09 settembre 2017

Il diario di Coffi. Si chiude il Festival berlinese dedicato alla giovane arte italiana

 

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Mi sono avviata all’apertura del Coffi Festival con quello che, in Germania, viene definito kaffee, praticamente un bicchierone di carta colmo di quel che sembra il ripieno dei pocket coffee. Riscaldarsi preventivamente è d’obbligo prima di andare in una ex cella frigorifera. La Kuhlhaus, letteralmente “casa del freddo”, era esattamente questo, prima di mettersi al passo coi tempi e convertirsi in sede per eventi come il festival in questione, con ottimi risultati peraltro. 
Il Coffi si presenta come occasione per esplorare lo spazio, avere a che fare con l’arte in varie forme ed esperire una certa sinergia. In effetti, tutti i propositi sono stati raggiunti con successo in queste prime tre edizioni, durante le quali la Kuhlhaus è diventata punto di incontro per registi emergenti, performer, ballerini e attori oltre che per musicisti, riuscendo a offrire un’occasione efficace di far conoscere, all’estero, il modo di agire degli italiani nell’arte. Il tema sul quale tutti gli artisti presenti sono stati chiamati a confronto è stato quella della contaminazione. Nonostante sia un argomento sul quale ci si può riferire a fortunati scambi interculturali, la contaminazione più evidente è stata sicuramente quella tra l’arte e il mondo delle nuove tecnologie, dal quale non si può sfuggire. 
Prima di parlare delle performance, punto forte del programma, è doveroso fare qualche accenno alle opere ospitate durante tutta la durata del Festival. Al piano terra, ad attirare subito lo sguardo c’era la scritta tridimensionale NOI NON SIAMO ARRIVATI IN VETTA, accompagnata da una breve sceneggiatura. Poco distante, l’installazione Modellazione urbana di Claudia Zanaga e Marco Vomiero, un’opera in cui l’urbanistica di Berlino e quella di Padova hanno avuto modo di incontrarsi. Al quarto piano, la mostra (Di)stanze, progetto in cui Max Cavallari ha realizzato ritratti fotografici di famiglie in cui comparivano anche i volti dei parenti distanti dal nucleo d’origine ma riprodotti sullo schermo di un computer, tramite programmi di messaggistica istantanea come Skype. Insomma, quadretti famigliari che sono pur sempre risultato di scelte già popolari secoli fa, quando la nostalgia di casa era meno stucchevole. Tra le installazioni più interessanti, Data Deliquents, un’opera di Andrea Riba, Isabella Lee e Ashy Rinaldi Castro, in cui è stato mostrato come l’algoritmo di Facebook interpreta informazioni personali come orientamento politico e religioso per proporci pagine o per girarle a chi di dovere. Poco distante si è svolta una performance della durata di tre giorni, Primavera_esperimento #3, di Iulia Marzulli, basata su poesia e colori. Nel passaggio tra uno spazio e l’altro, sulle scale, è stata allestita l’installazione di Antonio Mastrogiacomo, un telefono da cui risuonavano composizioni messe a punto con una collezione di suonerie. 
Il programma di performance è iniziato con R O M A, uno spettacolo di danza contemporanea firmata Siciliano Contemporary Ballet. L’esibizione proveniva da un concept sviluppato per tempi più lunghi dei 40 minuti concessi dal Coffi. Probabilmente a causa di questa riduzione, i numerosi messaggi che il coreografo avrebbe voluto portare in scena non hanno sempre trovato lo spazio adeguato. Nonostante ciò, i riferimenti alle guerre e alla Cena di Leonardo sono stati evidenti e le coreografie hanno saputo mostrare cosa può diventare il corpo dei danzatori. A sonorizzare il tutto con un tappeto costante di musica dal sapore digitale è stato Matresarch. L’altra performance della serata d’apertura è stata affidata alle mani di Evil Twin, un duo che nella propria esibizione ha inteso proporre, ancora una volta, quello che dovrebbe essere un connubio tra musica etnica ed elettronica. I due intendevano tramutare in musica le forti impressioni provate durante un viaggio a Marrakech, attualmente il risultato è musica shoegaze con qualche ritmo vagamente tribale in lontananza. 
Un buon feedback è arrivato anche agli organizzatori del Coffi. La project manager Serena Calò ha ringraziato più volte gli sponsor e gli artisti: «Con il loro straordinario talento hanno dato forma al tema della Contaminazione». Calò ha sottolineato un altro aspetto importante, visto che il festival ha richiamato «un pubblico sempre attento, concentrato e curioso di scoprire, attraverso i lavori presentati, quali sfumature può prendere la parola Contaminazione». L’atmosfera positiva respirata nella tre giorni berlinese dà la carica adatta a progettare le edizioni future: «Negli ambienti della Kuhlhaus Berlin si respirava un mix di energie positive, che ci hanno davvero stupito e sicuramente ci daranno la carica giusta per migliorare sempre di più la buona riuscita del festival». (Ambra Benvenuto)

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