08 maggio 2023

La trap come non l’avete mai ascoltata. E vista. Intervista a plurale

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L'influenza della cultura trap sulla Generazione Z: il collettivo artistico plurale ci parla di "No Cap", progetto espositivo in scena negli spazi di ONOFF, a Milano

plurale, EXPLICIT CONTENT, still da video

Buongiorno plurale, in quest’intervista approfondiremo le motivazioni e gli interessi che vi hanno portato a realizzare “NO CAP”, la vostra prossima mostra personale che inaugura venerdì, 12 maggio, a ONOFF, in via Padova 94, a Milano. La mostra sarà accompagnata da un mio testo critico e sarà inoltre disponibile una fanzine che documenta l’intero progetto che tratta nello specifico delle problematiche legate all’influenza dell’estetica trap sulla generazione Z.

plurale, EXPLICIT CONTENT, still da video

NO CAP è a tutti gli effetti un progetto “generazionale” che si rivolge da una parte a coloro che quella musica la fruiscono e dall’altra a coloro che non la conoscono, per allargare il dibattito. Da quanto tempo ascoltate la musica trap e ne approfondite l’evoluzione? Quali sono, a vostro avviso, le problematiche che riscontrate come più pericolose nell’influenza che quella cultura ha sulla vostra generazione? Come raccontereste la trap a coloro non la conoscono così bene?

Chiara Ventura «Amo la musica e ho sempre ascoltato qualsiasi genere. Ricordo che una volta, da piccola, avrò avuto 12 anni, ero in macchina con mio padre e la radio fece partire un pezzo di Fabri Fibra. Probabilmente si vedeva che mi piaceva e lui mi disse “a te piacciono le canzoni dove si parla tanto”, e non aveva torto. L’utilizzo delle parole è sempre stato al centro dei miei interessi, e quale altro genere poteva attirarmi se non il rap?
Quando poi nel 2016 è arrivato Sfera Ebbasta portando questa evoluzione del genere in Italia, chiamata trap, ho iniziato ad ascoltarla anche io. Il fenomeno successivo ma quasi parallelo fu quello della Dark Polo Gang: “il resto è storia” direbbe un fanatico.

Da sempre m’interrogavo su come fosse possibile che mi piacesse quello che stavo ascoltando o vedendo. Il prodotto musicale è di estrema qualità, ma il significato dei testi è veramente basso. Interrogarmi su questa contraddizione è stato il punto di partenza che mi ha condotto a questa intervista».

Giulio Ancona «Ho iniziato ad ascoltare trap da quando è emersa come genere mainstream, da quando si cominciava a parlare di Sfera Ebbasta e della DPG. Dapprima mi ci sono approcciato con scherno, successivamente prestando crescente attenzione prima alla musica e poi, sviluppando un interesse per il linguaggio ed approfondendone la comprensione con i primi lavori di plurale, alle parole».

Leonardo Avesani «Ho iniziato a “sentire” la trap quando è diventata molto popolare, soprattutto con Sfera Ebbasta e la Dark Polo Gang, intorno al 2017 / 2018. Dapprima “vedevo / sentivo” il fenomeno in modo superficiale, quasi bigotto. Questi personaggi che si pavoneggiavano, ostentavano ricchezza, dicevano quelle che per me erano sciocchezze, mi divertivano e allo stesso tempo mi irritavano. Penso di aver avuto una reazione di rifiuto, un po’ come tanti “adulti” l’hanno avuta a loro tempo con la diffusione del rock o del punk, svalutandone l’essenza e la portata.

Poi, grazie a Chiara, ho iniziato ad “ascoltare” e a “guardare” la trap in modo maturo, più profondo, apprezzandone la musicalità, l’artisticità».

plurale «I nostri valori sono molto diversi da quelli proposti dalla cultura trap, eppure la ascoltiamo, perché musicalmente riteniamo il genere estremamente interessante. A volte i testi ci fanno rabbrividire, eppure quelle parole rimangono oggettivamente orecchiabili. Nonostante questo il brano continua a piacerci. Ci siamo chiesti il perché e la risposta è stata l’autotune, un software che permette di correggere l’intonazione della voce. Nella scena trap / drill vi è un ampio uso di questo effetto. È come se, con l’autotune, qualsiasi parola, frase, dichiarazione, anche la più violenta, risultasse automaticamente gradevole all’ascolto. L’autotune è per questo estremamente pericoloso poiché rende qualsiasi verso estremamente melodioso e piacevole da canticchiare.

A chi non conosce bene la trap diremmo di provare ad ascoltarla prestando attenzione alla qualità del prodotto musicale, per poterla apprezzare. I testi raccontano uno spaccato di quello che è il mondo e la nostra generazione: misoginia, patriarcato, esaltazione della violenza, ma anche sofferenza, solitudine, disperazione. Per assurdo, c’è molta umanità».

Volendo provare a connotare la trap in senso geografico, esistono a vostro avviso delle differenze tra la scena del Nord, quella Centro e quella del Sud Italia? In senso temporale invece, quali potrebbero essere dei punti d’incontro e di distinzione tra la nuova scena trap e la vecchia scena rap?

pl «Nella scena trap italiana, secondo noi, non ci sono importanti distinzioni in senso geografico, né dal punto di vista dei contenuti né da quello estetico-musicale. C’è da notare il fatto che quasi tutti i trapper si spostano a Milano, che è diventato il centro dove convergere per inserirsi maggiormente nella scena, e questo crea una sorta di omogeneità (ovviamente il motivo principale è che se vuoi fare musica oggi, Milano è la città con più possibilità da un punto di vista meramente lavorativo). Se prendiamo in considerazione Paky, un trapper napoletano che però vive a Rozzano, in provincia di Milano, non notiamo differenze nel contenuto rispetto a Geolier, anch’egli napoletano e tra i pochissimi che non si è spostato, ma nemmeno se li confrontiamo a Baby Gang, che invece rappresenta Lecco. Cambia il borgo, non la narrazione.

I contenuti proposti dalla cultura trap vengono dalla cultura rap, in questo non c’è grande distinzione. Cambiano le droghe, cambiano le marche, cambia l’estetica, cambia il suono, ma il succo è più o meno quello. Il rap era qualcosa di underground, la trap ora è mainstream. Rispetto al rap non è un movimento, non è qualcosa che nasce per fare cultura, è il riflesso di una cultura. Non è una presa di posizione, è aderire al presente».

Approfondiamo dunque Milano come centro della trap. Cinisello Balsamo, “Ciny” per Sfera Ebbasta, Rozzano, “Rozzi” per Paky, La Barona, “Barona” per Mimmo Flow: ogni trapper racconta la propria periferia attraverso una canzone iconica che in una certa qual maniera la fa emergere sulla mappa rispetto ad altre periferie simili. Due delle tre nuove produzioni che avete realizzato appositamente per la mostra, in particolare il video EXPLICIT CONTENT e la foto Peso piuma, le avete ambientate in Barona, quartiere periferico a sud-ovest di Milano. Come mai avete deciso di focalizzarvi proprio su quella zona?

pl «Ci interessava quel quartiere perché è un luogo che, automaticamente, nell’immaginario crea un legame tra la vecchia e la nuova generazione (parliamo di rap / trap). È il quartiere di Marracash, artista che, più di tutti, è amato sia dal purista del rap con baggy e New Era al contrario, sia dal maranza con tuta Adidas e cappellino GUCCI (fake); è simbolo, culto nell’ambiente. A noi interessa molto parlare delle falle che riguardano la generazione Z anche attraverso confronti intergenerazionali, lo riteniamo utile per un’analisi dei cambiamenti e per instaurare dialoghi orizzontali».

In virtù di questa volontà di innescare un dialogo intergenerazionale, vorrei porvi una domanda, forse naïf, sulle parole specifiche che avete scelto per il progetto. Avete chiamato la mostra NO CAP, rifacendovi ad uno slang rap e trap che significa che non state mentendo, che state dicendo la verità. Il video EXPLICIT CONTENT si rifà nel nome all’etichetta presente sulle canzoni che avverte i genitori sul loro contenuto esplicito. Oltre ad identificare l’area semantica del progetto, la scelta di rimandi rap/trap può essere interpretata come una strategia atta a stabilire un canale di comunicazione familiare con la generazione z, di cui fate parte, per riuscire a far passare il vostro messaggio? Riprendendo il parallelismo della vostra prima risposta, si può dire che è come se applicaste l’autotune per rendere “gradevole” un contenuto di rottura, che mette in discussione una narrazione consolidata sulla trap?

pl «Per noi il titolo è sempre un segno che fa parte dell’opera, la identifica, la inquadra. Ci piacciono molto l’ironia e i giochi di parole ed è soprattutto in quest’ottica che abbiamo dato questi titoli. Non cerchiamo di “rendere gradevole un contenuto di rottura”, quanto piuttosto di muovere una critica partendo dal fenomeno. Cerchiamo di decostruire i princìpi della cultura trap appropriandoci della sua estetica per mostrare le falle in essa presenti, e che in fin dei conti sono la manifestazione di falle sociali e culturali. Non stigmatizziamo la trap di per sé poiché, in quanto forma d’arte, è uno spaccato della società».

Chiudiamo con l’ultima domanda. Il giorno dell’inaugurazione di NO CAP, ci sarà l’intervento performativo Una boccata d’aria fresca con cui coinvolgerete il pubblico. Ci volete dire qualcosa di più su cosa potrebbero attendersi le persone che verranno oppure preferite mantenere l’effetto sorpresa?

pl «”Non mi frega di niente / Non c’entro col rap, no / Con quello e con l’altro / No, scusa, no hablo tù lingua / Ma sicuro piace a tua figlia / Sicuro, è da un po’ che sta in fissa col trap / Collane ghiacciate, / c’ho il cuore a metà, già alla mia età / Non puoi parlare dei miei contenuti, fra’, non hai l’età”, Sfera Ebbasta – Tran Tran (prod. Charlie Charles) 2017».

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