30 giugno 2018

Come stiamo cambiando il mondo. Le fotografie di Anne de Carbuccia, in mostra a Napoli

 

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«Voglio fare luce sui danni, le crepe e le piaghe. Credo che se riuscirò a mostrarne la bellezza, forse riuscirò anche a ricomporle». Parole pronunciate da Anne de Carbuccia, artista franco-americana che, dopo gli studi di antropologia, ha viaggiato per il mondo fotografando installazioni simboliche temporanee, i cosiddetti “TimeShrines”, sacrari del tempo che documentano luoghi, animali e culture a rischio estinzione. Il sacrario contiene artefatti simbolici, la vanitas o teschio, come memento mori è un ammonimento all’effimera condizione dell’esistenza, la clessidra scandisce, granello dopo granello, il tempo che si consuma. «I sacrari parlano alle nostre origini, alle nostre convinzioni, a ciò che amiamo. Collegano il passato al presente e quello che è stato e quello che sarà». I sacrari, quindi, da intrepretare come simboli positivi, per misurare il tempo che ci resta per agire nell’interesse del pianeta. A completamento dei sacrari, l’artista inserisce nella sua indagine fotografica organismi viventi, vegetali o animali, e oggetti trovati negli habitat terrestri e marini, ognuno scelto per il suo valore simbolico, per diffondere la conoscenza delle minacce ambientali causate dal comportamento dell’uomo. 
Il progetto “One Planet One Future”, realizzato in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e Turismo del Comune di Napoli, dopo aver girato il mondo, trova ospitalità nella città partenopea, nello spazio della Sala delle Carceri, a Castel dell’Ovo. Qui, all’ombra del vulcano, il progetto si è arricchito di un nuovo tassello, perché, con la sua macchina fotografica, de Carbuccia ha documentato l’incendio doloso del Parco Nazionale del Vesuvio, del luglio 2017. Un Sacrario del Tempo: teschio e clessidra riposano sui resti della vegetazione devastata, annerita e morta. Pannelli mobili retroilluminati fanno da cornice a immagini di acque, spiagge e culture a rischio, fotografie per documentare quello che abbiamo e ciò che abbiamo perso. 
L’architetto Cesare Mari ha curato l’allestimento dei pannelli che fanno da supporto alle fotografie, Giuseppe Mastrangelo, light designer, si è occupato delle illuminazioni, e Nadine Schutz degli effetti acustici di vento e onde. (Danilo Russo)

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