19 marzo 2001

Presentato “Rapporto 2000” dei Beni Culturali: ma non è tutto oro…

 

di Franco Faranda


Dopo alcuni articoli che hanno sfiorato l’elogio delle attività del Ministro Melandri, Exibart ospita la testimonianza del Dott. Franco Faranda al fine di dar voce al personale dei Beniculturali...

di

L’obiettivo non è solo quello di creare dibattito ma anche di coinvolgere le alte sfere del Ministero ad un confronto, anche su internet…
Un corposo dossier di iniziative e progetti del Ministero frutto del dinamismo di un’Amministrazione che sembrerebbe improvvisamente attiva e efficiente dopo che per decenni – è il giudizio del ministro Melandri – è rimasta “inerte e passiva”.
Probabilmente la Ministra non conosce e non ha mai conosciuto il dinamismo e la qualità dei suoi tecnici che da sempre si sono adoperati nell’interesse dell’opera d’arte supplendo in maniera egregia all’inerzia ministeriale la cui presunta ritrovata efficacia, appare più di facciata che sostanziale.
Anche i progetti realizzati in quest’anno – nel volume si citano i musei riaperti, i ritrovamenti di opere, nuove attribuzioni – sono il frutto di una costante attività al servizio della tutela, portata avanti sistematicamente dagli storici dell’arte e dagli archeologi del Ministero che, guarda caso, nel dossier del Ministero non compaiono mai.
Forse il personale non è oggetto degli interessi ministeriali o il Ministro non si è ancora accorto che ci sono persone che continuamente mettono a disposizione la propria competenza per il buon esito delle iniziative.
Ma cosa è veramente cambiato nei cinque anni in cui il Ministero è stato guidato dall’Onorevole Veltroni prima, e dall’Onorevole Melandri poi?
E’ certamente cambiata la carta intestata; lo Spettacolo è stato assorbito dal Ministero che, per altro, sempre più tende allo spettacolare; sono stati presentati tanti grandi eventi apparentemente sempre più “grandi eventi” e sempre meno interessati alla tutela di quel vasto patrimonio che è il Museo Italia. Quel Museo sparso per le borgate e i non-centri che non interessa più a nessuno. Anche perché, si sa, non porta poi tanti voti. Eppure in esso si cela la vera storia dell’arte italiana, quella che fa di questo straordinario paese un luogo unico al mondo.
Eppure è sempre più facile vedere realizzata una “grande” mostra (se non c’è accanto l’appellativo “grande” non è una mostra significativa) che non un restauro a Canicattì o per le campagne romagnole.
Uno storico dell’arte con venti anni di anzianità, una laurea, una scuola di specializzazione post laurea, decine di articoli e saggi su riviste specializzate, spesso autore di numerose e importanti monografie, percepisce uno stipendio di £. 2.580.000 al mese più varie indennità. 1650 lire all’ora se si sposta per dei sopralluoghi sul territorio che vengono ridotte a 450 lire dopo le otto ore, ma ha diritto a pranzare. Se però non può pranzare perché, ad esempio, sta lavorando ad uno scavo in aperta campagna, percepirà lo stesso 450 lire l’ora.

Questo “storico” non ha diritto all’aggiornamento. Non può visitare una “grande” mostra, nemmeno quelle organizzate da altre soprintendenze. Per farlo deve andare in ferie. Non può partecipare ad un convegno di studi spesato dall’Amministrazione. Alle volte però, per gentile concessione, viene emanato un editto ministeriale che “concede” di partecipare al convegno, ma a spese proprie e con l’obbligo di recupero delle ore “perdute”.
Questa la situazione reale del Ministero in questo quinquennio che avrebbe dovuto vedere grandi trasformazioni stando alle promesse del Ministro Veltroni. A parte le parate e il fumo di cui si è detto, la situazione per chi lavora al Ministero per i Beni e le Attività Culturali è certamente peggiorata. Molte più responsabilità e uno stipendio inferiore a quello degli insegnati.
Eppure bisognerebbe capire che dietro ogni taglio di nastro, ogni inaugurazione di mostre o nuovi musei, non ci sono solo i custodi, ma anche chi organizza le collezioni, chi studia i materiali da esporre chi dirige i restauri. Senza queste persone il Ministero non esisterebbe o, forse, si limiterebbe ad appaltare progetti culturali alle tante ditte “specializzate”.
Apriamo un dibattito che coinvolga Ministro e tecnici del Ministero, e attraverso le pagine di Exibart – che ospita questo scritto con interessatissima imparzialità NdR – facciamo chiarezza sui compiti, il ruolo, le competenze, la preparazione e dunque anche lo stipendio di questi “impiegati”.
Il Ministro ha delle risposte a questi interrogativi? E’ disposto a dire la sua in un pubblico dibattito svolto tramite internet?


Franco Faranda
*Storico dell’Arte e Direttore nella Soprintendenza di Bologna.



[exibart]

16 Commenti

  1. Se per nuove responsabilità intende quelle connesse al decentramento attuato a partire dall’istituzione dei Soprintendenti Regionali mi pare di poter dire che un’azione capillare di coordinamento delle soprintendenze locali, la programmazione della spesa e l’incentivazione dei rapporti con i privati, dovrebbero poter consentire di lavorare ed in modo più omogeneo sul territorio; in questo senso proprio quelle zone periferiche che si trovano fuori dei consueti circuiti potrebbero trarne giovamento.
    Sulle retribuzioni la sua voce si va ad aggiungere ad altre dello stesso tenore (ricordo quella dei direttori dei musei, per esempio; quindi è evidente che un problema c’è).
    Però, mi segua: passi in avanti in questi anni ce ne sono stati no? E’ logico che le cose non sono ancora apposto e ne pagano il prezzo non solo gli impiegati ma tutti i cittadini e gli studenti/studiosi. Leggendo un curriculum di un giovane che si aggira intorno alla trentina è facile trovare una sequela di corsi e corsettini, master e specializzazioni della più diversa natura e dal dubbio valore (questo non lo dico io ma, per esempio, la stessa fondazione Fitzcarraldo di Torino, che lavora seriamente in questo campo, ha messo in guardia da questo sistema arraffone). Insomma c’è qualcun altro che sta peggio e che ha meno voce in capitolo per lamentarsi. Un’ultima cosa: fa piacere che gente del suo “calibro” frequenti le pagine di questa rivista elettronica; vuol dire che un po’ di strada la sta facendo.
    Ma lei ha idea di dove si trova? I contenuti di questi spazi sono pieni di contributi gratuiti di giovani studenti e neolaureati che stanno cercando, in silenzio, di investire il proprio tempo non aspettando che piovano soldi dal cielo ma tentando di costruire qualcosa che possa avere un mercato, un prodotto che si possa vendere; stanno tentando di far sì che la cultura diventi un valore reale e che venga riconosciuta l’opera svolta in questo settore. In parte, me lo consenta, stanno lavorando anche per lei. Lo dico perché ho avuto modo di conoscere qualcuno tra questi ragazzi.
    Il fatto è che anche i giovani cominciano ad averne le tasche piene dello Stato che non funziona, dei concorsi truccati, delle promesse per i giovani che verranno (e questi?), e cominciano ad averne le tasche piene anche di amministrazioni e organi statali e locali che non amministrano, pigre, piene zeppe di personale che pensa più alla carriera, a lavorare il meno possibile, a scendere in campo per lamentarsi di tutto (tanto, chi li caccia?). I giovani cercano oggi di inventarsi qualcosa di nuovo; i nuovi curatori di mostre sono tutti free lenders e molti stanno trovando spazi ed opportunità grazie alla rete. E questi? Non pagano forse anche loro e più di lei la situazione? Faccia una bella cosa. Aiuti questo progetto come puo’; un po’, aiuterà se stesso più di quanto possa fare con una lettera circostanziata…
    Nuove responsabilità non pagate? Ne faccia tesoro e le sfrutti, creda a me.

  2. Mi premeva sottolinare un concetto. Al di là dei piccoli passi fatti, mi pare che nel sistema della gestione pubblica dei bb.cc. non è ancora passato il concetto che possono anche rendere. Questo pensa Cristina Acidini, Ispettore Centrale del Ministero per i Beni Culturali, che afferma che quella della cultura è un’azienda destinata ad essere perennemente in perdita e che è inutile illudersi. Per lei la gestione dei beni culturali rimane essenzialmente un obbligo morale di cui la collettività deve farsi carico. E allora per forza che competenze come le sue finiscano per essere frustrate, mal sfruttate e mal pagate. Fintanto che la Regione Veneto, per esempio, promuoverà un convegno per sensibilizzare le pubbliche amministrazioni sul bando di Cultura 2000 a poco meno di 15 gg. dalla data di scadenza della presentazione delle domande, è ben difficile credere che si possa sperare in qualcosa di buono. Questo è il tempo in cui, dopo decenni di teoria, anche in Italia bisognerebbe veramente cominciare a fare del sano marketing culturale; tuttavia ancora Cristina Acdini ha avuto occasione di schierarsi contro questo indirizzo, per altro auspicato anche dal Ministero, affermando con forza che i funzionari sono e restano solo ed esclusivamente degli storici dell’arte che nulla hanno da spartire con la mentalità imprenditoriale…
    Nascondersi dietro dichiarazioni romantiche, puntare a far passare come false tutte le nuove teorie del management dei bb.cc., e soprattutto rifiutare di riconoscere l’importanza di tali teorie non mi sembra un atteggiamento costruttivo. Perché si dovrebbero spendere più soldi per qualcosa che non ne rende?

  3. Perfettamente d’accordo sul fatto che da qualche tempo qualsiasi mostra venga realizzata debba essere definita grande anche se poi………………………

  4. ho provveduto a rispondere alle persone che avevano un recapito di posta elettrronica. Non so come fare per rispondere a quelle persone che non hanno indirizzo di posta elettronica

  5. Ma è allucinante.Ma come chiede il dibattito e poi risponde nelle caselle mail? Cosa abbiamo noi lettori di meno per non leggere le sue risposte? Che peccato…occasione persa.
    Saluti.

  6. una risposta a Maddy
    scusa, ma condivido, almeno in parte, il giudizio di Cristina Acidini che per altro conosco solo dalla tua lettera. Bisogna restare storici dell’arte e questo non vuol dire che si debba essere chiusi alla logica del mercato. Probabilmente è vero pure che il mercato dovrebbe aprirsi alle logiche della cultura. Se inseguiamo solo le regole del mercato è inutile illudersi. Opere d’arte non significative per il mercato perché, ad esempio, ubicate in aree non “commerciabili”, saranno destinate ad essere distrutte. Del resto credo che l’arte sia già commercialmente in attivo. Certo se confrontiamo solo le spese di gestione di un grande museo e il ricavato dei biglietti di ingresso, risulterà in perdita e da questo punto di vista è in perdita perfino il Louvre. Ma proviamo a pensare secondo la logica del mercato. Cosa sarebbe Firenze senza gli Uffizi e tutto il resto? L’intero volume di affari della città ruota attorno ai suoi musei e ai suoi monumenti. Per valutare davvero quanto rende l’opera d’arte bisognerebbe calcolare il guadagno dei ristoranti, degli alberghi, di tutta la grande industria che ruota attorno al turismo culturale.
    Gli storici dell’arte dunque facciano gli storici dell’arte, occupandosi di tutelare il patrimonio storico artistico indipendentemente dal valore commerciale. Questo non vuol dire essere romantici, ma semplicemente lavorare per contribuire a far crescere davvero il Paese. L’azienda turistica si inserirà a pieno titolo in questa opera di tutela e valorizzazione dello storico dell’arte, dialogando senza per questo sottoporre alle logiche non più del mercato, ma della “bottega”, l’attività dello storico. Il problema è comunque interessante e sarebbe bello vederlo crescere da queste pagine virtuali.
    Cordialmente
    Franco Faranda

  7. per jump e janaz
    scusate il ritardo, ma ero fuori per lavoro. Provo a rispondere e con chi aveva un recapito di posta l’ho fatto privatamente (mi riprometto comunque di mettere le risposte a disposizione di tutti. Quanto a voi attendo un vostro articolato parere che consenta una risposta.
    Cordialmente
    Franco Faranda

  8. Carlo Cavini ha ragione, signor Faranda. Non può tagliarci fuori così. L’argomento è interessante, perché questi segreti? In Italia ce ne sono già troppi di segreti e ben più drammatici, almeno di questo argomento parliamo in modo franco e aperto. Giri anche nei commenti la sua e-mail “privata”.

  9. Mi sembra di intuire che stanno saltando fuori questioni legate al Testo Unico e, più in generale, a tutte la recente legislazione, regionale e nazionale, in materia di bb.cc. Più volte negli anni si è lamentato l’anacronismo delle vecchie leggi, ora che ne abbiamo di nuove si sentono pareri discordi, il più delle volte negativi (ricordo le considerazioni de Il Giornale dell’Arte). Il signor Faranda, da dentro il sistema e da addetto ai lavori, come lo vede il nuovo T.U.?

  10. Mi piacerebbe sapere qualcosa sulla questione della defiscalizzazione applicata sull’acquisto di opere d’arte. All’estero questo è recepito dalla legge e consente un’attività più trasparente ai soggetti coinvolti nel mercato (gallerie, antiquari, case d’asta, ecc.). In Italia si dice che sia impossibile stabilire il vero volume d’affari del mercato perché a causa delle tassazioni il mercato segue per lo più strade sotterranee scavalcando il sistema fiscale. So che non c’entra molto con l’argomento dell’articolo, ma penso che, soprattutto per l’arte contemporanea (ma non solo a pensarci bene) le questioni di mercato e del collezionismo siano parte integrante dell’economia di una nazione in materia di bb.cc. (l’America insegna)

  11. per Carlo Cavini
    scusa per l’allucinazione. Spero di essere ancora in tempo a dibattere con tutti. Solo non sapevo come fare. Adesso tocca a te. Il mio editoriale è volutamente critico per stimolare il dibattito e per introlquire occorrono proposte o contestazioni

  12. Sono contenta perché il signor Faranda ha toccato un questione nodale che speravo saltasse fuori nella discussione di questi temi. Eh già, il punto sta proprio nei “guadagni indotti” che l’industria della cultura produce. Musei e circuiti culturali causano ricchezza che ricade sul territorio. Ciò significa allora che l’azienda non è in perdita come dice la Acidini, semplicemente è male organizzata, non funziona con i criteri dell’azienda. Se appare giusto che esercizi commerciali, ristoranti e alberghi del territorio godano i frutti dei circuiti culturali, appare altrettanto giusto che una parte di quei guadagni torni nelle casse delle fonti di quel guadagno (i musei) per arricchirne l’offerta e per garantirne il sostentamento. Insomma sarebbe il caso di studiare delle strategie di marketing che tenessero conto di questi guadagni indotti (qualcuno li ha mai quantificati in una città come Roma, Firenze, Venezia?). Praticamente, lì per lì, mi vengono in mente la possibilità di stipulare delle convenzioni con le singole attività commerciali per praticare degli sconti con l’esibizione del biglietto del museo (un punto informativo al museo sulle possibilità di soggiorno e quant’altro convenzionato agevolerebbe il sistema) oppure incentivare forme di finanziamento alternative alle solite fondazioni bancarie, coinvolgendo le aziende e l’imprenditoria; ma lo sa che ad Exibart (l’ho saputo dalla chat di EX) scrivono grosse aziende per chiedere informazioni su monumenti ed opere che abbiano bisogno di restauri e recapiti cui rivolgersi per intraprendere questo genere di promozione? Ma le pare possibile e sensato che accada questo? Lei parla di zone “non commerciabili” Certo, se non studiamo dei programmi adeguati non cambierà mai nulla. Ma come spiega che un imprenditore della sua zona impianti in un’area che più periferica non si può come Pieve di Cento un museo d’arte contemporanea? Un pazzo? Non direi date le presenze dei visitatori. Siamo ancora agli inizi, ma quel museo nasce su sinergie precise con una casa editrice che pubblica una rivista piuttosto conosciuta nel bolognese; negli inviti alle mostre appaiono le pubblicità di ristoranti e alberghi della zona; quel museo non si limita a “vendere” (scusi il termine) la permanente che, una volta vista, uno non ci torna più, ma organizza dibattiti, conferenze, mostre temporanee, invita personalità autorevoli (ricordo Gorbachev, Andrea Emiliani, Concetto Pozzati, mentre il critico Di Genova è di casa). Insomma ci sta provando e con una buona dose di coraggio.
    Bisogna investire di più nella promozione della cultura; basta con i soliti barbosi depliant distribuiti a pioggia in loco, si pensi a vere campagne di promozione su scala nazionale; spot e pubblicità sulla stampa e sui media (ivi compreso internet e, tenga conto, che il sitino locale è dimostrato che non paga assolutamente in termini promozionali in un panorama affollato come la rete, bisogna cercare le concentrazioni ed i catalizzatori di utenti) e in maniera continuativa, non solo per le occasioni particolari. Talvolta si dice che la cultura non interessa a nessuno, però i bar le società di trasporti di Venezia si arricchiscono praticando tariffe 3-4 volte superiori al normale. Mah, rimango del parere che ci sono molte cose che non funzionano e che non si vogliono far funzionare.

  13. Gent.ma Maddy,
    volentieri rispondo al suo articolato intervento, anche perché nella Soprintendenza in cui opero, da sempre abbiamo cercato di legare cultura con strategie di mercato. Le mostre che da decenni vengono organizzate nella sede della Pinacoteca Nazionale, il più delle volte si autofinanziano grazie alla promozione che la Soprintendenza è in grado di offrire agli sponsor. Un’attività che ha portato avanti con rara intelligenza il Prof Emiliani e che è adesso continuata dalla Dott.ssa Bentini.
    Accanto a questa “grande” attività, la Soprintendenza bolognese si è impegnata ad attuare anche sul territorio di sua pertinenza tutte quelle condizioni che rendono possibile il proficuo intervento di sponsor che non sono cercati solo presso le Fondazioni delle Banche, ma nel tessuto vitale della città, coinvolgendo le industrie locali e anche i semplici cittadini.
    Nell’area di cui mi occupo specificamente, il comprensorio di Cesena e Imola, in questi ultimi anni ho messo in piedi delle “imprese” culturali, grazie agli sponsor, che superano di gran lunga gli interventi ministeriali.
    Ricorderò, ad esempio, il restauro delle dieci sculture in cotto di Alfonso Lombardi, a Castel Bolognese, nei pressi di Imola. Il restauro è stato interamente finanziato dalla Cooperativa Ceramica di Imola. La proposta alla cooperativa ceramica di Imola è stata avanzata nella convinzione – ed è convinzione che non risponde alla sola logica di mercato – che questo restauro avrebbe potuto tracciare un ponte tra chi oggi lavora la creta e coloro che la lavoravano nei secoli passati. Volevo evidenziare la continuità di una disciplina artigiana che vanta millenni di civiltà ed è ancora vitalissima.
    Altro rilevante intervento – e cito solo quelli dovuti ad industrie – sono i restauri delle pale d’altare della Chiesa di San Domenico a Cesena, in buona parte finanziati dalla Orogel, sempre su mia richiesta e mio progetto.
    E’ possibile certamente coinvolgere ricchezze private anche in centri minori e questo non tanto per le leggi del mercato intese solo con “do per ricevere”, ma perché c’è ancora, in Italia, un forte legame con il territorio e non è impossibile chiedere un restauro ad un’industria semplicemente perché l’opera da restaurare è nel territorio in cui opera. Forse sarà romanticismo, sarà affetto, ma è anche rispetto verso la propria terra, orgoglio per il proprio passato, sensibilità “umanista” che possiede anche il “vile” (per alcuni) mercante.
    Per ottenere questi finanziamenti c’è stato soprattutto l’impegno personale del sottoscritto che oltre che a seguire i restauri ha promosso l’iniziativa presso le aziende, preparando siti internet ove far confluire i restauri effettuati, eseguendo dei cd multimediali ove venivano presentati i restauri, organizzando conferenze sul territorio ove opera l’azienda per far conosce questa attività collaterale dell’industria al “servizio della mia città” (anche lo slogan è mio).
    La cosa strana è che parlo di questi interventi e di questa attività per la prima volta. La realtà è che a livello ministeriale il mio lavoro non esiste. Potevo fare o non fare questi interventi, potevo provare a coinvolgere queste industrie e potevo anche ignorarle, perché questa attività per il Ministero semplicemente non esiste. Il multimediale ho dovuto realizzarlo a casa mia perché in ufficio, a quel tempo, non avevo il computer. Il mio stipendio è rimasto immutato perché non segue logiche di mercato né è sottoposto a incentivo per procurato reddito allo Stato.
    Per questo contesto il dossier del Ministro Melandri, A mio avviso non conosce o non tiene volutamente conto delle meritorie attività dei suoi funzionari che restano i peggio pagati d’Italia. Non esiste funzionario dello Stato Italiano che sia pagato meno di uno storico dell’arte o altro tecnico che opera per il Ministero per i Beni Culturali.

  14. Ora il suo articolo comincia ad assumere sfumature più dettagliate e comincio veramente a capire il suo disappunto. Sostanzialmente pare di capire che il Ministero chiacchiera di nuove gestioni manageriali, si assume il merito di questa nuova politica che però, di fatto e stando alle sue parole, rimane come fu un tempo legata alla volontà, alla capacità, alla professionalità di singole persone che non vengono messe nelle condizioni ottimali per lavorare, che non sono adeguatamente ricompensate per questa loro “missione” (a questo punto usiamo questo termine), né appaiono i segni che si stia provvedendo a realizzare strutture e a fornire gli strumenti idonei per proseguire su questa strada.
    Ha fatto bene a citare Emiliani e la Bentini (per me 2 mostri sacri). Mi ha fatto venire alla mente che negli anni ’60 proprio Emiliani intraprese una politica espositiva che, grazie anche ai finanziamenti bancari, permise di rivalutare tutto la favolosa cultura del manierismo tra Ferrara e Bologna, dando lustro anche a quella provincia che, nelle chiese soprattutto, conservava splendidi esempi di quella cultura. Saper capire e assecondare fattivamente opere come quella di Emiliani, della Bentini e di alcuni altri significherebbe veramente cominciare a lavorare sul serio, sfruttando le potenzialità inesauribili del nostro territorio. Purtroppo pare vincente invece la tecnica del “far apparire”, del “gonfiare” il più possibile alcune iniziative di grande attrattiva per nascondere i veri “scheletri nell’armadio”.
    Facciamo qualcosa. Come? Lei ha qualche idea? Vede qualche possibile strada per risolvere questa cultura del “pressapochismo”? Lei considera che l’esempio di Cento, con la sua splendida pinacoteca, la sua rara ma sempre interessantissima attività espositiva (quella attuale, con le visite guidate ai luoghi guercineschi) e quella dell’anno scorso (mi pare) con i restauri delle tele manieriste delle chiese del territorio (non sempre restauri impeccabili, ma non entriamo nel merito e giudichiamo l’evento), lei considera, dicevo, che questo sia un esempio positivo e da seguire?

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