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Anche questo gesto, agli occhi della corte sovietica che lo dovrà processare per “vandalismo”, non suonerà del tutto congeniale. Pyotr Pavlensky, il dissidente performer russo di cui ci siamo spessissimo occupati, ha donato il suo Premio internazionale Vaclav Havel “Per il dissenso creativo”, offerto dall’organizzazione statunitense Human Rights Foundation (HRF) e condiviso con il reporter uzbeko Umida Akhmedova, con la disegnatrice iraniana Atena Farghadani, al gruppo Primorye Guerrillas. Chi sono? Altri dissidenti, violenti, che dal 2010 hanno lottato con la polizia russa nell’est della nazione, azioni per cui stanno scontando lunghe pene detentive, visto che c’è in mezzo anche l’accusa di aver ucciso due agenti. Il premio è stato ritirato pochi giorni fa ad Oslo, dalla compagna dell’artista, e vale 42mila dollari. Chiunque, forse, li avrebbe usati per pagarsi un altro buon avvocato, ma a quanto pare Pavlensky non scherza e non molla il colpo. E affonda le sue azioni in una vicenda che ormai è arte essa stessa.
Nella foto: Pyotr Pavlensky al tribunale di Mosca il 26 febbraio 2016. Foto: Dmitry Serebryakov / AFP / Getty Images