07 giugno 2019

I baffi della Gioconda? Questione di gender. In Friuli, un progetto sull’identità di ieri e oggi

 

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Cinque lettere dal significato licenzioso – L.H.O.O.Q. – un paio di baffi e una punta di barba. Così, nel 1919, giusto cent’anni fa, un geniale e irriverente Marcel Duchamp reinventava in maniera dissacrante il capolavoro per eccellenza di Leonardo, opera simbolo del Rinascimento italiano e al contempo di uno dei templi istituzionali della storia dell’arte mondiale, il Louvre. A quel gesto cre-attivo fatto su un poster del dipinto, a quel ready-made rettificato, idealmente si ricollegano gli interventi dei sessanta artisti protagonisti della mostra “I baffi della Gioconda 2 (1996-2019)” a cura di Eva Comuzzi e Orietta Masin, in corso fino al 9 giugno al Museo d’Arte Moderna “Ugo Carà” di Muggia. 
L’esposizione è il sequel dell’omonimo progetto, realizzato a Pordenone nel 1996, per la curatela di Paola Bristot, Fulvia Spizzo e Paola Moro, che vedeva protagonisti importanti artisti del Friuli Venezia Giulia e non solo, chiamati – ieri come oggi – a reinterpretare la celeberrima pittura di Da Vinci. Come scriveva Vasari: «Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie; et quattro anni penatovi lo lasciò… Et in questo di Leonardo vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo, et era tenuta cosa maravigliosa, per non essere il vivo altrimenti». 
Nel cinquecentenario dalla morte di Leonardo, la mostra indaga dunque due aspetti centrali nella mitologia dell’opera. Il tema del non finito, dell’incompiuto ma anche dell’indeterminatezza identitaria. Sta proprio in quel «ghigno tanto piacevole», nel sorriso equivoco del soggetto effigiato, il cuore del suo mistero e l’arma di seduzione nei secoli. Quell’identità sfuggevole e incerta. Fluida e non etichettabile. Ciò che oggi definiamo il gender. Che la Gioconda fosse veramente l’effige di monna Lisa Gherardini? O, come ipotizzato da Sigmund Freud, si trattasse di un autoritratto dello stesso Leonardo, sorta di coming out pittorico? O ancora, come ipotizzato dalla romanziera Sophie Herfort, ci trovassimo di fronte al ritratto dell’amante dell’artista, un travestito? Non è dato sapere. 
In coincidenza con il GayPride di Trieste, per il finissage della mostra, domenica, 9 giugno, alle ore 16, si parlerà di metamorfosi e ricerche identitarie nelle arti contemporanee nelle opere – tra gli altri – di Urs Lüthi, Gino De Dominicis, Pierre Molinier, Roberto Cuoghi, Cindy Sherman, Motus (MDLSX), ricci/forte (Wunderkammer Soap-Didone). A chiusura, la performance @gender di Eva Croce. (Giada Centazzo)

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