04 gennaio 2018

Coraggio e modernità. Angela Vettese ci racconta come sarà la sua seconda Arte Fiera

 

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È la prima fiera d’arte moderna e contemporanea per fatturato in Italia ed è specificatamente rivolta al panorama della nostra ricerca artistica. Stiamo parlando di Arte Fiera, che si svolgerà a Bologna, dal 2 al 5 febbraio 2018, e che, per la sua 42ma edizione, la seconda con la direzione di Angela Vettese, trasformerà i padiglioni 25 e 26 di BolognaFiere in una grande piattaforma di dibattito e incontro. Come avevamo anticipato, saranno 151 le gallerie coinvolte, alle quali si aggiungeranno 30 espositori legati ai settori di editoria e grafica. All’interno della main section, un percorso sarà dedicato alle sfumature della Modernity e ci sarà spazio anche per gli artisti emergenti, con Nueva Vista, a cura di Simone Frangi, e per le gallerie di fotografia, con Photo, a cura di Andrea Pertoldeo. Molti e ambiti  i riconoscimenti, come il Premio Gruppo Euromobil Under 30, il #ContemporaryYoung, lanciato dai Giovani Industriali bolognesi, e il Premio ANGAMC alla carriera, che per il 2018 sarà assegnato al gallerista milanese Giorgio Marconi. Ma anche la città sarà coinvolta, grazie alla sezione POLIS che, da quest’anno, sarà declinata in Artworks, a cura di Vettese, con il coordinamento di Nicolas Ballario e in collaborazione con alcune gallerie che partecipano ad Arte Fiera, Cinema, rassegna a cura di Mark Nash che si terrà al Mambo e in fiera, Special Project: Performing The Gallery, al Collegio Venturoli e a cura di Chiara Vecchiarelli, e BBQ, a cura di Mia D. Suppiej, che offrirà un punto di vista della scena indipendente dell’arte contemporanea bolognese. 
Ci dice di più Angela Vettese, che abbiamo raggiunto per una intervista. 
Secondo anno alla guida di Arte Fiera. Cosa è cambiato e cosa è rimasto uguale, nel suo approccio? 
«È maturata la volontà di premiare le gallerie che presentano un programma serio e audace, creando situazioni di premialità quali la sottosezione Modernity, ovvero uno spazio gratuito in più per chi offre al pubblico anche un focus su un artista particolare, e l’itinerario di opere in città Polis/Artworks, creato scegliendo alcuni progetti di intervento nello spazio cittadino. Tutte le attività denominate Polis sono produzioni di Arte Fiera nate dal desiderio di affrontare dei temi o degli artisti importanti, mostrando anche il tessuto urbano nella sua bellezza e nella sua problematicità». 
Nell’ambito della Main Section, ci sarà un focus dedicato alla Modernity. Di cosa si tratta? 
«Come ho accennato, di piccole personali che stanno all’interno della Main Section, da Marino Marini a Regina José Galindo, considerando la modernità come qualcosa che significa “ora”, “ancora attuale”, da vedere o rivedere con attenzione. Non è una sezione di arte moderna, ma una sezione di arte che ci concerne da vicino, indipendentemente da quando e come è stata realizzata». 
Tra le novità della prossima edizione, il convegno internazionale Tra mostra e fiera: entre chien et loup. Di cosa si parlerà? Perché è un argomento così necessario? 
«Le mostre sono spesso prodotte con l’aiuto dei galleristi, che forniscono i fondi per la realizzazione delle opere; le fiere si danno un senso non solo commerciale scegliendo curatori internazionali per curare sezioni con un concept più vicino a quello di un’esposizione che di una mostra-mercato. Funziona così da vent’anni e c’è chi ritiene che vedere alcune fiere con i loro eventi collaterali porti più informazioni di una mostra. Del resto i Salon Parigini e in fondo anche la Biennale di Venezia avevano avuto tra le loro prime finalità la vendita. La storia della committenza è parte della storia dell’arte. Ma in tutto questo che ruolo hanno il pensiero critico da un lato, dall’altro la speculazione? Non si può più non chiederselo e Bologna “la dotta” è il luogo giusto per farlo, con il sostegno di due università». 
Arte Fiera si caratterizza per uno sguardo molto attento al panorama italiano, magari a scapito di una certa visibilità internazionale. Come mai questa scelta? 
«Credo che sia giusto offrire alle gallerie di un territorio nazionale l’occasione di incontrarsi e di esporre a un pubblico non solo italiano la loro attività, come un carotaggio su cosa si produce, si vede, si scambia in un certo paese. Oggi il mondo pullula di fiere internazionali in cui si vedono più o meno le stesse gallerie, da Miami a Londra, da Dubai a Parigi. Certe fiere – quelle che ho nominato certamente – sono davvero di importanza internazionale, altre invece inseguono l’International style. Credo che evitare queste ripetizioni sia una scelta coraggiosa. Dubito che venga subito capita ma sono convinta che sia una strada innovativa, culturalmente necessaria e non priva di un valore civile. Poi certo, il successo di una fiera lo si fa se si vende. Incrociamo le dita».

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