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Gli strumenti sono disposti ordinatamente su stretti e lunghi banconi di legno chiaro. I profili acuminati di forbici, pinze, tenaglie, seghetti e lame di varie dimensioni, creano simmetrie luccicanti sul sottile telo bianco. Questa fredda cadenza istituita dall’acciaio, si interrompe sulla superficie trasparente di ampolle, provette e becher, che si alternano in un sottile dialogo tra fragili superfici concave e convesse. L’ordine astraente di questi elementi orizzontali, incontra un corrispettivo opposto nelle grandi tele e nei larghi camici fissati su strutture slanciate, addossate alle pareti. I grumi caotici e le densità varie che ne chiazzano i tessuti, evocano la gestualità di una funzione reale, organica.
Hermann Nitsch è seduto vicino all’ingresso del museo che porta il suo nome e che si affaccia sull’intricato reticolo del quartiere napoletano dell’Avvocata. Le sale si riempiono velocemente, stipate di voci e fruscii che si agitano intorno al suo corpo ampio e silenzioso, la barba fluente compie movimenti impercettibili. I sette anni del Museo Nitsch coincidono con i settanta di Giuseppe Morra – al quale si deve l’istituzione, nel 1992, dell’omonima fondazione, oltre che del Museo – e con i quarantadue da quel fatidico giorno in cui il gallerista e collezionista napoletano conobbe l’artista viennese. Nella coincidenza di queste occasioni si riconoscono un traguardo raggiunto e l’impulso a intraprendere un corso nuovo, proiettato in una dimensione formativa. Per inaugurare questo proposito con le giuste premesse, un gruppo di otto studenti del LUISS Master of Art, corso di alta formazione con la direzione scientifica di Achille Bonito Oliva, ha lavorato al riallestimento delle sale del museo napoletano, nelle quali hanno trovato collocazione gli oggetti residuali dell’Orgien Mysterien Theater. L’operazione fa parte dell’ampio progetto “Arena. Opera all’opera”, che prevedeva uno scambio di opere con il Nitsch Museum di Mistelbach. Inoltre, c’è grande attesa per l’apertura ufficiale, ormai prossima, di Casa Morra, centro di documentazione e residenza per artisti, nell’ex Convento di San Raffaele, al rione Materdei. Che l’attività della Fondazione sia rivolta al futuro, anche molto remoto, è dimostrato da un fittissimo e dettagliato programma di mostre, conservato nella biblioteca del Museo, le cui aperture scandiranno il calendario dei prossimi cento anni.
L’esperienza pluriennale ha lasciato tracce inestimabili e i frammenti delle performance di Nitsch ordinano una precisa anatomia cronologica, portando i segni vividi del tempo che continua a scorrere. Tutto iniziò nel 1974, quando lo Studio Morra, da poco inaugurato, aprì i suoi spazi di via Calabritto alle sperimentazioni estreme di Günter Brus. E sempre lì, dopo pochi mesi, Nitsch presentò la sua 45.aktion, la prima di una lunga serie nella città partenopea. Lo Studio iniziava con un orientamento già ben definito e, nel corso degli anni, si sono alternate personalità come Marina Abramovic, Gina Pane, Rudolf Schwarzkogler, Allan Kaprow, passando dall’estetica teatralizzante del Wiener Aktionismus al colore sensuale del Gruppo Gutai, fino alle provocazioni interdisciplinari di Fluxus. Senza tralasciare il fervido contesto locale, promuovendo le operazioni di Luigi Castellano, Giuseppe Desiato, Giuseppe Zevola, tra i molti altri. In anni in cui l’oggetto artistico stava perdendo le sue connotazioni ideologiche, virando verso un’immediatezza facilmente interpretabile e commerciabile, la scelta di proporre operazioni legate all’hic et nunc, alla partecipazione diretta, in particolare performativa, poteva sembrare un azzardo temerario ma il tempo ne ha dimostrato la lungimiranza. Quello stesso intuito accese l’interesse per la Poesia Visiva, altro filone di ricerca entrato nella storia dello Studio e della Fondazione Morra, con mostre di Stelio Maria Martini, recentemente scomparso, Julien Blaine, Ugo Carrega, Arrigo Lora Totino, Emilio Villa. In queste vicende trasversali, alcune ramificazioni sono sfuggenti ma i nomi, le parole, gli oggetti rimasti sono tantissimi e la volontà di preservali e divulgarli è ferrea, come provano le numerose iniziative editoriali che, tra cataloghi e testi di critica, supportano storiograficamente l’attività espositiva. (Mario Francesco Simeone)
Opera all’opera, veduta dell’installazione, Napoli 2016. Courtesy Fondazione Morra/Museo Nitsch-Napoli, foto di Amedeo Benestante
Più che un Museo sembra una sala operatoria. Ma per caso si tratta di quel “genio” che ama squartare animali?Chiedo per averne conferma, perché se per qualcuno questo scempio è arte per me è un “crimine”.