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Di regola non si dovrebbe giudicare un libro dalla copertina ma, in certi casi, violare una norma comunemente accettata può fornire degli elementi chiave per una lettura approfondita e tutt’altro che superficiale. Come nel caso della recente pubblicazione “Atlante dell’Arte Contemporanea a Napoli e in Campania 1966-2016”, a cura di Vincenzo Trione, edito da Electa e presentato al Museo Madre. Al volume ha lavorato con un approfondito studio, condotto dal 2013 al 2016, il Dipartimento di ricerca del Museo – primo museo in Italia a dotarsi di un team di ricerca del genere – coordinato dallo stesso Trione e composto dalle ricercatrici Olga Scotto di Vettimo e Alessandra Troncone con la collaborazione di Loredana Troise.
Tornando alla copertina, il primo elemento che si nota è il tessuto grigio, grezzo, che per un attimo fa pensare a uno degli eventi cardine del fermento artistico campano degli anni Sessanta, “Arte povera +Azioni povere” (Amalfi, 1968), oppure, semplicemente, a una metafora delle infinite trame che caratterizzano l’arte in Campania. Difatti, «il dipartimento di ricerca del Museo Madre è stato concepito come luogo in cui il racconto dell’arte a Napoli si compone come una sorta di tessuto che si fa e si disfa ininterrottamente» dichiara Trione, evidenziando il ruolo essenziale della ricerca promossa in seno a un’istituzione pubblica quale il Museo Madre.
In secondo luogo, risulta evidente – e per alcuni versi fastidioso – l’andamento a singhiozzo del titolo. È piuttosto raro che l’intestazione di un volume venga più volte spezzata con parole riportate a capo, eppure anche questo può essere indizio di una precisa intenzione comunicativa da non sottovalutare. La frammentarietà della scritta lascia intendere da un lato l’enormità dell’operazione – tanto incontenibile quanto “fuori dalle righe” – e dall’altra l’impossibilità di una compiutezza della stessa. È significativo, in tal senso, l’affiancamento di una versione in e-book, che sarà aggiornata con i progressi della ricerca condotta dal Dipartimento. Inoltre, l’approccio di tipo inclusivo e di matrice archivistica è riscontrabile sin nella denominazione di “atlante”, strumento che comunemente viene adoperato per ricercare luoghi, approfondire la morfologia naturale dei territori o la loro configurazione politica. Qui, invece, ci si trova di fronte a un vero e proprio spostamento semantico, il cui intento, spiega ancora Trione «è stato quello di ordinare non una storia dell’arte ma un atlante, i cui diversi continenti sono rappresentati da artisti, galleristi e animatori di associazioni culturali e spazi indipendenti, da istituzioni/spazi pubblici e privati e da mostre». (Annapaola Di Maio)
In alto: Daniel Buren, Axer / Desaxer, lavoro in situ, Madre, Napoli 2015, veduta dell’installazione. Courtesy Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, Napoli, Photo © Amedeo Benestante