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Biennale Venezia 2026: Fiona Pardington e l’identità della Nuova Zelanda
Arte contemporanea
di redazione
Dopo il trionfo del Mataaho Collective alla Biennale di Venezia 2024, con la vittoria del Leone d’Oro per l’opera Takapau, la Nuova Zelanda si prepara a tornare sulla scena internazionale dell’arte con Fiona Pardington. Portavoce di un’arte profondamente radicata nella cultura Māori ma capace di parlare al mondo intero, sarà lei a rappresentare il Paese insulare. Nella sua ricerca, la fotografia si fa archivio della memoria, sguardo antropologico e celebrazione della fragilità del mondo naturale.
Istituito nel 2001, il Padiglione della Nuova Zelanda ha ospitato artisti di rilievo come Simon Denny nel 2015 e Lisa Reihana nel 2017, quest’ultima con un’opera ispirata alla cultura Māori. Per il 2024, Creative New Zealand, ente che sovrintende alla partecipazione del Paese alla Biennale, scelse di rinunciare alla partecipazione nazionale per carenza di fondi e l’opera di Mataaho Collective fu esposta nel percorso all’Arsenale. Per il 2026, Creative New Zealand e Arts Council of New Zealand hanno stretto una partnership con la Christchurch Art Gallery, che garantirà la sostenibilità del progetto.
Nata a Auckland, nel 1961, con radici che affondano nelle comunità Kāi Tahu, Kāti Mamoe, Ngāti Kahungunu e nel Clan scozzese Cameron, Pardington lavora da oltre quattro decenni, in particolare, sull’eredità della cultura māori, esplorando i taonga (tesori) conservati nei musei. «Tutto ciò che faccio è Tahu», ha dichiarato in un’intervista, evocando il legame profondo con la propria genealogia e tradizione.
La sua formazione all’Elam School of Fine Arts l’ha portata a confrontarsi con il linguaggio fotografico: se da un lato si nutre della grande tradizione europea e americana – Brassaï, in primis, con il suo occhio notturno e lirico -, dall’altro costruisce un lessico personale, quasi mistico, che sfida la bidimensionalità della fotografia e la avvicina all’oggetto rituale. A rendere unico il suo sguardo è la capacità di evocare presenze attraverso gli oggetti: piume, ossa, reliquie animali e manufatti museali diventano soggetti di un racconto che intreccia storie di perdita, conservazione e riscatto.

Vivere a stretto contatto con la natura, nella sua proprietà di 20 ettari a Waimate, ha reso il suo rapporto con il paesaggio ancora più intimo. Circondata da un concerto quotidiano di miromiro, kākā, korimako e riroriro, Pardington si lascia guidare dai ritmi del mondo vivente, integrandoli nel proprio processo creativo. «Osservare gli uccelli e ascoltare il mare mi tiene con i piedi per terra», raccontava in una intervista.
L’annuncio della sua partecipazione alla Biennale d’Arte di Venezia del 2026 è stato accolto con entusiasmo nello Stato Aotearoa e anche se i dettagli non sono stati ancora rivelati, Pardington lascia intendere che il suo progetto sarà coerente con la sua pratica. «So come portare qualcosa che parli di noi, di Aotearoa», ha dichiarato.

Nella sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui la borsa di studio Moët & Chandon (1990) e il Visa Gold Art Award (1991 e 1997). Ha lavorato come artista in residenza in varie istituzioni, tra cui l’Università di Otago (1996-97), l’Auckland Unitec Institute of Technology (2001) e l’Otago Polytechnic (2006).
Nel 2010 ha fotografato calchi ottocenteschi di teste Māori ed europee per un progetto con il Musée du Quai Branly di Parigi, esposto alla 17ma Biennale di Sydney e pubblicato in The Pressure of Sunlight Falling. Tra il 2015 e il 2016, la City Gallery Wellington e l’Auckland Art Gallery le hanno dedicato una grande retrospettiva, A Beautiful Hesitation. Detiene il record d’asta per la fotografia neozelandese con Quai Branly Suite of Nine Hei Tiki, venduta nel 2010 per circa 35mila euro.