10 marzo 2018

New York Art Week/7. Independent, o della possibilità di fare una fiera “bella”

 

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Senza togliere nulla a nessuno, la nuova edizione di Independent NY è la fiera migliore sulla piazza e che, forse, una galleria che si occupa di contemporaneo possa desiderare come “stage”. Al 50 di Varick Street, in piena Tribeca – mica un capannone affacciato sul gelido Hudson River – ha preso il via la kermesse fondata nel 2009 e le gallerie partecipanti, quest’anno, sono 57. Lo statement che potrete leggere al muro, all’ingresso? ‹‹Independent is…a community, a forum, a network, a philosophy, a platform, an experience…not an ordinary fair››, ma concepita da galleristi per galleristi. 
E così, via i maledetti muri di cartongesso, se non quando si tratta di pura esigenza (e quando ci sono, risultano quasi invisibili), via le orribili moquette che si alzano a onda, ad Armory o a Volta, via il superfluo e aggiungi pure che entra una splendida luce dalle vetrate, con sole o senza. Il risultato è davvero una fiera piacevole, dove anche il kitsch – siamo pur sempre negli Stati Uniti – è architettato con gusto. 
Partiamo con il nostro tour dal settimo piano: bellissima pittura, offerta da Swiss Institute o da VHN Gallery, con i colori di Cy Gavin, anche il best of – anche in questo caso senza nulla togliere al resto – lo si trova al sesto piano. Impeccabile lo stand di 303 Gallery, con un solo show di Hans Peter Feldmann, mischiando pittura e installazioni con gusto da manuale; Timothy Taylor offre, tra gli altri, bei lavori “pittorici” realizzati con alluminio riciclato e ritagliato firmati da Gabriel de la Mora, mentre Spruth Magers offre una personale di Ryan Trecartin. Superba anche la proposta di Cheim & Read che porta una serie di bellissimi pezzi di Jack Pierson. Ma ci sono anche Marlborough Gallery, CLEARING, Sikkema Jenkins e Modern Institute, con – davvero – un’offerta degna di nota. Quinto piano, invece, di spicco per Leslie Tonkonow e un doppio show di Agnes Denes e Michelle Struth, ma anche la francese Hervé Bizet con Jacques Charlier e le sue “pitture satiriche” che prendono di mira Lucio Fontana, Roy Lichtenstein e quel mondo dell’arte internazionale di cui la Grande Mela fa parte senza se e senza ma. Splendidi i paesaggi americani di Sayre Gomez (1982, Los Angeles-based) in mostra da Ghebaly Gallery e bella pittura anche da Air de Paris con Elisa Douglas. A chiudere, ancora pittura, con la serie History is a nightmare from which I am trying to wake, di Cynthia Daignault: un’intera parete di piccolo tele in bianco e grigio che mostrano – giusto per citarne alcune – funghi atomici, Marilyn Monroe con una sigaretta, incendi, cavalli imbizzarriti, case tipicamente americane di inquietante aspetto e così via. Bell’allestimento di Traversia Quatro, mentre Night Gallery propone una riflessione sulla “supremazia” corrotta dell’uomo bianco. 
Insomma, il vero “place to be” pare essere proprio questo. E la folla lo conferma. Per il resto il prossimo appuntamento è Brussels, dall’8 novembre.

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