14 marzo 2021

Non c’è arte senza cervello

di

Intervista a Giancarlo Comi, Presidente del Comitato che compone il board di "Human Brains", progetto tra arte e scienza di Fondazione Prada, che si rivelerà in due mostre a Venezia e a Milano

Fondazione Prada Milano, Ph. Bas Princen

Fondazione Prada ha intrapreso dal 2018 un percorso multidisciplinare di approfondimento e studio di tematiche scientifiche. Da queste riflessioni nasce “Human Brains”, un programma di mostre, convegni, incontri pubblici e attività editoriali previsto tra novembre 2020 e novembre 2022. Il progetto è il risultato di una complessa ricerca sviluppata in collaborazione con un comitato scientifico costituito da ricercatori, medici, psicologi, linguisti, filosofi, divulgatori e curatori come Jubin Abutalebi, Massimo Cacciari, Viviana Kasam, Udo Kittelmann, Andrea Moro, Daniela Perani. A presiedere questo comitato è Giancarlo Comi, professore onorario di neurologia dell’Università Vita Salute San Raffaele di Milano, fondatore nel 2004 dell’Istituto di Neurologia Sperimentale presso l’IRCCS San Raffele che da allora dirige. Lo abbiamo intervistato per avere alcune anticipazioni a partire dai progetti espositivi in programma.

Giancarlo Comi, Fondazione Prada, Ph. Claudia Ferri

La Fondazione Prada è nata da un interesse per le arti visive di cui si occupa da venticinque anni. Perché ha scelto oggi di occuparsi di scienze, del cervello?
«La risposta più semplice a questa domanda è che non ci può essere arte senza cervello. Tutto avviene nel cervello, il luogo dove si verifica qualsiasi forma di analisi, dove sorgono tutti gli aspetti emozionali che si accompagnano a ciò che visualizziamo. Quindi credo sia abbastanza lecito intendere che questo interesse di Miuccia Prada nasca dal desiderio di arrivare alla sorgente di quello che è il rapporto dell’uomo con le arti visive».

Quali sono gli obiettivi di “Human Brains”?
«Comprendere i principi fondamentali con cui opera il nostro cervello e andare oltre, alla radice dei processi distintivi del rapporto che l’essere umano intraprende con tutte le forme d’arte. A partire dalle arti visive, che sono forse anche quelle più dirette. Non dimentichiamo che il nostro cervello dedica alle aree visive una grande parte: non c’è nessuna delle sensazioni che ha la stessa rappresentazione per ampiezza della funzione visiva. Questo indica quale rilevanza quest’ultima rivesta nei processi globali del nostro sistema nervoso. Quello che sappiamo sul nostro cervello è estremamente recente. Scienza e filosofia sono nate insieme. All’inizio erano la stessa cosa, un tentativo di comprendere tutti i meccanismi che regolano il nostro mondo, la nostra vita attraverso una serie di elaborazioni preziose, ma che non nascevano da osservazioni scientifiche. Nella mostra che realizzeremo nella sede di Fondazione Prada a Venezia in occasione della Biennale Arte del 2022, costruiremo come primo step un percorso retrospettivo per capire quanto tempo ci sia voluto per un processo banalissimo come quello di collocare nella nostra scatola cranica la sede del pensiero, delle emozioni, dei sentimenti. C’è voluto un tempo lunghissimo, perché la visione culturale del passato contemplava che avessimo diversi organi, ognuno dei quali a presiedere una certa funzione. Non a caso si diceva “hai fegato”, perché il coraggio si collocava nel fegato. Oppure “mi batte il cuore” perché gli affetti si riconducevano al cuore. Certe reazioni, poi, si definivano “di pancia”. Siamo arrivati a mettere bene il cervello nella sua sede corretta solo negli ultimi secoli. E solo con lo sviluppo delle immagini della neurobiologia, della neurofisiologia siamo riusciti a comprendere tutti i meccanismi sottesi a questi processi».

Una delle tante rivoluzioni in atto è l’espansione del termine neuro in domini fino a poco fa impensabili…
«Sì, oggi si parla di neuroeconomia, di neuroestetica. Sono termini degli ultimi vent’anni e che sono venuti affermandosi nel momento in cui la nostra curiosità si è spinta a capire cosa ci sia dietro, nel fondo delle nostre decisioni, delle nostre spinte emozionali. Le neuroimmagini, non solo la risonanza, ma anche quelle che derivano da altre metodologie come la tomografia a emissione di positroni, alcune immagini funzionali come la magnetoencefalografia e la elettroencefalografia ad alta risoluzione, sono tutte tecniche fondamentali perché dalla teoria ci hanno consentito di passare all’osservazione. Siamo oggi in grado di vedere veramente la sequenza con cui si attivano i diversi circuiti, e come quindi viene interessata una certa zona del nostro sistema nervoso nel produrre attività che sottendono funzioni specifiche».

Che cos’è la cultura in senso neuroscientifico?
«Quando abbiamo scoperto alla fine degli anni Ottanta l’enorme plasticità del cervello, la mia percezione del cervello è cambiata, è diventato ai miei occhi una specie di mega spugna che si intride di tutta una serie di liquidi biologici che già di per sé la modulano nella sua attività. Altra variabile fondamentale è scoprire che le nostre sinapsi si distruggono e si riformano in un’evoluzione continua. Per noi la vita non potrebbe essere interessante se non ci fosse questa straordinaria plasticità cerebrale. Ci annoieremmo di noi stessi. Noi, in qualche modo, siamo sorpresi ogni giorno dai cambiamenti che avvengono in noi. Siamo spettatori interessati a come evolve il nostro cervello, ma ne siamo anche in un certo senso protagonisti. A questo livello possiamo capire la storia dell’arte e la sua evoluzione, perché io devo consentire al mio sistema nervoso di svilupparsi in una certa modalità, al fine poi di potermi relazionare con alcuni aspetti del sapere. Questa la chiamiamo cultura. Quindi la cultura possiamo dire che ha radici neurobiologiche. E questo ha un grande valore perché la cultura plasma attraverso questi meccanismi di plasticità continuamente il nostro cervello in tutte le sue forme».

Le neuroscienze, supportate dall’innovazione tecnologica – come nel caso della risonanza magnetica funzionale – ci stanno svelando alcuni meccanismi di funzionamento del nostro cervello in riferimento all’esperienza estetica. Penso, per esempio, ai neuroni a specchio….
«Una grande scoperta di un neuroscienziato italiano Giacomo Rizzolatti. Ci occuperemo anche di questo in “Human Brains”. I neuroni a specchio rappresentano, se vogliamo, un sistema arcaico del nostro cervello che ci consente di entrare in qualche modo in sintonia con tutto ciò che è altro da noi. Questi neuroni permettono di riprodurre internamente attraverso l’analisi di percezioni globale dall’osservazione dell’altro, la capacità di cogliere quello che sta nell’altro. Questo aspetto è alla base dell’empatia, di alcuni comportamenti sociali, e chiaramente di alcuni aspetti di comprensione dell’arte».

Fondazione Prada – HUMAN BRAINS – Culture and Consciousness

“Human Brains” prevede un programma triennale di convegni, attività editoriali tra novembre 2020 e novembre 2022. E mostre. Che tipo di mostre saranno?
«Saranno due. In occasione della Biennale Arte del 2022, la sede di Fondazione Prada a Venezia ospiterà una mostra dedicata allo studio del cervello curata da Udo Kittelmann in dialogo con il comitato scientifico. Non sarà una mostra museale, anche se saranno presenti delle opere d’arte, non necessariamente solo contemporanee. Il percorso espositivo intende attivare nel visitatore un processo di elaborazione che lo porti a immergersi in quella complessità incredibile che è il nostro cervello, dentro la meraviglia di se stesso. Il programma di Fondazione Prada si chiama “Human Brains” perché vogliamo che lo spettatore acquisisca consapevolezza della propria unicità e complessità. Riconoscere questo ha un’enorme valenza anche etica: vuol dire riconoscere che qualsiasi “altro” è un altro come noi».

Fondazione Prada Venezia, ph. Agostino Osio

E la seconda mostra?
«“Human Brains” si concluderà nell’autunno 2022 con la mostra nella sede di Milano di Fondazione Prada incentrata sull’analisi di come il cervello, nella sua fragilità, possa essere danneggiato, su come le sue funzioni possano essere selettivamente o globalmente distrutte nell’ambito di processi di tipo degenerativo. Siamo partiti dalla meraviglia del cervello per approdare alla grande problematica dal punto di vista medico costituita dalle malattie neurodegenerative, che sono l’emblema di come il nostro cervello si possa decomporre nelle sue capacità. Questo secondo progetto espositivo si può dire che sia dedicato all’importanza della scienza e all’assoluto rigore che questa richiede. Il nostro è un messaggio importante e tutt’altro che scontato, dal momento che tutt’oggi, lo vediamo anche durante l’emergenza sanitaria in atto, della scienza c’è un’idea troppo soggettiva con scienziati che litigano tra loro. La scienza è una conoscenza in evoluzione, tra limiti ma valori fondamentali. Noi vogliamo far capire la complessità ma anche la bellezza di processi alla base di studi che tendono a risolvere i problemi delle malattie neurodegenerative, tutte malattie non risolte, per le quali non abbiamo terapie. In mostra si susseguiranno storie di macchinari, di processi di natura scientifica con associati i contributi dei ricercatori attivi in questo ambito, in collaborazione con tredici istituti scientifici internazionali d’eccellenza, nei quali la mostra avrà da Milano un’irradiazione virtuale».

*Articolo pubblicato su exibart 111, abbonati! 

 

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