05 giugno 2012

Lo spazio secondo Daniel

 
Rimanda alla fisica, all'astronomia, alla matematica, alla meccanica o alla semplice forma del cerchio. Con Excentrique(s), travail in situ Daniel Buren è intervenuto in modo sorprendente nella navata del Gran Palais. Realizzando un'opera che cattura lo spazio del celebre museo parigino e che, tra colori e suoni, è tutta da scoprire. Riscuotendo ancora una volta un gran successo di pubblico [di Livia de Leoni]

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Daniel Buren, nato nel 1938 a Boulogne-Billancourt, ma di casa a Parigi da molti anni, apre la quinta edizione di Monumenta con Excentrique(s), travail in situ, installazione che si immerge nella storia, la bellezza e la luminosità dei 13,500 metri quadrati e i 45 metri di altezza della navata del Grand Palais. Rendez-vous irrimandabile con un’opera inedita creata appositamente per lo spazio parigino, Monumenta ha ospitato artisti quali Anselm Kiefer (2007), Richard Serra (2008), Christian Boltanski (2010) e l’anglo-indiano Anish Kapoor (2011), il quale ha richiamato oltre i 270mila visitatori in quasi sette settimane. Dal canto suo, incredibile ma vero, secondo i dati del Ministero francese della Cultura e della Comunicazione Daniel Buren conta al suo attivo quasi 2000 esposizioni nel mondo e tutte realizzate con una grande attenzione allo spazio, come è stato al Guggenheim di New York e per la Cour d’honneur al Palais Royal a Parigi.

Excentrique(s) è un lavoro creato per un luogo preciso che non può trovare un’altra collocazione senza perdere il suo significato d’origine, e per Buren l’elemento fondamentale della navata è il volume e di conseguenza l’aria e la luce, la prima da scolpire e la seconda per dare forma al colore. Il lavoro di Daniel Buren, combinazione di arte, riflessione teorica e tecnica, rivela in modo inatteso l’ambiente in cui l’opera si colloca, così è per la grande navata del Grand Palais, la più grande d’Europa vero capolavoro di tecnica e di proporzioni, che non funge solo da magnifico contenitore, ma diventa parte dell’opera stessa. I volumi e le forme di Excentrique(s), travail in situ si riallacciano al senso del ritmo nella scansione dei volumi interni dato dagli archi della navata che, seguendo un preciso schema modulare, si riallacciano al grand escalier d’honneur.

Ma com’è l’opera? Questa, che ricopre per intero lo spazio interno, presenta 24 grandi cerchi trasparenti posti in orizzontale attraverso i quali filtra la luce e che, colorati alternativamente in blu, giallo, rosso e verde, sono sospesi ad un’altezza di poco più di tre metri sostenuti da sottili pilastri a strisce bianche e nere. Intorno ad ogni cerchio ruotano altri otto cerchi più piccoli, ogni insieme poi è legato all’altro da altrettanti cerchi, ad eccezione di quelli che si rivolgono verso le braccia della scala d’onore, perché a forma di luna crescente. All’interno dell’opera sono stati inseriti armoniosamente il bar e la libreria. Infine, la struttura si apre al centro accogliendo nove specchi tondi di svariate misure, posti per terra, che assorbono e restituiscono la luce, ma anche l’immagine sovrapposta della cupola centrale della navata anch’essa stravolta dall’estro di Buren, tappezzata qua e là di blu.

Dall’opera emergono una pluralità di colori, luci, suoni e riflessi, tutti legati al variare delle ore, che sublimano l’esperienza percettiva – collettiva ma soprattutto individuale – perché legata alla deambulazione libera dello spettatore nell’opera stessa e al suo continuo cambiare punto di vista. Questi, infatti, si sposta in un paesaggio di luce che potrebbe fargli affiorare alla mente l’evanescenza delle magnifiche ninfee di Monet, così come l’architettura di uno strabiliante e alquanto etereo giardino all’italiana. Grazie anche all’attenzione che rivolge al dettaglio visivo, il suo lavoro è legato ai sensi che interagiscono ora con il gioco dei colori, ma anche con il suono dato in Excentrique(s), travail in situ da altoparlanti in cui un missaggio di piccoli testi, che enumerano cifre e numeri adottati durante la creazione, viene enunciato da trentasette persone in altrettante lingue diverse che rimandano al mito della Torre di Babele. L’artista, quindi, non si contenta solo di dipingere lo spazio ma, attraverso esso, parla allo spettatore. L’opera rimanda, in un certo senso, al parallelismo tra ordine e caos in cui l’ordine diventa mezzo per sottomettere la natura ma questa, impossibile da controllare, rende il futuro instabile. Così le onnipresenti linee verticali di Buren, qui in bianco e nero, si contrappongono ad imprevedibili giochi di colore e l’ordinato spazio visivo viene spezzato dai campi sonori degli enunciati in 37 lingue, mentre l’immersione dell’opera nella luce naturale e nei vuoti dell’architettura del luogo la rendono mutevole, mai uguale a se stessa.

Nelle diverse creazioni di Buren si scorge una valenza quasi metafisica, cioè di qualcosa che va al di là della conoscenza sensibile e che spinge il visitatore ad indagare oltre i limiti del percettivo per coglierne l’infinitezza, l’opera Les Deux Plateaux (1985-1986), meglio conosciuta come “le colonne di Buren”, a strisce bianche e nere poste ad altezze diverse in linea con l’architettura della Cour d’honneur al Palais Royal che le accoglie, ne è un esempio.

Excentrique(s), travail in situ racchiude in sé il senso dell’arte di Buren, a cominciare dall’importanza che da sempre dà al colore sin dai suoi inizi quando nell’Arte Minimalista o Concettuale sembrava bandito per far posto al bianco e nero. Mentre le strisce verticali alternate bianche e colorate, unico segno immutabile nell’opera di Buren in quasi cinquanta anni di carriera, nascono, dalla fantasia di un tessuto, scoperto nel 1965 durante una passeggiata nel famoso mercato Saint Pierre di Parigi, ai piedi della basilica del Sacré Cœur. Il modello a bande alternate, inizialmente sfondo nelle sue pitture e guida per rivelare l’opera stessa, diventa mezzo per far parlare lo spazio delle sue potenzialità e dimensioni, ciò che Buren chiama il suo strumento visivo.

Altri elementi sono la luce ma soprattutto il riflesso che elabora attraverso l’uso di specchi, che l’artista considera come un terzo occhio che permette di vedere ciò che si ha davanti e dietro di sé, restituendo, mai la realtà così com’è, ma sempre qualcosa d’altro. Infine c’è il movimento che l’artista esplora anche attraverso l’attività d’una compagnia circense la Buren-Cirque, in riposta alla sua teoria secondo la quale un’opera non deve restare immobile, attaccata alla parete di un museo, ma deve vagabondare, esplorare e divenire essa stessa movimento.

La compagnia Buren-Cirque è in programmazione durante la mostra con lo spettacolo Nord/Sud. La costruzione di Excentrique(s), travail in situ è stata assegnata allo studio Project Art, diretto da Patrick Ferragne, che ha accompagnato Daniel Buren nel corso degli ultimi venti anni.

1 commento

  1. sono nativa della bellissima Spezia e vorrei tanto che il sig Buren non met
    tesse quegli orribili archi nella mia città,che è fatta di gente piena di sentimento e tutta quella fredda matematica non ci appartiene .più che una piazza la sua è la visione di una palestra!

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