11 febbraio 2019

Nel bianco dipinto di bianco. Addio a Robert Ryman, artista dell’assoluto

 

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Il bianco è il colore dello spazio assoluto, un luogo mentale che indica incorruttibilità, purezza, classicità. Robert Ryman, nato a Nashville nel 1930, è scomparso l’8 febbraio 2019 e, prima di convertirsi alla pittura, è stato jazzista a New York, dove si era trasferito negli anni ’50 e ha conosciuto i protagonisti dell’Espressionismo astratto. 
L’incontro con i pittori delle sua generazione è stato fatale e ha portato un protagonista del Minimal americano a sviluppare le potenzialità espressive del monocromo bianco su bianco. Ryman si riconosce per le superfici quadrate total white dipinte dal 1959-60, ricoperte da una fittissima griglia lineare geometrica, con effetti vibranti che potenziano il processo di riduzione minimale della pratica pittorica. L’artista americano trova una dimensione ideale nel modello di astrazione e di ricerca dell’assoluto, nel bianco mistico del suo maestro Kasimir Malevic, fondatore del Suprematismo russo, autore del Quadrato bianco su fondo bianco (1918), esposto al Moma di New York. Ryman non è stato l’unico a rimanere affascinato dal monocromo e, in particolare, dal bianco. Si ricorda, tra gli altri, Piero Manzoni con la serie Achrome, dipinta dal 1957 al ‘63. 
Per l’artista americano, gli elementi necessari sono il supporto e il colore, la cui stesura pittorica deve essere visibile e vibrante. Il suo bianco è naturale, valorizza le pennellate e il processo della pittura in quanto tale. Inoltre la tela è il supporto concreto che deve evidenziare la fisicità del colore. Nelle sue opere, superficie bianca e geometria coincidono, come l’esistenza con l’atto del dipingere. 
Una volta scrisse: «L’immagine è il procedimento, il pennello, il modo con il quadrato è fatto. La grandezza, lo spessore, il tipo di colore diventano immagine quando il quadrato viene appeso alla parete, e diventa oggetto. Se per immagine intendi una figura, un paesaggio, allora no, non c’è nulla di ciò nei miei quadri». (Jacqueline Ceresoli)

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