29 ottobre 2018

Io, tutti. Alla Vannucci di Pistoia, il work in progress di Sandra Tomboloni e Yael Karavan

 

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Alla galleria ME Vannucci di Pistoia, è in corso ormai da alcune settimane l’opera work in progress che Sandra Tomboloni sta realizzando nell’ambito della mostra collettiva “Let’s twist again”, in corso fino a metà novembre. Si tratta di un grande pannello in legno sul quale l’artista ha inizialmente disegnato una traccia a pastello che rappresenta dei corpi umani e, adesso, questo disegno sta diventando un bassorilievo, poiché le forme vengono riempite di uno strato di pongo rosso accuratamente plasmato così da evidenziare la terza dimensione. Un lavoro lungo e stratificato che, piano piano, prende forma. 
Il titolo dell’opera è i inteso come articolo determinativo plurale ma al contempo anche come I che letto come numero romano significa “primo” e letto in inglese significa “io”. L’opera assume dunque una doppia valenza di singolarità e molteplicità, di uno e di tanti, di individualità e di collettività. Sono questi i temi cari a Tomboloni che, da sempre, ha sposato con il suo lavoro la causa sociale. 
Questi stessi temi la accomunano a Yael Karavan, ballerina, performer, coreografa e regista nota a livello internazionale, nata in Israele, cresciuta tra Italia e Francia e ora residente in Inghilterra. È tale comunanza di visione e di ideali che ha portato le due artiste ad avere un’intesa a prima vista e questo ha sollecitato Karavan a creare e realizzare una performance, Fragments, in dialogo con l’opera di Tomboloni. 
Karavan, vestita di rosso davanti al pannello con i corpi, annodati, attorcigliati, aggrovigliati, intricati, avvinghiati, ha lentamente “messo in moto” quanto rappresentato, lei stessa è diventata parte integrante dell’opera. È come se da essa fosse uscita accartocciata su se stessa e, dopo movimenti lenti e calcolati, spogliatasi dalla tutina che la conteneva/comprimeva, si fosse liberata e avesse preso vita, entrando nel mondo, sempre vestita di rosso, e avendo iniziato a far parte di questo. Prima timida e spaesata, poi sempre più presente, ha preso confidenza con l’ambiente circostante e ha cominciato a porsi in relazione con gli astanti, sguardi che si incrociano, mani che si sfiorano, corpi che si toccano, fili che si legano, che uniscono, catturano. 
La musica di sottofondo, inizialmente frammentata e tenue, si è fatta più vivace e serrata, sfociando in un twist che ha coinvolto tutti a ballare entro un cerchio rosso, colore del sangue, che Yael ha segnato sul pavimento con del pigmento fluito da una bottiglia. Quasi a delimitare un mondo entro il quale viene sollecitata la fratellanza, l’uguaglianza e la libertà e a ricordarci che troppo sangue è stato versato e si sta versando in nome della parità di diritti. (Enrica Ravenni)

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