11 maggio 2012

Video cinesi e politicamente corretti

 
A Prato, in attesa del Grande Pecci, è di scena "Moving Image in China 1988 – 2011. Vent'anni di video arte cinese". Un viaggio colorato che racconta la storia recente di questo immenso Paese. Con i suoi conflitti e la sua esplosione tecnologica. Attraverso la censura del regime e le immagini in movimento di trentaquattro artisti [di Fiammetta Strigoli]

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La Cina (Repubblica Popolare Cinese) ha dimensioni vastissime in termini di popolazione, di area geografica, di sviluppo economico e ciò la rende un attore predominante nel contesto del nostro mondo globalizzato. Nel 1994 fa il suo ingresso nella Rete e il ritmo di crescita degli utenti è così elevato che tra pochi anni sarà il Paese predominante sulla scena Internet. Che, come tecnologia caratterizza un ambiente, uno Stato, e ciò che ne deriva è una “intima” connessione tra tutti gli “attori” coinvolti. Quindi, una diretta connessione con i governi che questo tipo di sviluppo hanno prodotto e sostengono, proprio come la Cina che, tuttavia, non ha tardato a mostrare il “lato oscuro” del suo regime, ossia il pressante e intenso controllo esercitato sui cittadini, utenti Internet.

La rete è una finestra aperta sul mondo, capace di sensibilizzare l’opinione pubblica, fatto che la censura governativa cinese non tollera, imponendo filtri nei motori di ricerca. Solo pochi utenti hanno le conoscenze informatiche necessarie ad aggirarli e quei pochi corrono rischi molto gravi tra cui la detenzione che può durare anche sei anni.

Perché quest’ampio preambolo? Perché come ogni avvenimento, l’irrompere della tecnologia di Internet implica mutamenti radicali nella società, sempre determinati da avvenimenti precedenti. Ciò che precede la tecnologia di Internet è quella del video, un medium che in Cina compare intorno al 1988. Dopo un breve iter sperimentale, gli artisti visivi ne colgono in pieno la dinamicità e le possibilità innovative di significazione.

Il Centro d’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato ha colto una buona occasione per storicizzarne gli esiti, dato che l’arco temporale della pratica in sé del medium copre poco più di un ventennio, producendo la rassegna “Moving Image in China 1988 – 2011. Vent’anni di video arte cinese” (a cura di He Juxing, Guo Xiaoyan, Zhou Tiehai e Marco Bazzini, fino al 29 luglio, in collaborazione con The Institute Minsheng di Pechino, catalogo Silvana Editoriale).

Il progetto trova fondamento anche in una volontà politically correct, tendendo a costruire una relazione anche sul piano culturale con la maggiore comunità cinese d’Italia che vive e lavora nella città. Tant’è che il console cinese ha esortato i suoi connazionali a uscire dalle fabbriche e visitare il Centro Luigi Pecci, presenziando all’inaugurazione della mostra.

Personalmente ho provato molto piacere a essere “investita” da immagini in cui per lo più emergono miti di un Oriente dove la creazione, il paradiso, gli eroi, la morte e la temperanza rappresentano un background rivisitabile, ma soprattutto è il no-gap con gli artisti occidentali che salta agli occhi.

I quarantuno video, realizzati rispettivamente da trentaquattro artisti nati tra il 1957 e il 1987 – tra gli altri: Yan Lei, Qiu Zhijie, Ellen Pau, Chen Shaoxiong, Feng Mengbo, Hu Jieming, Li Juchuan, Lin Yilin, Wang Jianwei, Wang Gongxin, Xu Zhen, Zhou Tiehai, Gu Dexin, Zhou Xiaohu, Hu Xiangqian, Huang Ran, Liu Chuan, Lu Yang, Ma Qiusha, Jennifer Wen Ma, Peng Hung-chih, Sun Xun, Ye Linghan, Zhang Ding, accanto alle due star internazionali Yang Fudong e Cao Fei – sono in gran parte ben fruibili, suddivisi in quattro sezioni sia temporali che tematiche.

Nella prima sala il primo video realizzato, 30X30, autore l’artista Zhang Peili che apre il percorso della mostra, all’interno del periodo che va dal 1988 al 1993 in cui si delineano sperimentazioni concettuali e di critica ai nuovi media come la televisione che in quegli anni trova grande espansione nel Paese. Segue il periodo tra il 1994 e il 1999 caratterizzato dalla video-camera, mezzo più snello della telecamera, che permette di costruire veri e propri documenti di realtà del quotidiano. Tra il 2000 e il 2005 si realizzano le prime videoinstallazioni e gli artisti formulano una vera e propria espansione dell’immagine, incrociando cinema, teatro, perfomance, computer grafica.

Successivamente, tra il 2006 e il 2011, il pensiero veicola davvero attraverso il video, emergono infatti contenuti culturali e socio-politici. In altre parole sono avvertibili riflessioni che riguardano la “corsa” della Cina al capitalismo dei “comunisti-mandarini”. Riflessioni che già nel periodo precedente, nel 2003, l’artista Chen Chieh-jen fa emergere nel video Factory, affrontando un tema contemporaneo che unisce tutti i Paesi industrializzati: la perdita del lavoro causata dalla ricerca di manodopera a costo minimo da parte di grandi e piccole aziende, risparmiando sul costo dei processi di produzione – maggior profitto con minor spesa. Factory è un video-documento, costruito come un film dove una fabbrica di abbigliamento, chiusa da sette anni, rivive con la presenza delle operaie licenziate che modulano gli antichi gesti alle macchine da cucire. L’evocazione è quella di una realtà sociale “post” in un territorio impoverito e abbandonato a se stesso.

Questo lavoro non è l’unico meritevole – la selezione operata dai curatori ha toccato una pluralità di estetiche e di contenuti che ben sostengono gli intenti della mostra – ma possiede la capacità di farci riflettere come occidentali che «crediamo di vivere nel migliore dei mondi possibili – come scrive Ivan Franceschini – e la Cina è la nostra grande giustificazione».

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