18 luglio 2006

Napoleone in villeggiatura

 
Il Napoleone incoronato imperatore, di François Gerard, trascorrerà l’estate a Milano. Ma è la storia di un esilio. E una vicenda che coinvolge collezionisti e piccoli musei. Opportunità o perdita di valore? Un aneddoto a mo’ d’exemplum…

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Un Napoleone quasi borbonico, avvolto in regali panni d’ermellino, trascorre l’estate a pochi passi da Brera nel patrio Museo del Risorgimento di Milano. Villeggiatura iniziata a marzo e che si protrarrá fino a settembre inoltrato quando il console riprenderà il volo per Londra. Ragione del viaggio? Una mostra curata da Ferdinando Mazzocca sul poeta Vincenzo Monti. Prossimo soggiorno nel Belpaese? Primavera 2007 (forse e forse per sempre). Un’occasione per raccontare una delle tante storie di patrimoni emigrati, ma anche come sempre più spesso accade un segnale di possibile inversione di rotta.
Commissionata a François Gerard (1770- 1837) subito dopo l’incoronazione di Bonaparte a imperatore, nasce come prezioso dono per il figliastro Eugenio di Beauharnais, viceré di Milano. Opera già protesa verso la Restaurazione, che abbandona i canoni dell’eroico console-condottiero e della sua successiva interpretazione mitologica (come la copia bronzea dell’imperatore nei panni di Marte al centro del cortile di Brera). Piuttosto si avvicina scandalosamente alle parate gotico-barocche tanto care a Carlo X e ai fasti post-Congresso di Vienna, di cui lo stesso Gerard sarà apprezzato cantore, tanto da replicare il successo del suo Amore e Psiche (1798) con la nomina a barone. L’opera la dice lunga sul progetto politico di quegli anni, lontano dagli idealismi rivoluzionari, tanto da non disdegnare di proporre Bonaparte nel gesto e nella posa di un vero e proprio sovrano borbonico, salvo però destinare queste opere tanto esplicite a corti periferiche, preferendo per Parigi ieratiche pose da Giove Olimpico come nell’opera del 1806 di Ingres di uguale tema.
Old master, storia patria, territorio, eroi e monarchi, quanFrancois Gerard, Napoleone incoronato, 1806, olio su tela, 203x258cm to basta per far gola a musei e sovrintendenze, in trattativa per il riacquisto. Dopo la guerra, infatti, l’opera passò a Racconigi e fu venduta dai Savoia a Pietro Accorsi che la offrì al Museo del Risorgimento di Torino. In quel periodo la città non godeva certo dei ricchi finanziamenti olimpici, acclamati recentemente con l’acquisto del crocifisso di Michelangelo; così con il museo insolvente, il bene fu alienato, importato e destinato a trovare posizione sul fiorente mercato londinese.
Da questo breve aneddoto è possibile ricavare due differenti conclusioni. Una prima, più pessimistica, che riconosce una problematica ancora diffusa nei musei di piccole dimensioni: il raggiungimento di un potere contrattuale, tale da convogliare finanziamenti e donazioni e permettere la moltiplicazione del valore e del pubblico extra-scolastico. In questo contesto appare paradigmatico anche il caso del patrimonio ottocentesco della città di Milano: nonostante l’importanza delle opere sparse nelle numerose istituzioni cittadine, continua ad incontrare vita difficile una gestione sistemica capace di coordinare energie ed aspettative. Ne derivano pertanto una micronizzazione del valore ed un misconoscimento delle iniziative, come appunto lo scarso dibattito che ha suscitato in città la presenza dell’opera in questione. È in quest’ottica che occorre forse ripensare la suddivisione tra musei con una missione prettamente storica (il gruppo Musei del Centro) e musei con un interesse maggiormente formale (Villa Belgiojoso).
Il cortile del Museo del Risorgimento, Milano
Le trattative di riacquisto che interessano l’opera di Gerard, in vista della sua sistemazione nella Villa Reale di Monza, lasciano però intravedere l’altra possibile conclusione, questa volta più ottimistica: le piccole dimensioni potrebbero trasformarsi in punto di forza, se capaci di creare quel rapporto privilegiato con i collezionisti, che porta nel lungo temine all’arricchimento delle collezioni. Considerazione possibile anche alla luce del recente dato che vuole il 90% dei dipinti italiani venduti nelle grandi aste di Londra e New York opera di acquirenti italiani.

alberto osenga

[exibart]

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