26 maggio 2018

Questione di pelle

 
Un fotografo dal tocco magico: “The Touch That Made You” di Torbjørn Rødland all’Osservatorio Prada. Garantisce Hans Ulrich Obrist

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Da un anno e mezzo c’è un luogo perfetto nel centro di Milano per chi timidamente rifugge dalle mostre affollate e faticose. Tra le vetrine dei negozi un ascensore per lasciare giù il via vai della galleria, e l’Osservatorio Prada compare come un silenzioso loft: le grandi finestre sulla cupola vetrata offrono respiro allo sguardo e, per ogni mostra, l’allestimento non manca mai di stupire con discreta ricercatezza, a volte fino a diventare cifra stilistica. Con il piglio un po’ da galleria e un po’ da showroom, lo spazio non compete con le grandi superfici del quartiere generale Prada e forse non appassiona tutti allo stesso modo. Peccato, perché la cosa più interessante è notare come stia diventando il salotto della pura fotografia a riparo da ogni banalità, con una regola di essenzialità a cui non siamo più abituati.
“The Touch That Made You” è il quarto appuntamento dall’apertura dello spazio nel dicembre 2016. La mostra è stata concepita in origine dalla Serpentine di Londra, dall’inesauribile Hans Ulrich Obrist insieme con Amira Gad. Il titolo della mostra però viene direttamente dal suo autore, il norvegese Torbjørn Rødland, tra i nomi virtuosi della fotografia contemporanea.
C’è molta tattilità nella fotografia secondo Rødland. Non è una prerogativa della pittura o della scultura, il tocco è qualcosa di inevitabile nel processo della fotografia analogica. Se poi con touch intendiamo anche la luce che tocca le superfici, l’incontro di soggetti e di oggetti tra loro opposti, il modo in cui un’immagine risponde al nostro sguardo toccandoci, allora l’evocazione del gesto si posa amabilmente su ogni opera esposta. Le fotografie sono quasi cinquanta e attraversano l’arco temporale di circa vent’anni, dal 1999 al 2016. 
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Veduta della mostra Torbjørn Rødland: The Touch That Made You. Foto: Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Prada

Per fare una bella mostra a volte basta mettere insieme le opere di un artista e un titolo d’effetto ma all’Osservatorio l’allestimento fa la sua parte. Stavolta le fotografie sono esposte su strutture di legno che alternano superfici lisce e bianche a pareti di legno grezzo, sono disposte un po’ più in basso del consueto, come a parlare più al corpo che alla testa di chi guarda. Dopo l’analitica inquisizione di Stefano Graziani nella precedente mostra “Questioning Pictures”, le immagini di Rødland al contrario suggeriscono un approccio sentimentale. Come racconta lui stesso, nel mezzo fotografico cerca costantemente qualcosa di più, tra lo psicologico e lo spirituale, l’erotico. A far da controparte all’imprevedibilità analogica, ogni immagine è studiata nei dettagli e costruita ad arte, ma a differenza di quanto succede davanti ai capolavori di tecnica, non è subito quel tipo di curiosità “ma come l’ha fatta?” a prendere lo spettatore. 
Prima di tutto la bellezza. Negli anni 2000 nessun fotografo può prescindere dall’universo iconografico contemporaneo quotidiano e Rødland non prescinde e non lo nega, lo assorbe.
In una intervista in occasione della mostra alla Serpentine si spiega così: “Try to get in there, get dirty, look for gold, try to deepen that format rather than rejecting it”.
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Veduta della mostra Torbjørn Rødland: The Touch That Made You. Foto: Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Prada

Sensuali come immagini patinate, erotiche come pubblicità di moda ma fuori dal tempo, stratificazioni di simboli e significati come metafore: è questa la strana ricetta delle sue foto.
Perché un piede è ricoperto di una sostanza gelatinosa e perché delle candele si consumano incastrate tra cubetti di ghiaccio? Non sono scene reali, piuttosto appaiono come l’istante di una storia lunghissima di cui non è dato sapere di più. Tra disagio e perfezione, ogni dettaglio del corpo in posa è disturbato da un elemento incongruo: i tentacoli di un polpo, vernice che cola, un altro corpo estraneo. Il segreto, però, è nascosto soprattutto nei ritratti. Rødland precisa più volte la sua volontà di superare il ritratto tradizionale e tra le sue immagini più celebri Summer Scene è un tentativo riuscito.
Il volto del protagonista è schiacciato da una linda scarpa Vans: è l’atto di mettere sotto pressione il genere del ritratto tradizionale, premere sull’aspetto psicologico. 
I modelli di Rødland ci affascinano perché non sono mai ritratti per raccontare se stessi, ma qualcosa di più generico, di più grande che ci permette di entrare nel processo di visivo e scorgere, più che guardare. Non a caso Obrist introduce alla mostra citando Édouard Glissant, il padre del diritto all’opacità, quello cioè a non essere compreso totalmente e non comprendere totalmente l’altro. Sono belli e ricorrenti anche gli incontri tra gli opposti. Nel caso dei ritratti Rødland li chiama “coppie asimmetriche” come quella di Midlife Dilemma: un bellissimo adolescente a torso nudo e dallo sguardo deciso tiene per il colletto un uomo di mezza età, lo sguardo basso, una tensione che tradisce erotismo o spavento. 
In questo percorso verso “la terza via della fotografia” come la definisce l’autore stesso, l’ultima parte è dedicata a tre video prodotti tra il 2004 e il 2007. Esperimenti di movimento e ritmo che, come prevedibile, attraggono e respingono giocando tra immagini perfette e significati ambigui. Un piacevole finale.
Roberta Palma 

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