02 novembre 2013

La morte che non fa paura

 
Da un’idea di un gruppo di artisti, da quattro anni in Salento si realizza un’iniziativa in cui alcuni “vivi”, che di volta in volta si aggiungono al nucleo originario, riflettono sulla morte. Senza censure e timori, ma istituendo una vera e propria ritualità. Che ormai, da una Puglia sempre più aperta alle sollecitazioni contemporanee, è arrivata fino Oltreoceano

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Carolyn Christov-Bakargiev nel Santuario della pazienza di Ezechiele Leandro. Courtesy Lu Cafausu, San Cesario di Lecce

San Cesario di Lecce è un piccolo paese alle porte del capoluogo salentino in cui da quattro anni il 2 novembre accade qualcosa. Un processo silenzioso e lento, un’operatività meditata che spinge singole persone a una riflessione attorno a temi specifici e imperituri. È “La festa dei vivi (che riflettono sulla morte)”, un progetto complesso e aperto di Emilio Fantin, Luigi Negro, Giancarlo Norese, Cesare Pietroiusti e Luigi Presicce, a cui di volta in volta si associano curatori, artisti, cittadini e semplici curiosi. Una ritualità che da quattro anni a questa parte stimola nuove vie di conoscenza e analisi, propone soluzioni differenti nell’ottica di un processo corale che mira a stabilire contatti e relazioni umane attorno a determinati argomenti. Il giorno naturalmente non è casuale, il 2 novembre ricorre la tradizionale commemorazione dei defunti, e così i cinque artisti-curatori hanno impiantato un’idea di vita e analisi in un luogo misterioso e affascinante che in paese chiamano “Lu Cafausu”: sorta di coffee house di un’antica villa, oggi inesistente, sopravvissuta all’ansia edilizia. È un piccolo tempietto ad aula unica, luogo da contemplare anche per la sua storia irrisolta di architettura immaginaria e reale. 
La giornata è pertanto una “celebrazione” diluita in diversi momenti, con un carattere decisamente ubiquo, come l’hanno definito gli stessi artisti “cafausici” che l’hanno ideata e coordinata con cura. Oltre che in Salento – tra San Cesario e Porto Cesareo –, si tiene infatti anche in Arizona, «dove si concentra su alcuni luoghi simbolici e su tematiche che in questi quattro anni sono diventate oggetto di riflessione, indagine, discussione» affermano gli organizzatori. 
Emilio Fantin all'interno de Lu Cafausu. Courtesy Lu Cafausu, San Cesario di Lecce

Al via nella mattinata la prima azione, che accade a Porto Cesareo, località balneare sullo Ionio, con una performance di Oh Petroleum, musicista e compagno di strada de “Lu Cafausu”, oltre che spesso protagonista delle performance di Presicce, non ultima quella andata in scena la scorsa estate a Gagliano del Capo. Ispirata da numerose suggestioni, fra queste il saggio “Canzoniere Italiano” di Pier Paolo Pasolini, le tradizioni salentine dei moroloja (canti funebri del sud Italia), e ancora le “isole dei morti” (da quelle realmente esistite a quelle ricreate da artisti e scrittori, fino a quelle sprofondate nel mare e scomparse), l’azione di Oh Petroleum sarà accompagnata dal contributo delle cantanti Ninfa Giannuzzi e Rachele Andrioli che “permettono l’invenzione di canzoni
popolari che già esistono”. Non deve apparire come un paradosso, d’altronde la dicotomia tra realtà e immaginazione è alla base di molte speculazioni legate a “Lu Cafausu”, che è “un luogo immaginario che esiste per davvero”. Si proseguirà poi con un’azione lentissima dell’artista Francesco Lauretta, che dipinge una serie di ritratti di “vivi nella posa di esser morti” in una casa privata di Porto Cesareo. Chiunque può partecipare anche a questa azione come spettatore e addirittura come modello. 
Luigi Presicce e Maurizio Vierucci (Oh Petroleum), SANT'ELENA RITROVA E RIDUCE IN PEZZI IL SACRO LEGNO, 2012, (St. Helena finds and breaks the Sacred Wood into pieces, 2012) performance senza pubblico /performance without spectators, Isums, Gotland (S) Foto e video/photo and video Francesco Quarta Colosso

Nel pomeriggio ci si sposta poi a “Lu Cafausu” di San Cesario e al tramonto vi è la sessione di meditazione di consapevolezza sulla morte – una pratica che ha origine dalla meditazione Vipassana –, curata dal gruppo Mindfulness dell’Ammirato Culture House di Lecce, luogo estremamente vivo e vitale nella sua attenzione plurale verso le arti con un taglio decisamente internazionale grazie alla stretta sinergia con la Fondazione Musagetes. Nel frattempo viene  attivata una video-chat con Emilio Fantin, Giancarlo Norese e i tanti che in Arizona, proprio nello stesso momento, iniziano The Celebration of the Living (who reflect upon death) per le strade del centro di Phoenix.
Come ogni anno un’attenzione particolare  è rivolta a Ezechiele Leandro, artista outsider di San Cesario di Lecce scomparso nel 1981. Nel corso della sua esistenza Leandro realizzò un’opera straordinaria poi battezzata “Santuario della pazienza”: un giardino pieno zeppo di sculture anche monumentali, concepite con cemento assemblato a materiali di risulta come ferro, ceramica e plastica. Una visione labirintica ispirata visivamente alle sacre scritture, ma anche alla tradizione popolare e a alcune icone specifiche della cultura artistica meridionale, come il mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto. Questo eccezionale museo “involontario” negli ultimi trent’anni ha subito danni conservativi notevoli, ma recenti prese di posizione da parte del Comune lasciano ben sperare, nonostante le condizioni strutturali di molti elementi sono ormai parzialmente compromesse. E proprio in serata, intorno alle 20, c’è un omaggio a questo artista e al suo metaforico “Santuario” con la proiezione, nelle sale del Palazzo Ducale del paese, di “Leandro e Lu Cafausu”, un documentario di Corrado Punzi prodotto dalla galleria Bianconi di Milano e da Marsèlleria, che anche quest’anno hanno reso possibile questa giornata di “festa”. Secondo gli organizzatori la proiezione del documentario e la discussione che ne scaturisce è “un modo per riconciliare con la sua comunità una figura di artista irregolare, autodidatta e in passato spesso rifiutato”.
Cesare Pietroiusti a Lu Cafausu. Courtesy Lu Cafausu, San Cesario di Lecce

E negli USA? Il processo anche in questo caso tende a investigare le relazioni tra vita e morte, con un’azione pubblica di partecipazione che sta coinvolgendo diversi artisti, studenti e cittadini di alcune comunità. Si concretizzerà così The Celebration of the Living (who reflect upon death), che culminerà in una processione nelle strade del centro di Phoenix, in cui sarà spinta un’automobile senza motore, simbolo di vita e al contempo icona di morte. Questa tappa Oltreoceano è stata resa possibile grazie agli interventi di The Bad Cactus Brass Band, Deborah Boardman, Kristina Lee Podesva, Merced Maldonado, Julio Cesar Morales, Marie Navarre, Alessandra Pomarico, Shawn Van Sluys, con la produzione di ASU. 
Una giornata impegnativa, pertanto. Frutto di un lavoro lento che con continuità sta portando i suoi frutti. Pensiamo soltanto che l’anno scorso il progetto è stato presentato anche nell’ambito di Documenta Kassel. Che sta sollecitando le coscienze, innescando sensazioni virtuose in una Puglia sempre più attratta dal contemporaneo ma con un piglio talvolta distratto. “La festa dei vivi (che riflettono sulla morte)” grazie a un’idea di fondo estremamente densa di contenuti e a una rete di relazioni e visioni di respiro internazionale ha avuto – ed ha – invece il merito di ribaltare ancora una volta la posizione geografica della periferia in luogo attivo e operoso di pratiche artistiche. 
Perciò, buona festa dei vivi che riflettono sulla morte! 

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