20 ottobre 2012

La smorfia felina senza gatto di Francis Bacon

 
Ossessionato dall'Innocenzo X di Velázquez, affascinato dall'arte di Picasso, alla ricerca di risposte negli scritti di Nietzsche e di Beckett, Francis Bacon attraversa il secolo veloce imprimendo un'orma indelebile da cui si è pensato fosse quasi impossibile andare avanti. Ora alla Strozzina di Firenze la sua pittura apre un dialogo con cinque artisti contemporanei. E schiera autentici capolavori

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Franziska Nori, direttore del Centro Cultura Contemporanea Strozzina di Palazzo Strozzi a Firenze, apre la nuova stagione espositiva con una mostra che intende indagare la condizione esistenziale nell’arte contemporanea e lo fa, coadiuvata da Barbara Dawson, direttore del Dublin City Gallery The Hugh Lane di Dublino, ponendo al centro della speculazione il lavoro di un grande maestro qual è Francis Bacon, in dialogo con le opere di cinque artisti: Adrian Ghenie (romeno, 1979), Chiharu Shiota (giapponese, 1972), Nathalie Djurberg (svedese, 1978), Arcangelo Sassolino (italiano, 1967), Annegret Soltau (tedesca, 1946).

L’esposizione è costruita intorno a otto dipinti di Francis Bacon, di cui tre non-finiti, e a un interessante repertorio di materiali fotografici e d’archivio provenienti dal suo studio storico londinese al numero 7 di Queensberry Mews West.

Francis Bacon, ossessionato dall’Innocenzo X di Velázquez, affascinato dall’arte di Picasso, alla ricerca di risposte negli scritti di Nietzsche, attraversa il secolo veloce imprimendo un’orma profonda. Nato a Dublino nel 1909, è un artista autodidatta la cui opera entra nel circuito del mondo dell’arte già negli anni Trenta del secolo scorso, senza gran successo: le opere di quel periodo in gran parte furono distrutte dall’artista.

Nel 1945 tre quadri sanciscono il percorso: Tre figure ai piedi di una crocifissione, Figura in paesaggio e II Studio per una figura, apertamente terrificante il primo, minacciosi i secondi. Solitudine e violenza come quotidiano dell’uomo moderno e ad emergere è l’ossessione del presente in un linguaggio che esprime l’uomo moderno, nell’inferno della sua situazione. Inoltre, tre opere lontane tanto dall’astratto quanto dal figurativo, che manifestano la cifra estetica che ha caratterizzato tutta la sua arte fino al 1992, anno della sua morte. Una ricerca pittorica e di senso che in ambito figurale non rappresenta, non narra, non riproduce il visibile, ma rende visibili archetipi della brutalità umana, attingendo dal proprio vissuto, dalla poesia, dalla letteratura, dalla saggistica, dalla fotografia, dall’arte. «Ciò che vuole l’uomo moderno – afferma il maestro della Nuova Figurazione inglese citando Paul Valéry – è una smorfia felina senza gatto, cioè la sostanza senza la tradizionale elaborazione».

Suo tema costante l’essere umano, la persona: singolarità nella quotidianità dell’esperienza dell’esser-ci, nella sua peculiarità e non inteso come umanità. Convinzione di Bacon è che l’individuo si rende conto di essere un accidente, un essere assolutamente inutile, costretto senza alcuna ragione a portare a termine il gioco della vita, testimoniando con queste parole il proprio disagio di vivere e l’interesse per correnti di pensiero come il Nichilismo e l’Esistenzialismo. Tesse la sua arte sull’approfondimento del sé autobiografico, sollecitato da una società irlandese d’inizio XX secolo, caratterizzata fino alla guerra d’indipendenza da una classe dominante anglo-irlandese, appena uscita dai drammi della prima guerra mondiale e soprattutto da una figura paterna che lo vuole sano e maschio, mentre lui invece è asmatico e omosessuale.

Pertanto è la diversità il fattore scatenante l’allontanamento da parte della famiglia di un figlio diciassettenne che muove da Dublino all’insegna dell’apprendistato esistenziale. Londra è la prima tappa, poi Berlino, Parigi, e in seguito di nuovo Londra e lo studio che diverrà storia.

Conservato nella sua integrità, una testimonianza tangibile dei processi di ricerca dell’artista, parte integrante della sezione della mostra a lui dedicata da cui emerge un grande interesse per l’arte del passato: riproduzioni di quadri tra cui l’Innocenzo X di Velázquez, per Bacon uno dei più bei ritratti che siano mai stati realizzati, che pur non volendo mai conoscere l’originale, realizza nel 1953 Studio del ritratto di Innocenzo X di Velázquez.

Nello studio le riproduzioni dell’arte del passato convivono con fotografie di amici, still da film, autoritratti e immagini fotografiche di figure in movimento ritagliate da testi come La figura umana in movimento e Animali in movimento di Muybridge e altre da quotidiani e riviste. Immagini spesso disseminate sul pavimento, calpestate, alterate dal tempo e poi manipolate e ricomposte per essere usate come modelli per le proprie opere.

Bacon ci accoglie entrando nello spazio espositivo de La Strozzina con una grande tela del 1961 intitolata Seated Woman (Portrait of Muriel Belcher). Il ritratto è per Bacon l’occasione attraverso cui esprimere la propria convinzione che l’anima della persona si riflette in un corpo deformato, scomposto, in preda alla paura e al dolore. Una sorta d’indagine estetica sull’essenza dell’uomo contemporaneo. Nella stessa sala Seated Figure del 1974 e Untitled (Marching Figures) del 1951. Seated Figure, olio e pastello su tela ritrae un nudo maschile accosciato, un altro dei temi cari a Bacon, un corpo claustrofobicamente racchiuso entro i limiti di una sedia – ristretto il campo della libertà umana! Untitled (Marching Figures) del 1951 è sempre un dipinto di grandi dimensioni, in cui figure stilizzate, allineate, marciano attraversando una sorta di gabbia sovrastata da un orso bianco. Diverse sono state le letture delle simbologie (marcia di uomini allineati, presumibilmente militari; gabbia; orso polare), per qualcuno il riferimento è alle letture di Nietzsche, infatti il filosofo tedesco era convinto che l’uomo fosse «una corda tesa fra l’animale e il superuomo (…) un ponte, non una meta», che sia cioè uno stato transitorio e volontariamente dovrebbe scomparire per lasciar posto al superuomo. Oppure si tratta della marcia dell’esercito sovietico attraverso la Piazza Rossa, di fronte al Mausoleo di Lenin. Bacon avrebbe sostituito il mausoleo con la gabbia e Lenin con l’orso polare. Una critica all’uso del corpo imbalsamato – vero ma falso – come feticcio per il permanere dell’esercizio di un potere. Il mio rimando, invece, è andato alla stigmatizzazione dell’uomo a una dimensione, del pensiero unico, e iconograficamente in ordine inverso, al concept dell’album The Wall nel 1979 dai Pink Floyd.

Nella seconda sala Untitled (Three Figures) del 1981, prima tra le opere non-finite che s’incontra in mostra, ci svela la costruzione dell’impianto spaziale sul quale l’artista elaborava la figura; Untitled (Seated Figure on a Dappled Carpet) del 1971, sempre un non-finito, il ritratto di George Dyer, amante di Bacon negli anni Sessanta e soggetto di altri suoi monumentali dipinti; e Turning Figure del 1962. Il terzo incompiuto, Untitled del 1992, forse il suo ultimo autoritratto, si trova nel cuore dello spazio espositivo.

L’arte di Francis Bacon in questi ultimi anni non è nuova a essere posta in connessione con artisti come Caravaggio, o con scrittori come Samuel Beckett, probabilmente per il suo assillo nei confronti del presente e la dimensione d’ambiguità che le sue opere comunicano. Quindi, adatta a esprimere i conflitti interiori dell’individuo che nel malessere e nella malattia del corpo costruisce una sorta di via di fuga dal sé, sperimentando giorno per giorno dolorose anticipazioni del proprio limite, della fragilità della psiche e della caducità del corpo. In questa cornice s’inscrive anche la mostra in oggetto e, come ha sottolineato la direttrice della Strozzina Franziska Nori, «Bacon è fonte di ispirazione per una generazione che non gli è in successione immediata, ma che ci parla dell’oggi, delle nostre ansie e paure». Eppure Bacon, aggiunge Barbara Dawson, «condivide con loro i medesimi sentimenti, la medesima tensione, quel senso di estraneità così comune nella società di oggi».

Le opere dei cinque artisti tra loro direi che si aggregano come cifre estetiche differenti, la connessione con Bacon è senz’altro rintracciabile nella dimensione della corporeità, che Adrian Ghenie indaga come presenza dalle profonde sfumature, definita e al tempo stesso sfuggente. Le animazioni video e le opere fotografiche di Nathalie Djurberg raccontano storie di emarginazione. Corpi mutilati, o corrotti dai vermi, o trasformati dall’obesità, personaggi fantastici realizzati in plastilina. Annegret Soltau è performer e le sue fotografie ne sono spesso testimonianza. Il suo corpo è il soggetto e soprattutto il suo volto il campo dell’azione che ha come intento la copertura o la negazione delle proprie sembianze e lo fa graficamente sulla carta fotografica, o direttamente sulla carne avvolgendosi con il filo. Chiharu Shiota nella sua installazione site specific lavora intorno all’assenza del corpo come presenza evocata. Fili di lana meticolosamente intrecciati fra loro si snodano su un’ampia superficie dello spazio espositivo, inglobando e negando l’accesso a cose e oggetti di uso comune. Anche Arcangelo Sassolino propone un’installazione site specific, caratterizzata da un’estetica relazionale. L’opera meccanica pone al centro la corporeità del fruitore in quanto minacciato da una macchina che promette un’azione, ma non si sa quando avverrà.

Compatibilmente con uno spazio storico connotato qual è La Strozzina, attraverso un rigore metodologico e una scrittura espositiva che tiene stretto il tema, il risultato è un’equilibrata visibilità di uno schieramento tanto eterogeneo.

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