06 giugno 2020

CAMERA Torino: chiudere senza chiudersi

di

Intervista a Walter Guadagnini, direttore di Camera Torino che ci racconta della riapertura e della necessità di vedere una fotografia originale nonostante il prestarsi assoluto del medium a una vita virtuale

Luigi Ghirri, Alpe di Siusi, 1979 © Eredi Luigi Ghirri
Luigi Ghirri, Alpe di Siusi, 1979 © Eredi Luigi Ghirri

Camera Centro Italiano per la Fotografia è situato nella centrale quanto storica via delle Rosine, a Torino. Durante il lockdown, un annuncio era leggibile sul portone ligneo d’ingresso: “CAMERA è chiuso come luogo fisico, ma lo spazio virtuale di racconto e condivisione resta sempre aperto attraverso video, immagini, storie, curiosità pubblicate sui nostri canali social. Un modo per tenerci in contatto grazie alla tecnologia. Il nostro impegno per accompagnarvi con la forza della fotografia in questi giorni difficili. A presto dal vivo, e sin da ora, in virtuale sui nostri canali social.” Il 18 maggio il cartello è stato rimosso perché Camera ha riaperto al pubblico, in anticipo su molti altri luoghi della cultura.

Mario De Biasi, Gli italiani si voltano. Moira Orfei, 1954, dalla mostra Memoria e Passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero
Mario De Biasi, Gli italiani si voltano. Moira Orfei, 1954, dalla mostra Memoria e Passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero

Walter Guadagnini, esperto di storia della fotografia e insegnate universitario, è direttore di questo centro culturale privato, attivo dal 2015. Nell’intervista che segue, ci racconta come ha condotto e articolato la strategia digitale di Camera (coordinata da Giulia Gaiato e Cristina Campanella), e come ha lavorato in maniera binaria per garantire una programmazione digitale di qualità e una rapida riapertura al pubblico, sin dal 18 maggio, nel rispetto delle normative. Con uno sguardo alle potenzialità (ma anche ai limiti) del virtuale nel rapporto tra il pubblico e l’opera.”

Walter Guadagini in una foto di Andrea Guermani
Walter Guadagini in una foto di Andrea Guermani

L’intervista a Walter Guadagnini

In una sua intervista al Corriere Torino del 19 maggio scorso lei afferma (relativamente alla “migrazione” di alcune attività nella sfera del virtuale): “stiamo facendo in fretta quello che avremmo fatto con più calma” e delinea i risvolti positivi, magari inizialmente inaspettati, del digitale. Ha modo di ritenere che la programmazione on line sopravviverà alla crisi del Covid? Immagina di mantenere per Camera una programmazione digitale parallela a quella “sul posto”? Se sì, con quali vantaggi o eventuali svantaggi possibili, sia per il pubblico che per l’istituzione?
«Credo non ci possano essere dubbi al proposito, la programmazione di una serie di attività sul web non solo continuerà, ma sarà, nei limiti del possibile, rafforzata. Il tema evidentemente non è “se” continuare, ma “come” continuare. Ci sono aspetti del web che funzionano in mancanza di una possibilità di fruizione diretta, e quelli possono anche essere posti in secondo piano al momento del ritorno alla normalità; ve ne sono altri che rappresentano per l’appunto un arricchimento dell’offerta, da ogni punto di vista, e quelli invece vanno esaltati. Diciamo anche che finora abbiamo sfruttato il fatto di essere partiti da una posizione abbastanza debole, quindi il risultato degli sforzi è stato subito visibile; confermarsi è sempre più difficile».

Sono molto incuriosita dall’esperienza di Camera, in particolare per via della correlazione tra esperienza digitale intensa, strutturata e precoce e altrettanto precoce ritorno all’apertura, rispetto ad altre strutture del territorio sia locale che nazionale. Cosa può dirci a riguardo?
«Che non siamo capaci di star fermi… A parte le battute, credo che la paradossale correlazione che lei giustamente nota sia in parte spiegabile con la natura stessa della fotografia. Vale a dire, noi abbiamo a che fare con uno strumento, con un linguaggio, che al 90% oggi circola virtualmente, tra smartphone e computer, la fotografia che tutti facciamo e tutti usiamo è sostanzialmente smaterializzata, come ci insegnano la pratica quotidiana e tanti studi e riflessioni emersi negli ultimi due decenni. Al tempo stesso però questa smaterializzazione ha portato a un aumento dell’attenzione nei confronti del linguaggio fotografico e a un desiderio diffuso di vedere gli “originali”, gli oggetti fisici, quel rettangolino (o rettangolone) di carta stampato magari cent’anni fa. Quindi, agire su entrambi gli aspetti è in qualche modo assolutamente naturale, per niente contradditorio. E peraltro proveremo a dimostrarlo praticamente quest’autunno, in occasione del quinto compleanno di CAMERA: abbiamo in mente una sorpresa per Torino…».

William Klein, Koffee machine and attendants, 1956, dalla mostra Memoria e Passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero
William Klein, Koffee machine and attendants, 1956, dalla mostra Memoria e Passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero

La nuova organizzazione incide molto sul budget generale? Se la domanda non è indiscreta, può dirci se gli sponsor di Camera hanno dovuto (o dovranno) contribuire copiosamente al fine di permettere gli aggiustamenti necessari? Avete mai pensato ad una strategia digitale “a pagamento”, anche per sopperire alle perdite legate alla mancata frequentazione della mostra da parte dei visitatori?
«A oggi, la risposta a tutte queste domande è no. Però domani probabilmente diventerà sì. Vale a dire, rendere stabile una permanenza sul digitale ha dei costi, e anche notevoli; e siccome tutti sappiamo che essere presenti in maniera sbagliata è peggio che essere assenti, bisogna prevedere degli investimenti. Non a caso abbiamo appena elaborato un articolato piano triennale dedicato proprio a questo specifico aspetto dell’attività di CAMERA, sviscerato in tutte le sue possibili varianti, dall’accoglienza alla didattica, dalla ricerca alla diffusione, adesso dobbiamo cercare di renderlo fattibile. E una delle vie per raggiungere questo risultato è anche quello di fornire contenuti a pagamento, senza dubbio. In questa situazione abbiamo considerato la nostra attività come un servizio per la comunità, in un futuro di normalità alcuni particolari servizi – se saremo in grado di offrirli con la dovuta qualità – potranno anche essere remunerativi».

Franco Fontana, Basilicata, 1975, dalla mostra Memoria e Passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero
Franco Fontana, Basilicata, 1975, dalla mostra Memoria e Passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero

Ancora in tema di visitatori: in una visione distopica e assolutamente non auspicabile di una nuova chiusura fisica delle strutture culturali, in quanto direttore di una struttura culturale di recente creazione ma sensibile e bene avviata, quali strategie pensa che si potrebbero mettere in campo in favore di visitatori più anziani, più svantaggiati, meno “digitalmente alfabetizzati” o in situazione di handicap, qualora ce ne fosse bisogno?
«Me lo domanda proprio oggi che finalmente, per la prima volta, ho ripreso il treno senza passare controlli di polizia? Nonostante la sua crudeltà, le dirò è quello per cui ci stiamo per l’appunto attrezzando, anche se sono convinto che alcuni aspetti siano davvero insostituibili e alcune situazioni difficilmente risolvibili. In fondo, il suo riferimento a chi è meno digitalmente alfabetizzato riporta il museo (o lo spazio espositivo nel nostro caso) anche a quella funzione educativa che ne è all’origine storica, e che ultimamente sembrava essere stata totalmente soppiantata da quella dell’intrattenimento, della pura spettacolarizzazione dell’evento artistico. E mette di nuovo in questione il rapporto tra il museo e la scuola, alle prese peraltro con problematiche ancora più complesse: insomma, le sfide in questo periodo sono continue, l’importante è cercare di affrontarle con lucidità, tenendo sempre presente che comunque ci vuole tempo, e che la soluzione delle questioni non avviene con un click…».

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