27 febbraio 2012

L’intervista High Line un ponte sull’arte

 
Una vecchia ferrovia sopraelevata nel West Side di New York che serviva per i commerci dell’ormai celeberrimo Meatpacking District. Nel 1980 ci passa l’ultimo treno. Poi l’abbandono, una lobby di costruttori che vuole abbatterla e un progetto di riqualificazione sostenibile. Fino a che diventa la più bella passeggiata della Grande Mela, tra il Chelsea art district, le prossime sedi del Whitney e del Dia Center. Ci racconta tutto Cecilia Alemani [di Matteo Bergamini]

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In che prospettiva si situa un discorso sull’arte in un contesto affascinante ma al tempo steso difficile, anche a causa dei suoi spazi ridotti, come quello della High Line?

«Il programma di Arte Pubblica sulla High Line è sicuramente unico date le condizioni architettoniche e strutturali del luogo. E’ vero, lo spazio è limitato e inoltre bisogna ricordare che la High Line è prima di tutto un parco pubblico, quindi la vegetazione rigogliosa che vi cresce ha la priorità. Detto questo, è sicuramente un luogo molto stimolante per gli artisti. Non si tratta di uno spazio tradizionale da museo, ma neanche di un parco normale: non ci sono distese d’erba o grandi alberi, la vegetazione è ispirata alle piante native che crescevano sulla High Line in passato. Quindi, si tratta di un parco incomparabile ad altri presenti in città. Penso che gli artisti trovino questi elementi molto stimolanti: puoi creare un progetto che dialoghi con la natura, con l’architettura della High Line stessa e anche con il paesaggio urbano che la circonda».

Quali saranno le soluzioni espositive o i media privilegiati? Qualche anticipazione sui progetti?

«Gli artisti sono invitati a proporre progetti in cui l’arte si integri, si confronti e in qualche modo si scontri con gli elementi che ho detto: l’architettura e il paesaggio circostante. Quello che mi interessa di più è che opere e installazioni creino un dialogo con la High Line e con i suoi visitatori. In poco più di due anni questo sito è stato visitato da 7 milioni di persone, quindi oltre l’architettura e la natura bisogna tenere presente il pubblico. Alcune delle opere inviteranno il pubblico a intervenire in modo interattivo, altre saranno più monumentali, mentre altre ancora saranno da ricercare in luoghi meno visibili».

Quali sono i primi artisti che verranno coinvolti?

«Il programma di High Line Art è diviso in 4 formati: High Line Billboard, Channel, Performances e  Commissions. Abbiamo già iniziato a programmare i primi due formati, mentre per le performance e per le commissioni dobbiamo aspettare la tarda primavera e l’estate perché nei mesi di gennaio e febbraio la High Line è normalmente coperta da un metro di neve. Per High Line Billboard s’intende l’uso di un grande cartellone pubblicitario per il quale possiamo commissionare progetti ad hoc. Il primo artista che ho invitato è stato John Baldessari che a dicembre ha trasformato lo spazio del billboard in una gigantesca banconota da 100mila dollari, prodotta dal governo americano negli anni trenta durante la grande depressione. Il prossimo billboard a febbraio sarà concepito da Anne Collier. Abbiamo anche lanciato un programma di video proiezioni all’aperto che si chiama High Line Channel e che è stato inaugurato con Gordon Matta-Clark. Il prossimo artista sarà Jennifer West, cui seguirà un programma curato da Lisa Oppenheim».

La High Line passa sopra Chelsea e le sue gallerie, tra poco aprirà vicino un’ulteriore sede del Whitney. Sono in programma collaborazioni con queste realtà?

«L’arrivo del Whitney all’inizio della High Line imporrà un grande cambiamento a tutta la scena artistica di Chelsea. L’apertura è prevista nel 2015 e sicuramente troveremo modo di collaborare. A me piace pensare alla High Line come al nuovo “museum mile” sul lato occidentale dell’isola di Manhattan: una nuova strada sospesa che connetterà il Whitney, la nuova sede del Dia sulla 22esima strada, e una nuovissima istituzione disegnata da Elizabeth Diller chiamata Culture Shed che aprirà fra qualche anno alla fine della High Line, sulla 30esima strada. Tra musei, spazi no-profit, gallerie commerciali, Chelsea si imporrà sempre di più come la destinazione per eccellenza dell’arte contemporanea e la High Line funzionerà come un ponte che connette queste realtà così differenti».

Anche Chicago ha istituito un comitato per avere la sua passeggiata sul vecchio terrapieno della Bloomingdales Trail. Pensa che sia finalmente arrivata l’idea che anche una vecchia ferrovia possa costituire un valore culturale aggiunto, nonché economico, al luogo che la ospita?

«In America altre città si stanno ispirando al modello della High Line. Oltre Chicago, anche Filadelfia sta esplorando l’idea di convertire un vecchio viadotto in un parco. Penso che progetti come questi siano il segno di come la cultura americana abbia la forza e la concretezza pragmatica di trasformare in realtà grandi sogni che possono apparire completamente irrealizzabili all’inizio. Proprio come il progetto della High Line».

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