figure
politiche, per programmi retorici di copertura e per spostare l’attenzione
verso un luogo non democratico, o una città marginale; agglomerato che manca di
una propria organizzazione culturale e che spesso non possiede una collezione
di opere d’arte (vedi progetti di archistar in città italiane di provincia). Il
Palazzo dell’Arengario è, prima di tutto, un luogo da riscattare nei confronti
del ruolo che avrebbe dovuto rivestire durante il periodo fascista. Io credo
che oggi l’allestimento di un Museo del Novecento sia un’ottima rivincita.

Secondo la sua opinione, come
deve essere esaltato il rapporto tra originale e riproduzione?

L’allestimento raccoglie una serie di tempi
spezzati, risolti nella costituzione di differenti teatri della memoria.
L’oggetto e la sua riproduzione è problema in continuo divenire: oggi grazie
alla tecnologia tutto è identico, ma nulla viene fatto sparire. È il corpo
stesso dell’uomo che, di fronte all’opera originale esposta nel museo, deve
testimoniarne l’esistenza, raccogliendo tutte le sensazioni e le esperienze che
egli non potrebbe mai provare a casa propria.

I saloni imponenti del Palazzo dell’Arengario sono stati, per anni,
considerati
difficili, a tratti ingestibili per l’arte. Che soluzioni strutturali ha proposto
il suo progetto?

La Sala Fontana è stata scelta per diventare
il centro del progetto, dove verranno accostate opere di grandi dimensioni
molto diverse tra loro. La sala, sfruttandone l’altezza, è stata divisa in tre
sezioni. Le Civiche Raccolte d’Arte milanesi comprendono infatti Concetti Spaziali degli anni ‘50 (in
deposito presso il Ministero per i Beni Culturali), il Soffitto del 1956, di circa 150 metri quadri di
superficie (posta su un soppalco che origina un’ulteriore sala
espositiva) e il Neon del 1951, di proprietà della Fondazione Fontana,
lavoro abbiamo posto davanti alle finestre su piazza Duomo. Il cantiere del Museo del Novecento in uno scatto di Gabriele BasilicoLa sala successiva
sarà dedicata agli anni ‘50, quindi all’Informale, all’Informale milanese,
all’Informale romano con due opere di Novelli e poi della Accardi, Perilli,
Turcato. Poi, attraverso una passerella aerea con Palazzo Reale, si accede ad
altri 1.500 mq, 500 dei quali dedicati agli archivi delle Civiche Raccolte
d’Arte relativa al Novecento, presto consultabili.

Invece di due anni, il progetto di ristrutturazione è durato quattro…

Il
cantiere e la sua durata sono stati solo una fase del processo di
ristrutturazione del Palazzo. I fattori accorsi in gioco sono stati molteplici
e contraddittori. Amo sempre ripetere che preoccuparsi non è sano. Posso invece
affermare che durante tutto questo tempo ho avuto il privilegio di divertirmi.
L’importante è che poi, alla fine, aperti degli spazi, ognuno abbia la propria
opinione sul progetto e sia libero di esprimerla.

Come si integrano gli archivi con gli spazi espositivi?

I depositi sono stati posti in un’altra
parte della città. Quadri, sculture, manifesti, documenti, libri o film hanno
esigenza conservative diverse rispetto alle pianificazioni espositive. Gli
archivi devono essere controllabili e diventare sede di ricerca sistematica.

Che particolarità assumono gli spazi dedicati ai servizi commerciali al
pubblico quale ristorante e bookshop?

Io sono sempre stato un grande fan dei
negozi nei musei. È in quegli spazi che si passa dal comprare riproduzioni al
portarsi a casa vere e proprie clonazioni. È nei bookshop che si ritrovano i
collezionisti impossibili, quei visitatori che la tecnologia ha abituato alla
clonazione del falso, alla lettura della copia e al possesso di capolavori
mentali, oggetti resi attivi dal solo fatto che ormai l’aura benjaminiana
risulta dichiaratamente estinta.

Che tipo di illuminazione, e dunque di atmosfera, ha scelto?

Per la sezione dei documenti futuristi, ad
esempio, abbiamo scelto la luce bassa delle lanterne, inserendo lampadine
simili a quelle usate all’inizio del Novecento. Ogni sezione è il risultato di
una catena di palchi della memoria che hanno il compito di rappresentare la
storia attraverso le opere d’arte. Comunque, non spetta al Museo del Novecento
proporre un’operazione grottesca di ricostruzione ambientale dei contesti in
cui sono vissuti i diversi artisti. Questa la riterrei un’azione
intellettualmente mediocre. L’architettura in realtà deve solo restituire
all’uomo maggiore consapevolezza del suo rapporto con la natura e con gli oggetti.

Giuseppe Pellizza da Volpedo - Il Quarto Stato - 1901 - olio su tela - Museo del Novecento, Milano
La sua sala preferita?

Forse la sala con più contenuti, cioè la
Sala Fontana. Dove i diversi livelli di tagli e di sovrapposizioni delle opere
creano un viaggio nel tempo visionario, praticamente infinito.

articoli
correlati

Milano
e il New York Times

Milano,
Novecento

a cura di ginevra
bria

*articolo
pubblicato su Exibart.onpaper n. 70. Te l’eri perso? Abbonati!


Museo del
Novecento

Via Marconi, 1 (zona piazza Duomo) – 20122 Milano

Orario: lunedì ore 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica ore
9.30-19.30; giovedì e sabato ore 9.30-22.30

Ingresso libero

Info: c.museo900@comune.milano.it;
www.museodelnovecento.org

Bookshop: Electa

Ristorante: Da Giacomo

[exibart]

 

 

5 Commenti

  1. sala Fontana: il soffitto è montato troppo basso; le pareti e i pavimenti neri; sembra di stare in un night.
    il povero Pelizza l’hanno incastrato su un misero pianerottolo.
    gli spazi in generale sono molto ristretti, facile che si formino ingorghi tra opere e visitatori. particolarmente brutti i trespoli espositori delle sculture…bravo Rota, hai disegnato un cesso di museo!

  2. E invece mi sa proprio che l’Italo ci ha preso in pieno. Un perfetto traduttore della Milano di oggi. Del resto, che ci si può attendere dall’architetto “personale” di Cavalli (e dei suoi “schicchissimi” negozi) e delle hollywoodiane quanto orrifiche ristrutturazioni dei Boscolo Hotels? E’ quello che Milano si merita alla modica cifra di trenta milioni di euro. Un “arredatore” di spazi trendy per gente volgarona e ricca che progetta un Museo d’Arte Moderna…
    A proposito: i collezionisti, che hanno atteso per trent’anni (si aggiorni,l’Architetto: non aspettavano lui, era da mò) per procedere nella tradizione di donazioni o depositi privati che caratterizzò la vita culturale della Città dal secondo dopoguerra sino agli anni ’80, se la sono svignata da tempo e si sono rivolti altrove.

  3. … sempre felice di vedere una coda fuori un museo (e non solo fuori i negozi Prada per i saldi), mi sono predisposta al meglio per la visita… purtroppo la delusione cresceva passo dopo passo. Infelicissima la collocazione del Quarto Stato, anguste e poco godibili le sale, monotona e parziale, anzi insufficiente, la prospettiva della raccolta… Un posto che non affascina e non conquista, e che lascia a desiderare nelle informazioni minime. Osservate i pannelli: mi piacerebbe sapere luogo e data di nascita e morte di – esempio – Umberto Boccioni, invece sotto il suo nome trovo scritto “autore”, ma a quello ci arrivo da sola… così come si cade nel ridicolo scrivendo sotto il titolo, per l’appunto, l’indicazione “titolo”. Un “Museo del Novecento” che è davvero specchio del “secolo breve”, visto che ne liofilizza la storia artistica e la stronca al secondo dopoguerra. Belli gli ascensori, ma – appunto – starebbero bene al Corte Ingles. Aspettiamo qualche anno, e vedremo come in Piazza Duomo sorgerà un altro megastore Armani, il ristorante all’ultimo piano è già pronto, mancano solo i tavoli…

  4. SALENDO LE SCALE MI SONO RITROVATO SENZA VOLERLO NEL RISTORANTE CAFFeTTERIA DA GIACOMO…
    VISTA DUOMO E CON KE PREZZI!! AH MA SE L INGRESSO E GRATIS ALMENO IL CAFFE COSTA IL TRIPLO.. OK …ALL ‘USCITA QUELLE FOTO DELLA COLLEZIONE BANK AMERICANA.. MISERE.. MESSE SOLO PER FAR PIACERE ALLO SPONSOR.. MA LA FOTOFRAFIA DEL ‘900 italiana dov era??
    un bell ascensore trasparente come al reina sofia.. meglio di quelle tremende scale mobili..

  5. nessuno dice che la metà delle opere presenti al nuovo museo sono in realtà frutto di uno smembramento vero e proprio, di una delle piu belle collezioni milanesi, ovvero casa boschi?
    o forse non si puo dire?

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