16 marzo 2012

Ma qual è la professione dell’artista?

 
Dai frutti di Caravaggio al mercato dell’arte. Dalla Fondazione Cerere a Il Cielo di Palazzo Taverna, passando per i celebri “Incontri” nati negli anni Settanta. Attraverso acquarelli, performance e il cibo preso metaforicamente come alimento di un sistema di scambi, Elisa Strinna indaga sul ruolo dell’artista e sulla mercificazione dell’arte. Perché c’è ancora qualcosa da dire. Oltre a rendere omaggio a Graziella Lonardi Buontempo [di Paola Ugolini]

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Elisa Strinna, classe 1982, è un’artista padovana che, nonostante la giovane età, può già vantare una produzione artistica concettualmente e formalmente matura. Vincitrice nel 2011 della II Edizione di 6ARTISTA ha appena trascorso un periodo di residenza per artisti under 30 alla Fondazione Pastificio Cerere di Roma. Durante questo periodo di residenza nel quartiere popolare di San Lorenzo, l’artista ha frequentato il mercato dell’Esquilino, un luogo multietnico dove i prodotti nostrani sono mescolati agli alimenti tipici di ogni parte del mondo. Il progetto artistico che la Strinna ha presentato al Museo Macro di Roma, come saggio finale di residenza, è nato comprando quei prodotti esotici che poi ha dipinto ad acquerello. Le suggestioni cromatiche e formali degli strani frutti, per lo più sconosciuti, e la loro conseguente astrazione dovuta alla pratica del disegno sono alla base del lavoro dal titolo Variazioni su canestra di frutta. Partendo dalla Canestra di frutta di Caravaggio, che l’artista realizzò a Roma tra il 1594 e il 1597, la Strinna ha sostituito alcuni frutti presenti nel quadro originale con quelli esotici comprati al mercato e la canestra stessa è rimpiazzata da un comune contenitore di Ikea.

L’opera è una riflessione sulla funzione del cibo che, non è più solo fornire il nutrimento necessario per la sopravvivenza, ma anche alimentare un sistema di scambio regolato dal profitto a livello transnazionale. Il profitto e il plus-valore sono elementi presenti anche nella performance The Artist’s Profession che l’artista ha presentato lo scorso 25 febbraio nella sede degli Incontri Internazionali d’Arte di Roma. La performance è stata realizzata per il ciclo Il Cielo, un progetto site specific ideato nel 2001 da Graziella Lonardi Buontempo, fondatrice nel 1970 degli Incontri Internazionali d’Arte, in cui gli artisti sono invitati a realizzare un’opera sul soffitto della Biblioteca nella storica sede dell’associazione a Palazzo Taverna. In questa performance l’artista, con intelligente ironia, affronta l’annosa e complessa questione del dualismo arte/mercato a cui da sempre sono soggette le opere d’arte. Con le avanguardie del Novecento gli artisti hanno cercato di rompere o mettere in crisi, il legame inscindibile che lega l’opera d’arte, prodotto che nasce come formalizzazione di un’urgenza interiore, alla sua mercificazione.

I dadaisti nel 1917 nella rigorosa Svizzera hanno messo in scena degli spettacoli di performance non riproducibili, azioni effimere che eludevano il manufatto artistico. Duchamp ha rivoluzionato il concetto di sacralità dell’opera esponendo nei musei i suoi ready made, oggetti di uso comune che per il solo fatto di trovarsi nei luoghi deputati alla consacrazione e alla storicizzazione dell’opera d’arte diventavano “opere” a tutti gli effetti, fino ad arrivare agli anni ‘60 e alla provocazione della Merda d’artista inscatolata da Piero Manzoni in 90 esemplari numerati. Nei secoli l’opera d’arte, che noi moderni consideriamo una delle espressioni più alte dello spirito umano, non sempre è stata vista solo come un prodotto intellettuale ma, più prosaicamente, era fruita come un buon manufatto realizzato da abili artigiani che esaudivano le richieste di una committenza desiderosa di emergere socialmente.

Il mercato, cioè la supervalutazione dell’opera, e di conseguenza la figura dell’artista demiurgo “super-star”, è una realtà relativamente moderna che si è affermata durante il Rinascimento con Michelangelo e Raffaello. Lo scollamento fra valore reale dell’opera – ore di lavoro, qualità delle materie prime usate, notorietà dell’artista – e un suo plus-valore non quantificabile, è il terreno di indagine di Elisa Strinna. In questa sua performance, riesce a mettere in luce con intelligenza il conflitto esistente fra qualità estetica di un’opera e sua conseguente possibilità di generare profitto. L’archivio e la biblioteca degli Incontri, dove dal 1970 si accumulano libri e cataloghi d’arte, sono state le fonti ideali dove poter rintracciare le parole appassionate e profonde che tanti importanti artisti hanno pronunciato nel corso dei secoli. L’artista ha scelto una serie di frasi di grande intensità lirica che sono state lette nel corso della performance da due attori (Lorenzo Gioielli e Natalia Magni) che hanno recitato in piedi, uno di fronte all’altro, vestiti in modo identico. Alle due voci alternate maschile e femminile ha fatto da sottofondo una terza voce (Virginia Franchi) che enunciava con tono stentoreo le quotazioni raggiunte da una serie di famose opere d’arte durante le aste di Sotheby’s e Christie’s.

Un’azione semplice, ma efficace per mettere in cortocircuito due momenti, creazione dell’opera e sua conseguente commercializzazione, che solo apparentemente sono opposti e distanti. Nella seconda fase di questo progetto l’artista interverrà nelle lunette della biblioteca “affrescando” due statement scelti dai testi della performance, che in questo modo si sostituiranno metaforicamente alla presenza fisica degli attori.

Sede: Palazzo Taverna, via di Monte Giordano, 36 – Roma

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