14 maggio 2016

Sguardi trasversali su Santa Maria della Scala. Dai dettagli al degrado, Federico Pacini racconta per immagini la struttura senese

 

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Esistono fotografie che hanno il potere di invertire i ruoli della visione, che osservano e scrutano chi le guarda. Questa peculiarità si ritrova anche nelle immagini di Federico Pacini raccolte nel testo Santa Maria della Scala (Quinlan, 2015), a cura di Roberto Maggiori. Uno sguardo che obliquamente percorre le sale della storica struttura senese, edificata in un’epoca antecedente all’XI secolo, originariamente luogo di ricovero dei pellegrini, destinata a uso ospedaliero e, oggi, museo comunale. Un edificio in trasformazione, che reca i segni dell’impronta temporale, in cui l’occhio è destinato continuamente a indugiare tra la struggente bellezza dei dettagli medievali e il contrasto con il degrado e l’abbandono. 
Dopo Purtroppo ti amo (Quinlan, 2014), Pacini torna a interpretare la sua città da un punto di vista insolito, trasversale e tangente a quei luoghi iconici, divorati dal consumismo turistico. L’autore afferma di volersi allontanare dallo stereotipo della Siena da cartolina, spostando l’asse prospettico dal centro verso quei luoghi solitamente nascosti alla vista. In questo mondo dove la sovrapproduzione di immagini porta sempre di più ad applicare un filtro (non solo metaforicamente) alle nostre esperienze, veniamo risucchiati e fagocitati dallo spettacolo del paesaggio più che dalla sua essenza. In questo contesto, le immagini di Santa Maria della Scala catturano un retroscena interessante e una visione non scontata del luogo, mettendone in risalto la sua storia e le sue metamorfosi. Per Roland Barthes le fotografie di paesaggio dovevano essere abitabili e non solamente visitabili ed è proprio questa la percezione che si ha, sfogliando le pagine del testo. “Abitando” le varie sale del complesso sembra di poter distinguere i passi e i rumori del fluire quotidiano, sentire la mano scivolare sulle superfici ruvide di un teschio o sul corrimano modanato delle scale. Pacini non esita a mettere in risalto la maestosità della rovina e la dignità poetica del dettaglio nel frammento di un affresco, tra i graffiti e i residui del passato, in un gioco tra interno ed esterno, dominato dalla dirompente luminosità delle bifore cuspidate. (Annapaola Di Maio)

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