29 maggio 2012

Le parole di dOCUMENTA

 
Nata nel 1955, la regina delle manifestazioni dell'arte contemporanea, quest'anno giunge alla sua 13esima edizione. La curatrice Carolyn Christov-Bakargiev ha iniziato il percorso teorico di costruzione della rassegna già da diversi mesi, portando alla luce forse tutte le tensioni che hanno caratterizzato, negli ultimi anni, il mondo del contemporaneo. E che a Kassel probabilmente esploderanno. A partire da una serie di domande [di Matteo Bergamini]

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In un recente articolo apparso su “Artforum”, Elizabeth Schambelan parla con Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice di dOCUMENTA 13, l’evento dell’anno. O del quinquennio forse. Perché idealmente questa edizione, la tredicesima, di Documenta, anzi, dOCUMENTA, avrà tutta l’aria di essere un riassunto di cinque anni di pensieri, di idee, di situazioni. Partorite dalla curatela di Christov-Bakargiev, ma sotto sotto germogliate alla luce degli ultimi avvenimenti storici e politici di un mondo occidentale che si è scoperto più fragile, indebolito da questa “crisi” ormai eviscerata in tutte le salse. Ma che in questo caso, probabilmente, troverà una risposta quantomeno teorica al suo svolgersi, al suo legame virale con il Dna delle tensioni creative, che ora come mai, in un ritorno quasi avanguardistico da seconda metà del Novecento, prendono atto della situazione “comune”. 
Non è un caso che l’articolo titoli proprio “Common Cause”, non distante da quella che sarà la Biennale di architettura targata Chipperfiel, “Common Ground”. Ma questa è un’altra storia. O forse è la medesima, vista da due angolazioni differenti.
A Kassel le angolazioni saranno più di cento, e saranno i punti di vista di una serie numerosissima di discipline, dalla a di “attivista” alla z di “zoologo”. Se il messaggio non è ancora chiaro vi basti sapere che questa sarà la Documenta dell’ “esplosione”, forse proprio la documentazione dell’atto di deflagrazione dell’arte, una parola che nel caso della manifestazione tedesca ricoprirà in toto un’idea globale di interdisciplinarietà. Come abbiamo riportato nella news “dOCUMENTA. I luoghi e le domande della 13esima edizione, un incrocio di “cause comuni””, è proprio quest’esplosione della dimensione dell’arte verso il mondo esterno a sollevare, anche, gli interrogativi su cosa si vedrà a partire dal prossimo 9 giugno a Kassel. E in altri quattro luoghi del pianeta, legati insieme da quattro domande.
Quattro quesiti che sembrano, in senso metaforico, i punti cardinali dell’arte a vent’anni di distanza dalla Biennale di Achille Bonito Oliva. In quel caso si era da poco entrati negli anni Novanta, vittime di un decennio che aveva fatto terra bruciata delle “cause comuni” che avevano portato l’Occidente degli anni Settanta a riflettere e allo stesso tempo a violentarsi, nella contraddizione e nella dimensione di una storia che aveva riscoperto la lotta, le differenze, le scale sociali.  

Che dOCUMENTA sia il palcoscenico, non tanto per ricostruirne le tensioni, quanto per metterle in luce, forse quasi alla fine di un lustro che ha mutato la percezione dell’uomo nei confronti del suo tempo, del potere, nonché della fruizione dell’arte? Che poi arte, precisa Christov-Bakargiev nell’intervista-conversazione, è una parola che tradisce una particolare ristrettezza: «Gli antichi greci non avevano neanche una parola per “arte”. Avevano la parola techné, che non significava per niente “arte” così come la intendiamo noi oggi, ma piuttosto qualcosa come “artigianato” o “mestiere”. Quindi sia che l’arte continuerà a essere definita come un campo a sé oppure no, è una questione aperta». Resta il fatto che a Kassel, molto probabilmente, le questioni non solo saranno aperte, ma spalancate.
Non vi sarà il piglio duro che pare contraddistinguere la Biennale di Berlino, non vi sarà nemmeno un taglio troppo “occidentalista” come quello che si vuole dare alla prima Biennale di Kiev che però, per ora, ha ricevuto solo dure critiche circa la mancata organizzazione, sicuramente vi sarà qualcosa di più sperimentale rispetto alla Biennale di Venezia.
Le premesse della curatrice, riportate anche nel saggio Letter to a Friend, e pubblicata nel volume “100 Notes, 100 Thoughts”, il volume che accompagna la deflagrazione-Kassel: «dOCUMENTA è il luogo dove l’arte è percepita essere di massima importanza come una lingua comune internazionale e tra un mondo di ideali e speranze condivise, implicando il fatto che l’arte abbia in verità un ruolo importante da giocare nei processi sociali di ricostruzione di una società civica, di pratiche di guarigione e di ripresa». Potrebbe sembrare un passo di ennesima retorica, il pensiero stanco di un’arte che a sua volta è esausta, stremata, fatta a pezzi dal proprio tempo e bisognosa di celarsi sotto aspetti poco riconoscibili per evitare di essere ancora una volta intaccata, ponendosi unicamente come pensiero, come modalità di tradimento dell’estetica per farsi portavoce di segni sociali spesso poco riconoscibili, occultati dal buio, venuto dopo l’accecamento mass-mediatico a cui hanno fatto riferimento, all’indomani del 2000 e delle Twin Towers, Baudrillard, Virilio, Bauman. 

Sono passati dieci anni dal 2002. Un periodo dove sono crollati vertiginosamente termini come “virtuale”, “realtà amplificata”, “post-produzione”, “finzione”. Sono rimasti agli alti ranghi, alle battaglie politiche, al mondo della televisione, la vecchia scatola delle meraviglie che è invecchiata insieme ai suoi utenti destinata forse a scomparire. E la dimensione “mondana”, tirata in ballo dalla curatrice di Documenta, forse lo dimostrerà. Sì, avete letto bene. Tra le altre parole che Carolyn Christov-Bakargiev ha tirato fuori c’è il lemma “mondano”, inteso nella sua accezione ottocentesca, come “consapevole di mondo”: «L’idea del mondano permette una modalità di visione che considera diversi tipi di conoscenza alla pari gli uni con gli altri. Consideriamo, per esempio, l’idrologia occidentale e la conoscenza indigena in Australia a proposito delle correnti dei corsi d’acqua e l’equilibrio dell’ambiente, ma al di là di ciò, includendo per esempio la conoscenza che una pianta usa nel momento in cui gira in direzione del sole». Gli altri e il loro mondo, il mondo che abitiamo tutti dove ognuno di noi è alterità per l’altro.
Probabilmente anche il termine “alterità” è crollato nel suo significato di “diversità” anche perché, ribadiamolo, l’oro di cui si va in cerca si chiama “cause comuni”.
Così, in comune, si è messo anche il territorio: Kassel si è messa in discussione, si è posta una serie di domande, si è fatta esplodere a partire da una serie di azioni che la dicono lunga sulla piega che sta prendendo l’arte contemporanea: si è cominciato nel giugno 2010, quando Giuseppe Penone ha installato la prima opera come “partecipante” di dOCUMENTA: Idee di pietra, un albero di bronzo con una pietra nel tronco, “piantato” nel parco di Karlsaue. Poi sono venuti i taccuini, poi un progetto che il collettivo AND AND AND ha portato in scena dalla Tunisia a New York, il loro progetto di “partecipazione” a questa edizione. Ah, già, un’altra parola è “partecipazione”: la lista degli artisti verrà diffusa ufficialmente il prossimo 6 giugno, durante la conferenza stampa, ma per ora artisti, critici, curatori e collettivi sono inseriti sul sito web alla voce “partecipanti”. Non sono protagonisti, altro lemma che forse questa crisi ha contribuito ad appannare, ma coloro che hanno contribuito a mettere una pietra su questo strano muro che ancora non ha preso una forma definita. E che forse vedremmo chiaramente solo tra qualche anno, magari una decina.
Ma quali sono le fondamenta? La Christov-Bakargiev si dichiara in sciopero, perché un curatore dovrebbe fare una mostra, dovrebbe riprendere un tema e sceneggiarlo attraverso opere, costruire un pensiero. E invece? Invece «in un certo senso, Documenta 13 emerge come conseguenza di un tipo di resistenza, una resistenza formale, una resistenza concettuale alle chiusure epistemologiche e alla produzione della conoscenza». 

E tutto l’impianto della nuova dOCUMENTA si muove attraverso quattro domande fondamentali come sono quattro i luoghi che ospiteranno una manifestazione che, per la prima volta, è scheggiata dall’Afghanistan al Canada. Eccole:
Cosa significa essere in uno stato di assedio? 
Cosa significa essere in uno stato di speranza? 
Cosa significa essere in ritirata, in ritiro? 
Cosa faccio quando sono in scena, quando mi sto esibendo?
Quattro movimenti fondamentali, quattro tempi della vita che convogliano da un luogo all’altro, perché «sono sempre, in qualche modo, domande sovrapposte, in una condizione di disgiunzione ma allo stesso tempo simultaneità. Kassel, per esempio, può essere considerato un palcoscenico, l’esibizione è sempre in scena. Ma è anche sotto assedio, nel senso che il sistema dell’arte, questo set di rituali del Ventesimo o Diciannovesimo secolo, è in una fase di transizione verso qualcos’altro, e la condizione ideale per l’esibizione è diventata una finzione di se stessa. Allo stesso tempo si potrebbe dire che Kassel è in uno stato di speranza, poiché storicamente dOCUMENTA è uno spazio sospeso al di fuori delle correnti che finanziano l’arte. E infine sappiamo che Kassel è un po’ come un ritiro, sia per alcuni giorni nella veste di visitatori o per mesi, lavorando come artisti a un progetto». 
Lo spazio speculare di Kassel? È Kabul, che alle stesse questioni dà, ribaltate, le medesime risposte della città tedesca. A Kabul si terrà una collettiva curata da Andrea Viliani insieme all’artista Aman Mojadidi: due “agenti partecipanti” del rituale della nuova dOCUMENTA, come ultima fase di una serie di laboratori iniziati nel 2010 con  Francis Alÿs, Mario Garcia Torres, Mariam Ghani, Khadim Ali, Michael Taussig e altri che con la curatrice sono partiti alla scoperta del One Hotel di Alighiero Boetti, creando una serie di relazioni con i protagonisti dell’arte locale: «E tutto ciò non ha dato spettacolo, non ci sono stati comunicati stampa. E anche questo è stato importante per me» afferma Christov-Bakargiev.
Il terzo luogo Il Cairo, a identificare, idealmente, la speranza. All’indomani della primavera araba, il palcoscenico e l’esibizione, il “Cairo Seminar” è una collaborazione con la MASS Alexandria, una piccola scuola gestita dall’artista Wael Shawky, e con il Forum di arti contemporanee di Alessandria d’Egitto. L’agente dall’Egitto sarà il “Centro Risorse Internazionale” de Il Cairo, che ospiterà un seminario sul tema della speranza: «Cosa significa? Che cos’è questo concetto? L’operazione sarà smontarlo ed esplorare le relazioni tra la speranza e il sonno, nell’atto del dormire come forma di speranza. In Egitto non ci sarà alcuna esibizione, poiché molto spesso quando si è in uno stato di speranza, non si fa arte». Un seminario senza “mostra” conclusiva. Un altro pensiero “contro”.

Il quarto luogo, identificazione del ritiro, è il Banff Centre, tra le montagne di un parco nazionale in Alberta, Canada. L’agente in questo caso è la direttrice Kitty Scott, che in collaborazione con dOCUMENTA, in agosto organizzerà un ritiro di due settimane sull’argomento del ritiro, con partecipanti come Pierre Huyghe e il filosofo ungherese Gáspár Miklós Tamás. Ma al Banff ci sarà un’esibizione curata da Brian Jungen in collaborazione con Duane Linklater. Di cosa esattamente ancora non si sa.
Come poco ancora si sa del classico Fridericianum, dove anche in questo caso vi saranno analogie disgiunte, eppure speculari: frammenti di sculture distrutte provenienti dal museo nazionale di Beirut, che avrà un parterre cospicuo di artisti partecipanti, da Walid Raad, Rabih Mroué, Akram Zaatari, Emily Jacir a Hassan Khan, associate alla fotografia di un giovane artista cambogiano di nome Vandy Rattana, che mostra ciò che ora appare pittoresco, ma che era il luogo di impatto di una bomba precipitata negli anni Settanta, una serie di dipinti di bottiglie di Giorgio Morandi e bottiglie vere e proprie che lui stesso dipinse, ricoprendole di pittura a olio.
Tautologia? Per ora tutto è da scoprire, anche se certamente il punto della situazione, da Kassel, ce lo si aspetta molto più che da una fiera o da una mostra qualsiasi. Perché di tutto si tratta, dall’economia (e non solo dell’arte) alla visione di un mondo che «si sposta, si parla, si incontra. Le alleanze “mondane” non sono altro che persone che vanno da un luogo all’altro; portando con sé idee, discutendo e prendendo con sé idee quando se ne vanno. Non tutto è pubblicato; non tutto trova la sua strada per giungere alle registrazioni storiche e al regno di ciò che può essere comprovato. E quei salti dell’immaginazione, quelle connessioni, succedono costantemente, anche oggi», chiosa Christov-Bakargiev.

3 Commenti

  1. Le premesse sembrano interessanti, vediamo come vengono risolte. Il curatore è animale bravissimo nel confezionare contenitori, mentre i contenuti tendono sempre ad essere standard “non mondani”, non consapevoli. Vediamo.

    In questa accezione di partecipazione allargata ho deciso di partecipare anch’ io. Non in termini vanitosi e narcisi ma nel termine puro di “partecipazione”, come potrebbe fare ogni spettatore (cittadino?) da protagonista lucido e attento. Questo penso che sia l’unica lezione post anni novanta ,post 2001. Parteciperò anche scrivendo un pezzo per flash art e paragonando questa documenta alla biennale di berlino ora in corso.

    LR
    NR(Kassel)_vedi whitehouse_

  2. A me sembrava fin dall’inizio una Documenta in cui la curatrice ha tentato soprattutto di puntare i riflettori su di sé e sul ruolo del curatore. Porsi domande senza cercare risposte non è certo un modello speculativo vincente. Stiamo a guardare…

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