26 novembre 2016

Una casa, tra immagine e immaginazione

 
Che succede se si arriva a Buenos Aires con l’idea di sviluppare un progetto, My house is a Le Corbusier, già avviato a Marsiglia? Ecco il racconto dell’artista

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Dopo la residenza temporanea a Marsiglia, all’interno dell’Appartament 50 – Unité d’Habitation, dove ho lavorato attorno ad alcune problematiche legate all’abitare, tra cui la crescita smisurata delle città; il saper costruire in economia; la mancanza di spazi abitativi e le relazioni con il prossimo; intendendo per l’appunto l’unità abitativa come cellula di un insieme condiviso e un’idea di società aperta e solidale; il viaggio, del progetto My house is a Le Corbusier si sposta in Sud’America, trasformando il transatlantico dell’Unité d’Habitation in una macchina per l’abitare, una clinica per operare. Casa Curutchet a La Plata sarà la mia nuova residenza, il cui disegno di Le Corbusier è in continuità con le idee sviluppate nell’Unité d’Habitation. 
La Plata è il capoluogo della provincia di Buenos Aires, che si presenta con un tracciato di strade ad intersezione diagonale di cui le più importanti si incrociano in quella che conosco come Plaza Moreno, dove si affaccia la Cattedrale e la stanza di servizio che userò. (A Casa Curutchet, la sesta casa di Le Corbusier dove andrò ad intervenire, non c’è doccia ne riscaldamento…). «Fai sempre attenzione, qui da noi la gente ruba», è tra i vari avvertimenti che mi vengono rivolti al mio arrivo. «Non c’è denaro e la gente è povera. Vedi queste case? (Indicando le favelas)». Il bancomat, la carta di credito, la scheda telefonica non mi funzionano. Vengo ripreso, perché avrei dovuto portare dei contanti da cambiare al mercato nero, l’euro e il dollaro sono accettati più facilmente che i pesos. Le mie abitudini sono azzerate nuovamente. Reset. E mi ritrovo con un nuovo numero di telefono, un nuovo indirizzo di casa, nuova moneta, nuova lingua, nuova marca di sigarette, un nuovo supermercato da trovare. 
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Casa Curutchet è composta da quattro livelli principali, con un cortile che separa la clinica dall’abitazione. La costruzione è un esempio dei cinque punti fondamentali dell’architettura di Le Corbusier ed è stata commissionata nel 1948 dal Dr. Pedro Domingo Curutchet, considerato uno dei maggiori innovatori in chirurgia. La costruzione, affidata all’architetto Amancio Williams, ebbe inizio nel 1949 e fu completata nel 1955. Il direttore Julio Santana mi consegna un mazzo di sei chiavi che mi permetterà di accedere ad ogni spazio della casa. Comincio a prendere confidenza con l’abitazione. La rampa conduce direttamente all’atrio mettendo in continuità esterno ed interno. Il percorso all’interno si sviluppa in uno spazio libero. Al primo piano c’è l’ambulatorio con la clinica per operare e la stanza di ricovero (dove in seguito posizionerò un materasso per dormire). Dr. Curutchet amava ripetere che il malato deve curarsi nel conforto di una casa e non in un ospedale. Al secondo piano la cucina, la sala da pranzo e il soggiorno che continua nel terrazzo giardino. Il grande albero che si staglia in mezzo all’abitazione fu piantato da Amancio su indicazione di Le Corbusier (compresa la tipologia del seme da usare). Sia Amancio che gli altri, pensavano che l’albero non sarebbe mai cresciuto in quelle condizioni di spazio ed invece oggi è più alto della casa. La casa è l’albero. I Brise-soleil inquadrano la vista esterna: il parco, le palme, automobili parcheggiate con i bidoni d’acqua lasciati sopra la carrozzeria a indicare la messa in vendita. Le pareti del soggiorno sono particolarmente rovinate dall’incuria. 
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Come per il Padiglione dell’Esprit Nouveau a Bologna e l’Appartament 50 a Marsiglia, ritrovo in questa parte della casa la derivazione dal modello DOM-INO, forse la creazione più importante nella carriera di Le Corbusier, come mi spiegò l’architetto Giuliano Gresleri: un modello nel quale l’ossatura strutturale consente al fruitore della casa di disporre muri e pareti come vuole, sancendo la partecipazione dell’utente al progetto. All’ultimo piano si trovano tre camere da letto e due bagni dove, il contrasto delle forme curve e chiuse conferisce alla casa una forma femminile. Il 3 agosto il cielo è azzurro. Senza il grigiore dei giorni scorsi la casa si trasforma in una sposa bianca. Forse è la casa più bella di Le Corbusier in cui ho finora vissuto. Nella clinica ritrovo la lunga linea di luce dello Studio-Appartament a Parigi, che filtra dalla finestra scandendo lo scorrere del tempo. Due signori vengono ad aggiustare la finestra della clinica che è stata rotta da una pietra lanciata dalla strada, dopo che la casa, insieme ad altre 16 opere dell’architetto, è stata inclusa all’interno del patrimonio mondiale Unesco. 
L’idea di finestra sul mondo rappresenta una delle basi su cui poggia il progetto My house is a Le Corbusier, che ha l’ambizione di realizzarsi in un lungo periodo e di costituirsi come l’insieme di tutte le esperienze che potrò realizzare all’interno delle tante case progettate da Le Corbusier nel mondo, trascorrendo nelle stesse un periodo variabile di tempo. “Abitazioni pellegrine” legate imprescindibilmente al movimento e all’incrocio di geografie e culture diverse. È curioso come l’episodio reale della famiglia Nivola in Sardegna, da cui prendo ispirazione, che non realizzò il progetto di Le Corbusier perché dicevano “non aveva né porte né finestre” – trovi corrispondenze nel famoso film intitolato L’uomo della porta accanto diretto nel 2009 da Mariano Cohn e Gaston Duprat, all’interno di casa Curutchet. Il film racconta uno scontro tra vicini di casa, dove una semplice parete che li separa, divide due “mondi” diversi di vivere. Da un lato Leonard, disegnatore, che abita nella casa costruita da Le Corbusier; dall’altro Victor, venditore di auto usate. Al suo ingresso nella nuova casa, Victor decide di fare una finestra per poter avere più luce, e da lì inizia il problema e ognuno si rende conto dell’esistenza dell’altro. La maggior parte delle persone che viene a visitare Casa Curutchet è attratta dalla risonanza di questo film. Molti non sanno che è opera di Le Corbusier e cercano la parete dove si affacciava Victor, non sapendo nemmeno che era finta e realizzata per il film. 
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Creo una serie di lavori con delle pieghe, innestando insieme due o più pagine da libro, di e su Le Corbusier; utilizzo le immagini dove compaiono le finestre di diverse architetture, posizionandole in vari punti della casa. Sono finestre su altri posti del mondo, in cui ho già vissuto o dove andrò a vivere all’interno del progetto My house is a Le Corbusier, che si svilupperà in dodici Paesi. Un altro lavoro con la tecnica della piega, perseguire un’idea di interiora, corpo, cuore. Posiziono il lavoro nella stanza della clinica. In omaggio al Dr. Curutchet, che progettò nuovi strumenti di chirurgia per essere impugnati con maggior flessibilità durante le operazioni. Uso Le Corbusier come uno strumento al pari di un cutter. Julio coordina insieme a Joaquin e Natcha l’accoglienza dei visitatori. Non occorre quindi che lo faccia io, come per le precedenti residenze, dove il visitatore aveva una resa dell’architettura attraverso il racconto e la presa diretta della sua dimensione spazio temporale, potendo discutere insieme bevendo un caffè. Il progetto My house is a Le Corbusier si sofferma sulle relazioni legate al concetto di comunicazione, lettura e interpretazione, con conseguenti implicazioni linguistiche e socio-politiche. Calandosi, in un periodo storico di difficile e precaria stabilità economica, in quell’impossibilità a possedere una casa di proprietà e prendendosi nel cambio di baratto la libertà di abitare le case di Le Corbusier presenti al mondo. A Casa Curutchet mi ritaglio un ruolo da osservatore, in un rapporto con il visitatore più clinico e meno casalingo. Uno degli aspetti più interessanti della storia della casa a La Plata è la relazione tra il cliente, Dr. Curutchet, e l’architetto Le Corbusier che accetta la commissione da un cliente sconosciuto, di un posto lontano, senza mai incontrarlo o avere con lui una conversazione personale. Tra i due essenziale è la figura di Amancio Williams, senza la sua dedizione la casa non si sarebbe mai realizzata. Amancio è la luce e l’esistenza di Casa Curucthet a La Plata è un miracolo. 
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La situazione in cui riversa Casa Curutchet è particolare. Il Collegio degli Architetti della Provincia di Buenos Aires, si impegna a pagare un affitto mensile alla figlia-erede del Dott. Curutchet. Permettendo a tutti di poter visitare la casa. Non rimangono però i fondi per poterla ristrutturare al meglio. Il governo argentino non può finanziare un bene privato. Casa Curutchet è però patrimonio dell’umanità. Forse la soluzione potrebbe essere che il governo argentino acquisti la casa e che la figlia del Dr. Curutchet possa agevolarne la vendita, per il bene stesso della casa. 
I visitatori arrivano per lo più dal resto dell’Argentina, dal Brasile, dal Cile e dalla Colombia. Sono soprattutto studenti di architettura. Si mettono nel terrazzo a prendere il sole. Gli argentini bevono Coca Cola mista a Fernet. Per Natcha gli argentini sono terzomondisti per scelta. La ragazza mi chiede cosa faccio con la videocamera che tengo sempre in mano, le rispondo che la uso come un taccuino per scrivere. Realizzo le cover dei vinili della costola sonora del progetto chiamata My sound is a Le Corbusier (in collaborazione con Francesco Brasini), che metto nella vetrina della clinica. Posiziono la Chaise Longe LC4 al centro della clinica in modo da far distendere il visitatore che può così ascoltare il suono delle altre architetture in cui ho vissuto. Per esempio all’Esprit Nouveau di Bologna la sonorizzazione si basava sull’orchestrazione delle quote e delle misure ricavate dalla planimetria del Padiglione. Dopo qualche minuto mi siedo di fianco al visitatore, che mi chiama per chiedere spiegazioni ed inizia un dialogo attorno a questioni inerenti al mio lavoro, all’architettura, all’abitare. Discutiamo sino all’entrata del visitatore successivo. 
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Per il progetto sonoro di La Plata lavoreremo con due coppie di tangheri registrando il suono dei loro passi mentre ballano sul pavimento di Casa Curutchet, senza utilizzare la musica. Prestando attenzione a tutto quello che non si sente nel ballo; quel suono fantasma che non viene mai percepito. Utilizziamo così gli ambienti come amplificatori e la casa come uno strumento musicale. My sound is a Le Corbusier costituisce la ‘gabbia toracica’ di questo percorso a Casa Curutchet. Userò la clinica come zona di ricevimento, consultazione, esaminazione. Lavoro anche in esterno a stretto contatto con tre muratori colombiani che fanno il marciapiede. La manovalanza colombiana costa meno in città ed è impiegata al posto di quella locale. Appoggio sopra tre puntelli altrettanti proiettori, per mostrare i video delle residenze passate. Le voci dei visitatori che provengono dalle proiezioni si mescolano al reale e conferiscono alla casa un’atmosfera ancor più fantasmatica. L’amico José mi accompagna al Museo di scienze naturali, fondato dall’esploratore Francisco Moreno. All’interno del museo seguo la storia evolutiva tra scheletri, repliche di tronchi d’albero, corazze, tane di animali e costruzioni abitative. Alle canne di fiume per costruire il tetto si affianca un monitor Samsung che proietta le frustrazioni di una famiglia contemporanea. Dopo i fossili seguono rasoi da barba, cosmetici, spazzolini da denti, lozioni idratanti. Una statuetta con il braccio alzato proveniente dalla costa centrale mi riporta alle misure del Modulor. Ci dirigiamo in macchina verso Rio de La Plata, che trovo con l’acqua sporca e navi petroliere all’orizzonte; oltre c’è l’Uruguay, ma si può vedere solo nei giorni limpidi. Le ciminiere dell’industria chimica si stagliano in lontananza. Una coppia è seduta sugli scogli e lei è intenta a togliere i pidocchi dalla testa di lui. José racconta di quando è stato in prigione durante le tensioni politiche e la polizia gli rubò tutta la collezione di dischi da casa. 
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L’umanità che si raccoglie attorno a questo progetto mi ammutolisce. Realizzo una colonna utilizzando tazzine da caffè poste una sopra l’altra, che incastro tra il mobile alto e il piano in cucina; come se questa colonna reggesse tutto il peso. My house is a Le Corbusier è una postazione di osservazione privilegiata per capire in che condizioni si trova “la casa degli uomini”. Tra le questioni che si discutono a La Plata c’è il problema dell’ansietà dell’emigrato, malattia che coglie chi lascia tutto. Le case qui hanno le pareti pregne di umidità a causa dall’inondazione del 2013 che distrusse gran parte delle abitazioni in città. Ancora oggi si continua a costruire dove non sarebbe possibile. 
La Facultad de Arquitetura y Urbanismo mi invita a tenere una conferenza e nonostante l’italiano la sala è strapiena. Oltre che residenza, il progetto My house is a Le Corbusier, è al contempo opera work in progress, cantiere d’idee, campo di collaborazioni, ricerca, mostra, occasione didattica. All’Esprit Nouveau feci alcuni lezioni per gli studenti dell’Accademia di Belle Arti, qui a La Plata organizzo un workshop insieme al laboratorio G.A.Y.A., che si occupa di recuperare persone con diverse patologie, tra cui ritardo mentale e autismo, utilizzando l’Architettura. Spiego al gruppo come ho lavorato con la casa, in un rapporto tra immagine e immaginazione, bidimensionale e tridimensionale, realtà e finzione. Interessandomi ai diversi punti di vista che gli ospiti e gli incontri facevano transitare durante la permanenza, in un’idea di diversità e scambio. Registro il loro punto di vista invitandoli a lasciare un segno sulla corrispondenza tra Dr. Curutchet e Le Corbusier. 
Il 20 agosto l’intendente della città mi consegna il decreto N° 1175, dove mi dichiarano ospite d’onore ed è in questo preciso istante che penso che i platensi siano tutti “locos”! Non ho mai avuto un’ospitalità così bella come in questa città.
Domenica 27 novembre alle ore 18, per il finissage della mostra di Cristian Chironi nel progetto a cura di Marta Papini alla Quadriennale di Roma, si svolge un talk con Pippo Ciorra, Silvia Fanti e Marta Papini.
Cristian Chironi

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