31 ottobre 2022

In Scena: gli spettacoli e i festival della settimana, dal 31 ottobre al 6 novembre

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Una selezione degli spettacoli e dei festival più interessanti della settimana, dal 31 ottobre al 6 novembre, in scena nei teatri di tutta Italia

“SOUL CHAIN” DI SHARON EYAL

In Scena è la rubrica dedicata agli spettacoli dal vivo in programmazione sui palchi di tutta Italia: ecco la nostra selezione della settimana, dal 31 ottobre al 6 novembre.

Teatro e danza: gli spettacoli in scena

“SOUL CHAIN” DI SHARON EYAL
Creato per il tanzmainz, l’ensemble di danza contemporanea dello Staatstheater Mainz diretto da Honne Dohrmann, “Soul Chain” della coreografa Sharon Eyal, combina danza classica e musica elettronica con l’ensemble che diventa uno sciame pieno di energia in una coreografia estremamente impegnativa (premio teatrale tedesco DER FAUST 2018). Anche se Sharon afferma che “Soul Chain” è una commedia sull’amore e sul desiderio, ispirata da forti emozioni, non ci si deve attendere troppo romanticismo. Piuttosto i movimenti sono animaleschi e puri, un gruppo fumante che si muove con la massima disciplina all’unisono ritmico. Più a lungo dura un unisono, più tempo abbiamo per cercare le differenze come pubblico. Come dice la coreografa stessa, in una stessa cosa si vede quanto siamo diversi. Così qui, nel contrasto tra il gruppo e l’individuo, esprime il suo amore per l’assoluta unicità di ogni singolo individuo.

“SOUL CHAIN” DI SHARON EYAL, Tanzmainz

A Reggio Emilia, Teatro Cavallerizza nell’ambito del Festival Aperto, il 5 e 6 novembre.

SABURO TESHIGAWARA A FERRARA
“Lost in dance” è l’arte della danza nella sua forma più cruda e concentrata. “Non vivo per ballare – afferma il coreografo e ballerino giapponese Saburo Teshigawara, Leone d’Oro alla carriera alla Biennale Danza di Venezia 2022 –. Quando c’è qualcosa che voglio esprimere, se ho una penna sarà poesia, se ho una tela davanti a me sarà un dipinto, e se c’è spazio intorno a me diventerà una danza”. Artista a tutto tondo, nel duetto di “Lost in dance” è coreografo, autore, responsabile della regia, del design delle luci, del collage sonoro ed è performer sul palco. Con lui, protagonista è Rihoko Sato, compagna di Teshigawara da oltre vent’anni. “Lost in dance” è anche un incontro tra la danza e alcune sonate per pianoforte ricche ed emotivamente sature di Beethoven. Dopo il debutto all’Avana, Cuba, nell’estate del 2018, e nella versione integrale a Stoccolma nel settembre 2019, arriva in Italia, in prima nazionale a Ferrara, Teatro Comunale, il 6 novembre.

Lost in dance di Saburo Teshigawara ©Akihito Abe

IL SUONO DEL SILENZIO DI NUNZIO IMPELLIZZERI
Come ci comportiamo in presenza del Suono o del suo contrario, il Silenzio? Il nuovo percorso coreografico di Nunzio Impellizzeri indaga il rapporto tra il Silenzio e la Società contemporanea – sull’impatto che l’uno ha sull’altro. Il silenzio non è solo assenza di suono, ma una realtà molto più complessa che, spesso e volentieri, si definisce proprio in relazione al Rumore, al Suono e all’Ascolto. “SCH.NEE” vuole offrire un’opportunità di riflessione e consapevolezza sul valore del silenzio in una società sempre più accelerata e dai valori deformati. Tutto deve (o sembra) avere un suono o un rumore per essere identificato e conosciuto: le vibrazioni possono rassicurare i nostri sensi o porci in uno stato di agitazione. Ma cosa accade nella mancanza? Rumore, suono, silenzio attraverso la metafora della neve forniscono al coreografo opportunità per compiere un ennesimo viaggio, tra equilibrio e concentrazione, suoi linguaggi imprescindibili, e per mettere in discussione gli aspetti più interiori e inconsueti della nostra contemporaneità.

SCH.NEE coreografia Nunzio Impellizzeri

“SCH.NEE” compagnia Nunzio Impellizzeri Dance Company, coreografia e regia Nunzio Impellizzeri, musiche Tarek Schmidt, costumi Theama For Dance, light designer Viktoras Zemeckas, Nunzio Impellizzeri, danzatori Federica Aventaggiato, Lionel Ah-Sou, Claudio Costantino, Clementine Dumas, Ioar Labat Berrio, Katharina Ludwig. A Padova, Teatro ai Colli per il Festival internazionale La Sfera Danza, il 6 novembre.

LE RELAZIONI DEL ZUGZWANG
Nel gioco degli scacchi lo Zugzwang indica il momento in cui si è obbligati a fare una mossa, nonostante ci si senta impossibilitati a farlo, poiché si sa che, muovendo, qualcosa andrà sicuramente perduto, se non addirittura tutto. E allora cosa muovere, e soprattutto come muovere? Fino a che punto il movimento è uno slancio vitale e quando diventa una fuga o uno stallo? Due individui, fratello e sorella, si ritrovano come pedine all’interno di una scacchiera, un labirinto di figure in cui sono racchiuse tutte le loro possibilità di movimento e di relazione. Ad ogni figura corrisponde un mondo, un enigma da attraversare e decifrare. Tra deviazioni, incastri e impasses i due provano a disinnescare il gioco, piegandone le regole e chiedendosi quanta libertà sia concessa in un ordine prestabilito. La ricerca di Elisabetta Lauro e Gennaro Andrea Lauro, incentrata sull’immagine dello ZugZwang, traspone in altri ambiti della vita in cui la sintassi della scacchiera ci ricorda una certa logica costrittiva che definisce la nostra identità, la nostra presenza nel mondo, il disegno gerarchico di relazioni in cui siamo cresciuti e quindi le nostre presunte possibilità.

ZugZwang

Zugzwang (2022) – in progress”, di e con Elisabetta Lauro e Gennaro Andrea Lauro, musica Amedeo Monda, luci Tea Primiterra. Produzione Sosta Palmizi, Compagnie Meta (Francia), Cuenca/Lauro (Germania) realizzato con il contributo di ResiDance XL. A Genova, Teatro Akropolis, Festival Testimonianze ricerca azioni, il 2 novembre.

VIDEO-APPUNTI COREOGRAFICI SUL DON GIOVANNI
Con questo lavoro su “Don Giovanni” mozartiano, di cui l’appuntamento a PARC (a Firenze il 6 novembre), promosso da Toscana Produzione Musica nell’ambito della rassegna Mixité, costituisce un primo studio in forma di concerto audio/video, “Ingrate”  ha come scopo una destrutturazione ed espansione dei repertori e delle forme classiche, tentando di “disturbarle” e ricomprenderle in un’ottica molteplice e contemporanea, dove i linguaggi artistici si combinano in nuove interpretazioni e nuove forme ibride, ricomposte. I video-appunti coreografici di Letizia Renzini, Marina Giovannini e Lucrezia Palandri costituiscono un materiale grezzo che guida (non senza ironia e con solida visione intimamente femminista) il processo di ricomprensione di questo repertorio. Il materiale mozartiano usato (e ricomposto live) proviene da registrazioni storiche dell’Opera e viene in parte letteralmente sintetizzato in un processo di astrazione e simbolizzazione realizzato in collaborazione con Lorenzo Brusci.

IL CALDERON DI PASOLINI
Con questo spettacolo tratto dall’omonimo testo di Pier Paolo Pasolini, e che debutta proprio nella ricorrenza della sua tragica scomparsa, il regista premio Ubu Fabio Condemi, torna a incontrare lo scrittore dopo “Bestia da Stile” e “Questo è il tempo in cui attendo la grazia”. Scritto nel 1967 e pubblicato nel 1973, “Calderón è un dramma in versi ispirato a “La vita è sogno” di Pedro Calderón de la Barca. Ma l’atmosfera, la trama, il contesto sono radicalmente diversi: siamo nella Spagna franchista degli anni ’60, tra tumulti rivoluzionari e logiche di potere che non sembrano lasciare altro spazio di libertà che nel sogno. Un testo labirintico e complesso, in cui coesistono molteplici piani e stratificazioni narrative, tradotti in scena da Condemi, facendo confluire nello spettacolo numerosi riferimenti: il teatro di Brecht nella rilettura di Roland Barthes, la pittura di Diego Velàzquez, le idee sulla rappresentazione e sul rapporto tra teatro e spettatori, la polemica contro «i competenti della nuova epoca che sta cominciando, […] che sono così informati sul presente e sulle possibilità del futuro, che ritengono decrepite le esperienze fatte lo scorso anno!». Un lavoro intenso, in cui gli spettatori sono chiamati a interrogarsi su cosa significa essere nella storia, con i nostri corpi, le nostre opere, i nostri sogni.

Calderón” di Pier Paolo Pasolini, regia, ideazione scene e costumi Fabio Condemi, con Valentina Banci, Matilde Bernardi, Marco Cavalcoli, Michele Di Mauro, Carolina Ellero, Nico Guerzoni, Omar Madé, Caterina Meschini, Elena Rivoltini, Giulia Salvarani, Emanuele Valenti, scene, drammaturgia dell’immagine Fabio Cherstich, costumi Gianluca Sbicca, luci Marco Giusti, disegno del suono Alberto Tranchida. Produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura in collaborazione con Associazione Santacristina Centro Teatrale nell’ambito del progetto “Come devi immaginarmi” dedicato a Pier Paolo Pasolini. A Bologna, Arena del Sole, dal 2 al 6 novembre; il 22 e 23 al LAC di Lugano.

ER CORVACCIO DI LINO GUANCIALE
Il Corvaccio è il custode di un cimitero immaginario che, rivolgendosi direttamente ai lettori/spettatori, li invita a compiere con lui un viaggio tra le tombe e le storie delle persone che vi sono seppellite. Dal robivecchi alla portiera, dall’avvocato alla barbona, inoltrandoci lungo i settori del camposanto ascoltiamo le vite – non sempre esemplari – di personaggi malinconici e cinici, comici e sboccati, che salutano la vita perduta con irriverenza e vanno a comporre una geografia di ricordi e di modi da cui emergono le tante facce di Roma. Quello che ne esce è «un amaro e soave Spoon River de’ noantri – come lo ha definito la poetessa Maria Grazia Calandrone – dove gustiamo a ogni parola la malinconica ironia che sappiamo iniettata in forma e sostanza del dialetto romano». Lino Guanciale e Lisa Natoli, con la complicità di due musicisti come Gabriele Coen e Stefano Saletti, inventano un percorso nel libro di Graziano Graziani, che ha tentato di incorniciare nella metrica del sonetto la vivacità irrefrenabile delle voci di Roma.

Er corvaccio de noiantri, Guanciale, Natoli, Grazian

“Er corvaccio e li morti”, una “spoon river” romanesca dai sonetti di Graziano Graziani, con Lino Guanciale. Progetto a cura di Lisa Ferlazzo Natoli / lacasadargilla. A Roma, Teatro Vascello, il 31 ottobre.

UN OTELLO AL FEMMINILE
“Il testo di “Otello, con le sue domande abissali sull’ambiguità della natura e delle relazioni umane – afferma il regista Andrea Baracco -, mi accompagna da molti anni. Esiste, poi, nel testo, un altro tema per me cruciale: la riflessione sulla profonda affinità tra ciò che è teatro e ciò che è vita. …Confrontarsi con “Otello” nel contemporaneo significa anche scegliere se fondare la propria riflessione sugli aspetti sociali e di dibattito pubblico che il testo genera nei nostri tempi, o affrontarlo cercandone i principi poetici più profondi, le domande più universali. Per l’amore che ho per questo testo, sento la responsabilità di restituirlo al pubblico come squarcio sull’umano e sulle sue contraddizioni. Da queste considerazioni, ho immaginato a fondazione del progetto un principio di ribaltamento del canone shakespeariano: un cast esclusivamente femminile. Non si tratta di una scelta estetica. Ma poetica: è un inganno, per liberare lo sguardo del pubblico dai pregiudizi sulla storia e i suoi temi e lasciarsi attraversare dalla terribile consapevolezza che chiunque di noi può, un giorno, trovarsi a giocare il ruolo della vittima o del carnefice, se volontà, fragilità e caso si trovano allineati come astri di una costellazione”.

OTELLO, ph. Gianluca Pantaleo

“Otello”, da William Shakespeare, traduzione e drammaturgia Letizia Russo, regia Andrea Baracco, con Valentina Acca, Verdiana Costanzo, Francesca Farcomeni, Federica Fracassi, Federica Fresco, Ilaria Genatiempo, Viola Marietti, Cristiana Tramparulo , scene Marta Crisolini Malatesta, costumi Graziella Pepe, luci Simone De Angelis, musiche Giacomo Vezzani. Produzione Teatro Stabile dell’Umbria con il contributo speciale Fondazione Brunello e Federica Cucinelli. A Fano, Teatro della Fortuna, dal 4 al 6 novembre. Quindi a Città di Castello, Gubbio, Bologna (Teatro Duse dall’11 al 13 novembre), e in tournée.

ROMEO CASTELLUCCI ALLA TRIENNALE
Dal 5 al 20 novembre Romeo Castellucci presenta in prima assoluta “EL”, installazione meccanica – concepita in occasione della 23ª Esposizione Internazionale Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries – che invade il palco del teatro di Triennale di Milano occupando completamente lo spazio visivo delimitato dall’arco scenico. Si tratta del secondo intervento inedito che Castellucci – Grand Invité di Triennale Milano per il quadriennio 2021-2024 – è stato invitato a creare per l’Esposizione Internazionale, confrontandosi con il tema dell’ignoto e interrogandosi su “quello che non sappiamo di non sapere”. “EL” è un dispositivo che attraverso un moto reiterato e instancabile produce un’alternanza continua di luce e buio, rumore e silenzio, presenza e assenza. Una dimensione atmosferica i cui elementi essenziali si rivelano al pubblico come generatori di emblemi, immagini e sensazioni non preordinabili. L’elemento meccanico dell’installazione – interamente prodotta da Triennale – viene affiancato e completato da un secondo significante: la musica. Un rapporto paritetico, che trasforma in una figura a sé stante l’opera sonora di Scott Gibbons, confermando ancora una volta la collaborazione pluridecennale del sound artist e compositore statunitense con l’artista cesenate.

Romeo Castellucci, ritratto © Eva Castellucci

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE
La famosa commedia di Shakespeare firmata da Andrea Chiodi, vede in scena un cast di quattordici attori, molti dei quali alla loro prima prova importante dopo il diploma presso la Scuola del Piccolo Teatro di Milano. Un progetto che segue la strada suggerita dall’autore di tornare, attraverso il mezzo del gioco, in contatto con l’irrazionale, con il bambino che ognuno ha dentro di sé. «…un gioco che diventa però molto serio – spiega il regista –perché capace di indagare sulla natura dell’uomo e di descrivere gli stadi di evoluzione di una vita umana, e Shakespeare lo fa, nel Sogno, facendoci fare un percorso nei vari stadi della vita: l’infanzia nel prologo, l’adolescenza nel bosco incantato e complesso, e la maturità nel finale. Realtà e fantasia, Atene e la foresta incantata, Teseo e Oberon, tutto nell’opera ci racconta di razionalità e magia, di pensiero e rituale, sempre su un doppio binario».

Sogno di una notte di mezza estate, regia Andrea Chiodi

Sogno di una notte di mezza estate”, di William Shakespeare, traduzione e adattamento Angela Dematté, regia Andrea Chiodi, con (in ordine alfabetico) Giuseppe Aceto, Alfonso De Vreese, Giulia Heathfield Di Renzi, Caterina Filograno, Igor Horvat, Jonathan Lazzini, Sebastian Luque Herrera, Alberto Marcello, Marco Mavaracchio, Cristiano Moioli, Alberto Pirazzini, Emilia Tiburzi, Anahì Traversi, Beatrice Verzotti, scene Guido Buganza, costumi Ilaria Ariemme, musiche Zeno Gabaglio, disegno luci Pierfranco Sofia. Produzione LAC Lugano Arte e Cultura | in coproduzione con CTB – Centro Teatrale Bresciano / Centro D’arte Contemporanea Teatro Carcano / Fondazione Atlantide – Teatro Stabile di Verona. A Palermo, Teatro Biondo, dall’1 al 6 novembre; a Brescia, Teatro Sociale, dall’8 al 13.

“AU BORD” DI CLAUDINE GALEA
Premiato con il Grand Prix de littérature dramatique, “Au Bord” dell’acclamata drammaturga francese Claudine Galea è stato tradotto e rappresentato in molti paesi europei, e ora anche in Italia. Galea si concentra su una foto: una donna porta un’uniforme e tiene stretto un uomo al guinzaglio. Scattata nella prigione di Abu Ghraib ed apparsa sul Washington Post il 21 maggio del 2004, l’immagine, terribile documento, porta con sé l’impronunciabilità, l’inafferrabilità, l’orrore dell’atto di violenza. La sua irrappresentabilità. Ma è sulla donna che si concentra l’attenzione dell’autrice. A partire dall’inconfessabile attrazione per questa figura femminile, per la sua oscenità, si incatenano nella testa e nel corpo di chi parla diverse figure femminili. Un libero quanto pericoloso scivolare dalla figura della soldatessa, a quella dell’amante da cui la stessa Galea è stata abbandonata fino alla madre, figura torturatrice. Al di là del suo statuto, la foto diventa un palinsesto dell’inesprimibile, un oggetto drammaturgico evirato dal suo senso strettamente documentale e politico. Un atto di sovversione, forse, che nutre la primaria e sconvolgente esperienza che il testo propone.

AU BORD, ph. Trimboli

“Au bord” di Claudine Galea, traduzione di Valentina Fago, regia di Valentino Villa, con Monica Piseddu. Produzione Romaeuropa Festival e 369gradi, in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura, Triennale Milano, con il sostegno di Toscana Terra Accogliente, Olinda. A Firenze, teatro Cantiere Florida, il 4 novembre.

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