12 marzo 2016

Blu fa piazza pulita. Il writer cancella tutte le sue opere a Bologna, in segno di protesta contro la mostra sulla street art di Palazzo Pepoli

 

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La storia non è proprio vecchia come il mondo, ma almeno quanto la street art. Che, ricordiamolo ancora una volta, ha fatto capolino come la si intende oggi, alla fine degli anni ’60, sui treni della metropolitana newyorchese. Da lì a poco, però, il graffitismo non solo ha continuato a imperversare agli angoli delle strade di tutte le città occidentali, con esplosioni proprio nella Grande Mela e anche a Berlino, per esempio, ma è anche entrato nelle gallerie di mezzo mondo, a partire da quella del primo mercante di street art: Tony Shafrazi. 
Dunque, il graffitismo può entrare nel circuito dell’arte, essere musealizzato, inglobato dal sistema? O deve restare arte di strada, libera e anche destinata a cambiare e scomparire, come avviene con il paesaggio urbano? Tutte queste premesse perché a Bologna nelle ultime ore si è messo in scena l’ultimo atto del writer Blu, che in polemica con la mostra sulla street art che apre il 18 marzo a Palazzo Pepoli, ha deciso di cancellare tutte le sue opere in città. 
“A dare una mano a Blu ci sono gli occupanti di due centri sociali – XM24 e Crash – che non a caso si trovano lungo la direttrice del canale Navile, là dove ogni forma di partecipazione reale è morta sotto il peso di fallimentari progetti edilizi di riqualificazione e di strumentali emergenze come quelle contro i campi nomadi”, spiega il sito del collettivo Wu Ming, che si è fatto portavoce della protesta, che continua: “Questa mostra sdogana e imbelletta l’accaparramento dei disegni degli street artist, con grande gioia dei collezionisti senza scrupoli e dei commercianti di opere rubate alle strade”.
Già, perché nella stessa città che ha condannato un’altra street artist internazionale come AliCé, per la mostra al Pepoli, alcuni graffiti sono stati strappati direttamente dai muri, senza chiedere nemmeno il permesso degli autori. 
E Bologna, va ricordato, nel 1984 ospitò la prima mostra italiana dedicata al Graffitismo, “Arte di Frontiera”, ideata da Francesca Alinovi, ma pare che il Presidente di Fondazione Carisbo, Fabio Roversi Monaco, non abbia ben chiara la storia e pensi che per “salvare dal tempo” l’arte di strada sia possibile anche calpestare poetiche e diritti degli artisti. Che ad ogni modo devono essere consapevoli che le loro creazioni dipendono sia da quel che può succedere sulla strada, ma anche dalle decisioni dei palazzi. Nel bene o nel male.

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