27 febbraio 2009

SALUTI A TRENTO

 
Si era partiti nel 2001 con la mostra Necessità di relazione. Dopo otto anni, alcuni successi e qualche delusione, l’avventura finisce. Fabio Cavallucci, ormai ex direttore della Galleria Civica di Trento, fa il punto su ciò che ha rappresentato questa esperienza...

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Fabio Cavallucci, che ricordo lasci a Trento dopo la fine della tua esperienza alla Galleria Civica?
Una cosa che ha segnato indelebilmente la città penso siano stati i progetti estivi, in cui la Galleria Civica, unica tra le istituzioni d’arte italiane, si è trasformata ripetutamente in pub-laboratorio: nel 2003 con Tiravanija per musica elettronica e conferenze sui grandi cambiamenti sociali contemporanei, nel 2004 con i Superflex che produssero una televisione via web data in uso agli studenti, nel 2005 con Marina Abramovic come contenitore di performance, nel 2006 con ZimmerFrei declinata in studio cinematografico, nel 2007 con un atelier di pittura e vari artisti che si succedevano nell’insegnamento delle tecniche, e nel 2008 con Assume Vivid Astro Focus e le prove musicali, di dj set e di video. Ecco, prima del 2003 le estati trentine erano piuttosto sonnacchiose. Il successo di quel primo pub ideato da Tiravanija e da un gruppo di suoi allievi, in cui centinaia di giovani cominciarono a ritrovarsi in Galleria ogni sera, ha suggerito una modalità di incontro.

Esordisti con un programma asciutto. Con obbiettivi chiari.
Le prime iniziative infatti furono un convegno e una mostra intitolati Necessità di relazione, a indicare la necessità impellente per l’arte di relazionarsi con i campi affini, ma anche per un’istituzione di stabilire delle sinergie con il territorio, non inteso solo come ambito degli artisti locali, ma come rete di istanze culturali. E infatti, in questi anni, abbiamo collaborato con tantissimi soggetti, dall’Università alle associazioni dei commercianti. Credo che in questa direzione abbiamo fatto moltissimo, in un dialogo con il territorio nel quale l’arte ha cercare di immettere elementi di valore più generale che siano però in sintonia con aspetti della sua identità culturale.
Il logo della Galleria Civica di Trento
In realtà era necessario anche dell’altro…

Ciò che ho sempre ammesso è che noi stavamo costruendo solo una facciata, ma l’edificio non esisteva, l’edificio era ancora da realizzare. Al di là delle singole iniziative, quello che occorreva era proprio erigere quell’edificio, ossia un centro di ricerca sull’arte contemporanea che rendesse le iniziative sperimentali non esempi estemporanei. Questo è ciò che è mancato. Ma si capisce bene che per farlo ci voleva una classe politica con una vista lunga, che pensasse all’arte e alla cultura non come elemento di nutrimento del sapere, o come attrattore turistico, ma anche come stimolo all’innovazione creativa, non solo come divulgazione, ma soprattutto come produzione. Una cultura che fonda le basi di un’economia creativa, i cui risultati però si vedono dopo anni. Mentre la classe politica, come in altre regioni ovviamente, di solito si fissa l’obiettivo delle prossime elezioni.

Il tuo è stato un progetto che molto ha puntato a portare l’arte presso la gente, cercando di evitare la deriva della solita kunsthalletta che si rivolge esclusivamente agli addetti ai lavori la sera dell’inaugurazione. Pensi che questo tipo di approccio sia stato compreso a fondo?
No, purtroppo non è stato compreso appieno, altrimenti non saremmo qui a parlare di una cosa che poteva essere e non è stata. Forse mi sono reso conto tardi che questo messaggio non è passato, questa quasi totale site specificity dell’attività non è stata assimilata, non solo dal pubblico e dalla politica trentina, ma anche da molti operatori culturali.

Dottor Maurizio CattelanDove sta la spiegazione?
Linguistica. Non siamo riusciti a trovare un nome che definisse il nuovo modello di istituzione artistica, che non è un museo, non è una kunsthalle o una galleria, non è nemmeno un centro d’arte, perché la sua politica mira all’espansione, all’attivazione nel territorio più che all’attrazione del pubblico verso il luogo che la emana. Può sembrare un paradosso, ma senza un nome, una cosa non esiste. E allora le profonde differenze tra l’attività che ho impostato in questi anni a Trento e quelle di una pur dignitosa ma tradizionale galleria civica non vengono lette.

E poi c’è tutto il discorso del rapporto con la politica…
In realtà purtroppo siamo di fronte al più banale degli spoil system, per cui un’assessore che arriva punta a far piazza pulita di tutto ciò che ha lasciato il suo predecessore. Con la Galleria Civica fa più fatica perché obiettivamente ha acquisito un consenso molto largo proprio sul territorio. E ci mette tre anni. Tre anni fatti di piccoli tagli di budget, di restrizioni e difficoltà nel sistema organizzativo, di spostamenti di personale che dietro all’apparente cristallinità burocratica in realtà pian piano rendono difficoltosa l’azione mia e del mio staff. Questo è stato, nulla più. Purtroppo in Italia quella “arm lenght”, quella distanza di un braccio che la politica dovrebbe mantenere dalla cultura è ben lontana dall’essere applicata.

Ti si potrebbe rimproverare di non essere riuscito, in tanti anni, a far pressioni affinché la Civica potesse fuoriuscire dal sottoscala in cui è relegata spostandosi in un nuovo e più adeguato spazio espositivo.
Di pressioni ne ho fatte, e tante. Nei primi anni con l’assessore Bertoldi avevamo anche intrapreso una discussione con la proprietà dell’ex Italcementi che poteva tradursi nella realizzazione di una nuova sede in quei grandi fabbricati industriali. Poi cambiano le persone, e si deve ricominciare tutto daccapo. E negli ultimi anni ho dovuto cercare di difendere le posizioni più che conquistarne altre.

Ma non potevate puntare a spostarvi a Palazzo delle Albere. Che è già uno spazio espositivo e che il Mart magari poteva devolvervi?
Non ho mai dato ascolto alle voci che vedevano la nuova sede della Galleria Civica nel Palazzo delle Albere, attualmente sede del Mart a Trento dedicata all’Ottocento. Il luogo è immagine dell’attività che contiene, e collocare un’attività di ricerca in un edificio rinascimentale falserebbe lo spirito di questa ricerca. Senza considerare che questo tipo di progettualità ha bisogno di uno spazio centrale, con cui la gente possa essere a contatto quotidianamente. E il Palazzo delle Albere è percepito dai trentini come periferico.
Katarzyna Kozyra - Men's-Bathhouse - 1999 - videoinstallazione
Aneddotica. I momenti in cui hai pensato: “E ora come faccio?

Come fare quando Cai Guo-Qiang ti propone di fare dei fuochi d’artificio sul cimitero come omaggio di fiori pirotecnici ai defunti, lavoro di sublime poesia, ma che si sa essere di difficile accoglimento politico? E quando Gillian Wearing propone un progetto televisivo sulla ricerca della “famiglia trentina tipo” a cui venga dedicato un monumento di bronzo, ma poi si pente temendo che le famiglie escano sofferenti da un talk show che le viviseziona davanti agli occhi del pubblico? Bene, con un po’ di pazienza e un po’ di fortuna siamo riusciti a realizzare l’uno e l’altro. Lo stesso valga per la laurea ad honorem a Maurizio Cattelan, o per il corridoio di trecento metri senza uscite di sicurezza di Santiago Sierra. Progetti irrealizzabili, a prima vista, l’uno per la difficoltà di convincere un’intera facoltà di sociologia, l’altro per insuperabili questioni legate alla sicurezza.

Quali sono le persone che in particolare ti senti di ringraziare per la vicinanza, il sostegno e l’empatia professionale che ti hanno dimostrato in questi anni a Trento?
È difficile fare un elenco. Comunque non posso non citare l’assessore alla cultura che mi ha chiamato, Micaela Bertoldi, che mi ha scelto non per amicizia o per simpatia, visto che non ci conoscevamo, ma perché ha sinceramente scommesso su un progetto innovativo, continuando a difenderlo fino a oggi. E poi lo staff di giovani bravi e volenterosi che hanno lavorato non certo per la misera retribuzione, ma perché hanno sinceramente creduto in questo tipo di attività. Tra costoro non posso non ringraziare Cristina Natalicchio, che ha dedicato alla Galleria Civica cinque anni importanti della sua vita, spesso anche le sere o i fine settimana, e che oggi ha però assunto una competenza curatoriale che la fa una delle più valide promesse della giovane critica italiana.
Paul McCarthy & Benjamin Weissman - 1 2 boy (particolare) - 1997-98 - inchiostro e carbone su carta - courtesy gli artisti & Hauser&Wirth, Zürich-London
Cavallucci, perdere un incarico pubblico dopo tanti anni in un’istituzione non è cosa simpatica…

Per fortuna ho sempre conquistato la mia credibilità grazie alle proposte che ho fatto, non alla forza dell’istituzione. Dei progetti futuri preferisco non parlare, sennò la prossima intervista su cosa la facciamo?

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a cura di massimiliano tonelli

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 55. Te l’eri perso? Abbonati!


Le principali mostre dell’era Cavallucci:
2001 Necessità di Relazione
2002 Cai Guo-Qiang
2003 Nuovo Spazio Italiano
2003 I Bambini Siamo Noi
2004 Unplugged
2004 Katarzyna Kozyra
2004 Maurizio Cattelan
2005 Interessi Zero
2005 Santiago Sierra
2006 Il potere delle donne
2006 Aernout Mik
2007 Gillian Wearing
2008 Wilhelm Sasnal

[exibart]

6 Commenti

  1. Con tutto il rispetto per Cavalucci le campane a morto per la sua dipartita da Trento che tutta l’informazione artistica italiana ha enfatizzato mi paiono veramente fuori misura specie in confronto a situazioni e persone che hanno subito ostracismi ben peggiori. Qualcuno si ricorda che il buon Fabio venne nominato nel 2001 contro 30 – 40 competitori senza avere uno straccio di curriculum se non qualcosa fatto in Romagna ?

  2. la programmazione di cavvalucci era finalizzata a ottenere semplicemente l’appoggio di una certa nomenklatura. le scelte erano quasi sempre sulla scia di determinati condizionamemti e la laurea a cattellan se la poteva anche risparmiare

  3. ennesima riprova della ingerenza politica nell’arte e nella cultura italiane….poi non capisco perche non sia piu possibile consultare il sito della galleria…otto anni di attività e progetti cancellati da un giorno all’altro?

  4. Ma cosa dite? Quale nomenclatura? Cavallucci ha spaziato a trecentossenta gradi e ha aperto la Galleria a tutti i tipi di creativi. Ha fatto un lavoro egregio sul territorio che sarà ricordato negli anni

  5. Cavallucci è stato un eccellente direttore, ha proposto artisti internazionali di alto livello e ha dato spazio ai giovani artisti del trentino e non solo.
    La civica era un vero e proprio luogo di sperimentazione, difficile da trovare in altri spazi italiani.
    Bravo Fabio!

  6. Fabio Cavallucci ha fatto quello che ogni direttore di Galleria Civica d’Arte Contemporanea dovrebbe augurarsi: ha portato nella sua (piccola) città quanto di meglio e di vario ci fosse da conoscere nel mondo dell’arte contemporanea, permettendo ai cittadini di essere informati ed apparire aggiornati in ogni parte del mondo: questo é un grande servizio non sempre considerato irrinunciabile in Italia. Per di più il livello qualitativo internazionale del suo lavoro, senza sforzi incongrui e temerari, ha contribuito a diffondere un’immagine del suo territorio come luogo colto e aggiornato, quindi veramente moderno! Spero che l’avvicendamento nella carica da lui ricoperta sia solo un uso
    molto normale in paesi più avanzati artisticamente, un cambio di prospettiva che viene operato ciclicamente per nuove esperienze. Naturalmente Fabio Cavallucci dovrà decidere tra numerose offerte per offrire im futuro la stessa
    passione e la stessa competenza.

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