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Intessere relazioni: l’opera di Silvia Scaringella al Parco Archeologico di Segesta
Progetti e iniziative
di redazione
Fino al 5 agosto 2025, il Parco Archeologico di Segesta ospita I fili del sole, quinta e ultima tappa del progetto TEXERE. Come fili nell’insieme, una grande installazione di arte relazionale firmata da Silvia Scaringella, un mandala tessile che nasce da un’azione corale e dall’ascolto della comunità. La dimensione del tessere, dal latino “texere”, è qui intesa come gesto artigianale e metafora universale, tanto sociale quanto cosmologica.
Rievocando la memoria dei tessuti, l’intervento si dispiega simbolicamente lungo l’asse del Tempio dorico, dove nei mesi scorsi le stoffe avevano formato una “via sacra” condivisa. Ora quelle stesse pezze, brandelli di vita quotidiana donati dagli abitanti di Calatafimi Segesta, si ricompongono in una forma radiale, evocando un sole, una stella o un’antica offerta votiva, nel segno del dono e della rinascita. Ogni stoffa cucita è una storia, ogni legame un patto tra differenze, per un’opera fatta di presenze: «Ogni tappa è stata un passaggio di senso e trasformazione. Abbiamo lavorato con stoffe usate, con il contributo prezioso delle donne anziane di Calatafimi, e ogni gesto è stato parte di un disegno collettivo. L’arte contemporanea, oggi più che mai, ha il dovere di farsi comprendere: deve essere concreta, partecipata, legata al fare e al connettere», ha raccontato Silvia Scaringella, artista romana con studio a Carrara, nota per i suoi interventi pubblici e partecipati.




Con la curatela di Luigi Biondo, direttore del Parco, e delle archeologhe Hedvig Evegren e Monica de Cesare, TEXERE ha coinvolto associazioni del territorio, il Centro del Riuso dei Tessuti e anche l’artista senegalese Idrissa Mbengue Gueye. La narrazione si è sviluppata in più tappe: dall’installazione sonora Pondus, dove i bambini hanno modellato 2.500 pesi in terracotta in dialogo con i reperti elimi dell’Antiquarium, fino all’opera Idrissa, dal nome del profeta islamico, composta da sei stele di marmo lavorate a piombo che riproducono i licci di un enorme telaio e da corde celesti tese tra le rovine della chiesa medievale e il sito della moschea, vicino al Teatro Antico, simbolo dell’abbraccio tra i popoli.

«È una stella, è una festa di comunità che abita il Parco», ha aggiunto Biondo. «La stoffa che prima ha abbracciato il Tempio, adesso veste la terra e crea un disegno che ricorda i pani votivi della tradizione. E soprattutto, attorno a questo progetto c’è tanta gente che sente l’arte, la vive, senza dover fingere di capirla». Nel paesaggio sacro e ancestrale di Segesta, l’arte diventa dunque un gesto di cura: un filo che unisce generazioni, riti e desideri, e che continua a tessere un nuovo modo di immaginare il tempo e le relazioni.