23 marzo 2018

Un acquedotto in cantina. A Napoli, il contemporaneo scopre l’archeologia con Underneath the Arches

 

di

Sarà che ormai siamo assuefatti all’idea di vivere completamente circondati dalle testimonianze di una stratificazione storica millenaria e, quindi, non facciamo più caso al fatto che il tragitto che compiamo ogni giorno per andare a fare la spesa deve essere molto simile a quello percorso da un Catone o da un Giulio Cesare. Comunque, ogni tanto, è impossibile non sobbalzare di meraviglia, per esempio quando si scopre un acquedotto risalente al primo decennio d.C., nascosto al di sotto di un edificio, ovviamente anch’esso storico, visto che, nel caso specifico, si tratta del Palazzo Peschici Maresca in via Arena Sanità, a Napoli, di proprietà dell’Arciconfraternita dei Pellegrini. 
Questa possente opera idraulica, che fa parte dell’Acquedotto Augusteo del Serino e, attraversando quasi 100 chilometri, riforniva i centri di Neapolis, Pompei ed Ercolano, tornò alla luce nel 2011, inglobata tra fondamenta di costruzioni successive e cantine. Ed è in questo luogo al di là del tempo che sabato, 24 marzo, prenderà il via Underneath the Arches, progetto di arte contemporanea a cura di Chiara Pirozzi e Alessandra Troncone, sviluppato in collaborazione con l’Associazione VerginiSanità che, dal 2015, gestisce il sito portando avanti diversi programmi di recupero, valorizzazione e fruizione, insieme alla Fondazione Pellegrini, all’Arciconfraternita e alle altre associazioni del territorio. Il contemporaneo e l’archeologia trovano spesso ottime soluzioni, a patto di trovare la giusta chiave di dialogo ed è in questo senso che ha agito Arturo Hernández Alcázar, artista originario di Città del Messico, invitato, per questo primo appuntamento, a entrare in relazione con le suggestioni del luogo. Ce ne parlano meglio le curatrici. 
L’acquedotto Augusteo del Serino rientra nel novero di quei luoghi meravigliosi e nascosti che caratterizzano la topografia di Napoli. Voi come l’avete scoperto? Com’è nata l’idea del progetto? 
«Abbiamo conosciuto questo luogo meraviglioso grazie all’Associazione culturale VerginiSanità che gestisce lo spazio dal 2011, ovvero da quando è stato scoperto. Nell’ambito delle attività di recupero, riqualificazione e valorizzazione del sito archeologico l’Associazione ha avuto la lungimiranza di comprendere quanto tutto questo potesse essere fatto anche attraverso l’arte contemporanea e la sua relazione con l’archeologia. Oramai da più di un anno lavoriamo insieme in questa direzione; come curatrici abbiamo proposto un progetto che portasse gli artisti a lavorare site specific, a contatto con le peculiarità del posto, ma anche con le limitazioni che un luogo del genere impone». 
Il periodo difficile è ormai alle spalle e, adesso, sembra che il Rione Sanità stia vivendo una fase di rinascita. Cosa avete trovato tra le strade di uno dei quartieri più popolosi della città? L’arte contemporanea può esistere – e può essere riconosciuta come valore – anche al di fuori dei musei e degli altri luoghi solitamente deputati alla fruizione? 
«Come napoletane conosciamo bene la bellezza a i paradossi che rendono vivo un quartiere come la Sanità, sono percezioni imprescindibili dalla nostra sensibilità. È un’area incredibile, un concentrato di storia e archeologia: in pochi metri si va dal Palazzo dello Spagnuolo agli Ipogei greci. L’arte contemporanea nel quartiere è arrivata ben prima di noi, con Christian Leperino, Maria Corbi e Massimo Tartaglione che con SMMAVE stanno facendo un lavoro straordinario alla Misericordiella. Riteniamo fondamentale che gli artisti interagiscano direttamente con questa realtà complessa, ma molto dinamica. Per Arturo Hernández Alcázar vivere il luogo, camminarci, far viaggiare parallelamente, e talvolta intersecare, il proprio lavoro con quello di chi è già nel quartiere è stata una condizione necessaria. Noi come curatrici in questo senso non abbiamo dovuto forzare nulla. Naturalmente i processi di avvicinamento e di relazione hanno i loro tempi e speriamo continuino a mostra inaugurata». 
Underneath the Arches è un progetto che prevede una stretta interazione tra l’artista e il luogo e Blind Horizon, mostra di Arturo Hernández Alcázar, è la prima tappa di questo dialogo. Su quali elementi avete lavorato? Cosa vedremo? 
«Il luogo impone una relazione, sta poi all’artista decidere se stabilire con esso una condizione d’intesa, di assecondamento o di rottura. Nello specifico Arturo Hernández Alcázar è da subito rimasto affascinato dalla stratificazione che caratterizza sia il sito archeologico, sia Napoli. Il fatto stesso che l’acquedotto di epoca romana si trovi oggi sotto il cinquecentesco Palazzo Peschici-Maresca è indice di una città che è cresciuta su stessa, in senso geologico, architettonico, antropologico. L’artista ha deciso di lavorare su questo aspetto prendendo due direzioni principali: una sonora e una visiva, integrando ricerche e interessi precedenti in un lavoro realizzato appositamente per l’acquedotto». 
Qualche anticipazione sui prossimi appuntamenti? 
«Siamo già in contatto con altri artisti che vorremmo coinvolgere nel prossimo futuro, provando a differenziare sempre i luoghi d’appartenenza degli artisti invitati e coinvolgendo istituzioni vicine. L’idea è quella di entrare nel flusso storico del sito, che non solo accoglie dei resti romani ma è stato anche rifugio, cantina e discarica, attraverso interventi sempre diversi ma che in qualche modo si leghino l’uno all’altro. Per noi è fondamentale identificare artisti che abbiano la volontà e la capacità di confrontarsi con spazi complessi, quale appunto l’acquedotto. Per il momento non facciamo nomi, in attesa di conferme e aspettando i feedback di questa prima mostra…» (mfs)

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui