17 maggio 2014

Modena fa clic

 
Con la Fondazione dedicata alla Fotografia, il capoluogo emiliano si conferma centro virtuoso della camera oscura e dintorni. Ma in realtà è tutta l’Emilia ad avere una spiccata passione per questo linguaggio artistico. Chissà come mai, proprio qui, sono nati alcuni dei migliori fotografi italiani: Ghirri, Vaccari, Barbieri, Fontana. Ma ora in mostra è un tedesco, Axel Hütte, chiamato a Modena per raccontarne il paesaggio. Naturale e umano

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Futuro e tradizione. Un ossimoro che in questi tempi di elezioni sembra più uno slogan politico, ma che riassume perfettamente il senso del doppio evento organizzato dalla Fondazione Fotografia Modena: due mostre indipendenti, dedicate ai fotografi della “Scuola modenese” e al tedesco Axel Hütte, entrambe visitabili negli spazi del Foro Boario fino al prossimo 29 giugno. 
Avviata nel 2007 come progetto culturale della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, la Fondazione Fotografia si caratterizza come piattaforma privilegiata di studio e di dialogo sul ruolo fondamentale delle immagini nella nostra cultura contemporanea, uno studio che coniuga abilmente uno sguardo al passato e alla tradizione fotografica emiliana accanto a uno spiccato interesse ai linguaggi presenti e futuri del mezzo fotografico, sostenendo il lavoro di giovani artisti noti a livello nazionale ed internazionale. Costituitasi sia come centro espositivo e di ricerca che come scuola di alta formazione interamente dedicata alla fotografia e all’immagine contemporanea, la Fondazione Fotografia Modena vanta nelle proprie collezioni opere di maestri dell’immagine come Luigi Ghirri e Franco Vaccari, Irving Penn e Diane Arbus, Nuboyoshi Araki e Yasumasa Morimura e i più giovani Adrian Paci ed Ai WeiWei, e propone ogni anno un ricco e articolato calendario fatto di mostre, eventi, attività didattiche, talk e incontri con gli artisti, coniugato ad un’attenzione costante alle tematiche della conservazione e del restauro dell’immagine fotografica. Un’attività che si contraddistingue come fiore all’occhiello di una politica culturale che vede l’Emilia Romagna come luogo particolarmente sensibile alla pratica fotografica, terra che ha dato i natali a fotografi del calibro di Franco Fontana, Olivo Barbieri, Nino Migliori e dei già citati Luigi Ghirri e Franco Vaccari, e nella quale, tra pianure interminabili e casolari colorati, s’incontrano manifestazioni di rilevanza internazionale come il Festival di Fotografia Europea a Reggio Emilia, e centri espositivi avveniristici totalmente dedicati al mezzo fotografico come il MAST di Bologna e la sua Biennale Foto/Industria. 
Curata da Filippo Maggia e Claudia Fini, la mostra dedicata ad Axel Hütte, “Fantasmi e Realtà” nasce dalla collaborazione con la Fondazione Bevilacqua La Masa, che ospiterà a Venezia la seconda parte dal progetto, inaugurata in concomitanza alla Biennale Architettura, il prossimo 5 giugno. Classe 1951, allievo dei coniugi Becher all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, tra il 2011 e il 2013 Axel Hütte è stato ospitato in residenza sia a Modena che a Venezia, conducendo una sua personale ricerca su due tematiche classiche della storia dell’arte europea: il paesaggio alpino e le vedute veneziane. 
Nel capoluogo emiliano, il fotografo tedesco presenta una ventina di lavori di grande formato in cui alterna immagini dell’Appennino tosco-emiliano a ritratti di passi alpini e delle montagne che li circondano. In questi lavori, Axel Hütte descrive una montagna altèra e intrisa di sentori metafisici, dominata dalla contrapposizione tra il candore della neve e dei cieli invernali con le asperità della roccia nuda, scenari immersi in un’atmosfera alienante e silenziosa. La visione oggettivante tipica degli insegnamenti di Bernd Becher, si mescola allo straniamento prodotto dalla mancanza di qualsiasi indicazione di scala, immagini al cui interno lo spettatore non può collocarsi ed è sopraffatto da un senso di spaesamento che ricorda vivamente quel sentimento del sublime tanto caro ai pittori di epoca romantica. Ma davanti alle opere di Hütte, torna in mente anche l’attività dei nostri paesaggisti dei primi del Novecento, Emilio Longoni o Leonardo Roda per esempio, che avevano tratto ispirazione dagli stessi luoghi scelti oggi dal fotografo tedesco. 
Dai paesaggi alpini di Hütte si passa all’arte dei fotografi della “scuola emiliana”. “Modena e i suoi fotografi”, infatti, è un progetto curato da Stefano Bulgarelli e Chiara Dall’Olio, ed è incentrato sull’indagine della storia artistica locale e degli uomini che dal secondo Dopoguerra in poi hanno fatto del capoluogo emiliano un punto di riferimento imprescindibile per la fotografia d’autore in Italia. Partendo dagli animatori del Circolo Fotografico Modenese degli anni Cinquanta e Sessanta, per lo più fotoamatori come Renzo Cambi e Giovanni Tosi, il percorso riunisce le opere degli artisti che negli anni Settanta gravitavano intorno alla Saletta della Cultura, lo spazio espositivo d’avanguardia curato da Oscar Goldoni e al cui interno sono state presentate le prime mostre di autori come Franco Fontana, Cesare Leonardi, Beppe Zavaglia, Franco Vaccari e dell’allora sconosciuto Luigi Ghirri. Uno spazio espositivo pubblico totalmente libero, privo di ogni contaminazione politica, come ribadito in uno stralcio della Seduta Consiglio Comunale di Modena del 19 febbraio 1976 riportato nel catalogo che accompagna la mostra, nel quale si sottolinea come le mostre fotografiche erano da considerarsi un’ «opportunità per mettere il pubblico modenese di fronte alla novità e quindi anche all’avanguardia, fornendogli occasione di un momento di discussione e di verifica in termini problematici, senza che la Galleria debba peraltro farsi carico delle ideologie e dei valori proposti». Insomma, una vera e propria dichiarazione di “cultura come fatto di libertà” che quarant’anni più tardi sembra sempre più una chimera da raggiungere per la nostre pubbliche amministrazioni. 
   

1 commento

  1. Già nel lontano 1981, Enrico Crispolti, titolare della Cattedra di Storia dell’Arte contemporanea della Facoltà di Lettere dell’Università di Salerno, e Antonio Tateo artista del sociale e operatore prevalente del linguaggio fotografico nonché professore di Storia della Fotografia all’Università di Salerno fino al 2010, con la collaborazione di Lucilla Clerici de “Il Diaframma” di Milano, ebbero il coraggio di diffondere la Fotografia con la Rassegna “Foto, grafia flessibile”. Utilizzando lo spazio della Libreria “La Boite”, fu possibile far conoscere le realtà e i personaggi citati nell’articolo, di una fotografia ricca di “significati” nel meridione d’Italia, dove ancora allora veniva considerata soltanto l’arte pittorica come “vera Arte”. Questo evento, forse, non è stato storicizzato dalla “Fondazione di Fotografia”, ma spero che ne storicizzeranno questo evento che fece conoscere perfino Ghirri, la cui scomparsa ha fatto dimenticare ai “fotografi” un’arte “tecnologica” connotata e grazie alle sue figlie che il suo nome sia stato riportato alla luce e soprattutto i suoi lavori “surreali” contenenti una realtà urbana e sociale-umana al “Maxi”. Antonio Tateo detto Tato

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