24 giugno 2022

Voci del nostro tempo, sulla scena di Santarcangelo Festival 52

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Il direttore artistico Tomasz Kireńczuk ci racconta la 52ma edizione del Santarcangelo Festival: tra fragilità e riflessioni, in scena il racconto polifonico e performativo della contemporaneità

Santarcangelo Festival è da oltre 50 anni l’appuntamento imperdibile nell’estate italiana per tutte e tutti gli amanti dell’avanguardia teatrale e performativa. Abbiamo intervistato il neo direttore artistico Tomasz Kireńczuk che con il claim “Can you feel your own voice” inaugura la sua prima edizione di festival.

Cosa vuol dire prendere in mano la direzione artistica di un festival con oltre 50 anni di storia?

«È una grande responsabilità da diversi punti di vista, una responsabilità per ciò che il festival rappresenta, anche a livello internazionale, e una responsabilità per la sua funzione di supporto verso le artiste e gli artisti, soprattutto quelle e quelli emergenti che da sempre possono trovare in Santarcangelo Festival una casa.

Una delle cose che mi piace di più di questo festival è la sua voglia di cambiare: una manifestazione che cambia la propria direzione artistica ogni tre anni dà la sensazione di una realtà molto aperta che ricerca e guarda le nuove prospettive a partire dalle esperienze che ogni direzione porta con sé».

Quando hai visto che eri stato scelto tu per il nuovo triennio cos’hai pensato?

«Ero molto felice ma molto spaventato perché questa eredità ha il suo peso. Avevo un mio progetto, ma poi, quando mi sono trasferito qui lo scorso agosto, le pratiche e nelle dinamiche di lavoro in cui mi sono immerso mi hanno fatto cambiare molte cose, con nuove prospettive e nuove consapevolezze. C’è tanta libertà per pensare e immaginare e un festival non si può fare stando seduti alla scrivania…».

Com’è vivere a Santarcangelo? 

«Mi ci trovo bene, è molto accogliente. Mi sono subito sentito a casa in posti come Zaghini o Del Passatore. Abitare in una piccola cittadina aiuta a concentrarsi sul lavoro. Poi viaggio tantissimo per cercare spettacoli, ma comunque continuo incessantemente a riflettere sul festival. Tranne le passeggiate con mio figlio Bruno e il mio cane Zola, la mia vita ruota attorno al festival».

Venendo al tema di questa edizione, “Can you feel your own voice”, cosa vuol dire e cosa ci dobbiamo aspettare da questa edizione?

«Partendo dal mio percorso curatoriale, questo claim racchiude sia una grande fragilità, perché non spiega e non dà una interpretazione del programma, sia l’invito a una esperienza autoriflessiva su chi siamo, cosa pensiamo e quali sono i nostri valori nella società. A me piace pensare il festival come se fosse un grande racconto in cui gli spettacoli, provenienti da diversi Paesi, da diversi contesti culturali, da tradizioni estetiche e drammaturgiche diverse, in un certo momento si incontrano qui a Santarcangelo e si crea un racconto polifonico da cui possiamo vedere la nostra realtà, composta appunto da tante voci. Il claim vuole esprimere questa voglia di metterci in ascolto con le altre e gli altri».

Luglio è il mese dei festival. Perché continuare a venire a Santarcangelo?

«Penso che la forza del festival sia l’atmosfera che si crea a Santarcangelo, che è una realtà piccola in cui in quei dieci giorni si può vivere un’immersione totale con le artiste e gli artisti, con le spettatrici e gli spettatori, con le professioniste e i professionisti e con l’arte. Da spettatore di questo festival ricordo bene la bellezza di questa condivisione continua, di questa necessità di ascolto e partecipazione in un confronto con tematiche, prospettive, letture e mondi lontani dalla mia realtà. Si viene a Santarcangelo per l’esperienza unica che questo festival sa offrire».

Dopo due anni di pandemia, qual è il rapporto del festival con la città? Quali sono le novità di quest’anno?

«Prima di tutto abbiamo voluto riportare gli elementi simbolici di Santarcangelo Festival degli anni prepandemici, quindi torna Imbosco con il suo tendone da circo nel parco Banden Powell dove ogni sera ci sarà un djset aperto a tutta la cittadinanza. Poi torna il Centro Festival in piazza Ganganelli, il posto dove poter mangiare insieme.

Sempre in piazza tra le novità di quest’anno ci sarà una grandissima tavola rotonda con un diametro di 12 metri pensata sia per accogliere diverse attività come la lettura collettiva contro qualunque forma di oppressione sociale del collettivo Siamo ovunque o l’arte del coreografo polacco Pawel Sakowicz. Ma speriamo che possa diventare un luogo di incontro e di scambio, un oggetto urbano che invita a stare insieme, che crea questo vortice per incontrare chi conosciamo e chi non abbiamo mai visto prima.

Per me ha una simbologia importante perché è proprio attorno a una tavola rotonda che nell’Ottantanove nel mio paese si sedettero i rappresentati del regime e dell’opposizione per rendere la Polonia una democrazia.

Per quanto riguarda invece la connessione con la comunità santarcangiolese, ci sono due progetti artistici molto importanti: il primo è il progetto installativo Death and Birth in My Life dell’artista svizzero Mats Staub, ripensato per il festival in una nuova versione fruita direttamente nelle case degli abitanti di Santarcangelo.

Poi l’artista polacca Anna Karasinska sta invece lavorando a un progetto sui migranti che vivono tra Santarcangelo e Rimini, una performance site-specific che si svolgerà nell’enorme cementificio dismesso Buzzi-Unicem, alle porte della città. Fin da quando ho visto per la prima volta questo spazio ho voluto abitarlo con il festival. Questo lavoro sarà il primo passo per conoscere questo luogo e poi speriamo di continuare anche i prossimi anni».

Cosa consigli come direttore a uno spettatore che vuole venire al festival?

«Quest’anno ci saranno tante artiste e artisti per la prima volta in Italia e il primo weekend darà fin da subito la prospettiva femminista di questa edizione, come il progetto Ensaio Para Uma Cartografia della coreografa portoghese Mónica Calle che con dodici danzatrici rappresenta la forza dello stare insieme. O ancora l’artista polacco-olandese Maria Magdalena Kozlowska che con lo spettacolo Commune porta in scena la voce come uno strumento politico, ispirato allo sciopero delle donne in Polonia, alle azioni delle Pussy Riot e all’idro-femminismo.

Il programma che proponiamo è molto ampio, è adatto a tutte e tutti, ma dipende cosa cerchiamo. La nostra esperienza parte da un ascolto intimo e individuale per capire cosa ci serve, quale necessità sentiamo, poi dopo andiamo sul sito di Santarcangelo e lì troviamo tutte le risposte!».

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