05 dicembre 2022

Focus curatori in 22 domande: intervista a Roberto Lacarbonara

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22 domande per curatrici e curatori, spesso outsider, per raccontare tutte le declinazioni più attuali di un ruolo di responsabilità: la parola a Roberto Lacarbonara, “curatore filologo”

Nico Vascellari, Carrefour, 05.04.2021 (details), Roma, 2021, Courtesy Studio Vascellari, Roma, ph. Daniele Molajoli Photography

Prosegue il nostro “FOCUS curatori”, 22 domande (le stesse per tutti) destinate a curatori e curatrici spesso “outsider”, per raccontare attraverso declinazioni personali, caratteristiche, metodologie e modalità proprie della professione curatoriale odierna. Un mestiere relativamente nuovo che, nel corso di qualche decennio, ha cambiato radicalmente forma. Una pratica dinamica, basata su studio, fonti d’ispirazione e conoscenze interdisciplinari. Un ruolo di “cura” e responsabilità nei confronti degli artisti e delle loro ricerche, del pubblico, di attenzione ai cambiamenti nella società, nel dibattito sociale, politico e culturale del momento. La quarta puntata della nostra rubrica ha per protagonista Roberto Lacarbonara.

Roberto Lacarbonara

Come ti definiresti?

«Critico d’arte, docente universitario e giornalista».

Dove sei nato e dove vivi?

«Sono nato e vivo in Puglia, tra Bari e Lecce».

Dove vorresti essere nato e dove vorresti vivere?

«Vorrei rinascere lontano dall’Italia, stavolta è andata così ed è andata bene».

Quando hai capito che ti interessava l’arte?

«Quando ho scelto di non iscrivermi più a medicina nonostante l’ammissione. Volevo che l’arte fosse un interesse secondario ma lentamente si è imposta, prima con il teatro e poi con la scrittura».

David Batchelor

Quando hai deciso che avresti fatto il curatore?

«In realtà non l’ho mai deciso, ho iniziato a farlo dopo l’università e non ho ancora smesso».

Quali sono i libri che ti accompagnano nel tuo percorso professionale da curatore?

«Per lo più saggistica di ambito filosofico ed estetico, da Foucault a Derrida, da Badiou a Zizek, da Lacan ad Agamben, Vattimo e Bodei».

Quali sono le fonti, gli autori e le opere extra-arti visive, di cui ti nutri nello svolgimento della tua attività scientifica?

«Saggistica, fotografia e cinema del paesaggio e dell’architettura. So che è molto generico, ma credo che l’attrezzatura principale della mia ricerca sia di ambito architettonico e sia alimentata da una cultura visiva aderente al racconto della forma e della struttura».

Slovanská dívka se svým otcem, La ragazza slava con il padre, 1998

Qual è la mostra che ti ha segnato e perché?

«Delle mostre che ho visto, sicuramente Marc Rothko al Palazzo delle Esposizioni di Roma e Rembrandt alla National Gallery di Londra, entrambe nel 2014. È stato un anno decisivo per alcune scelte professionali e queste due mostre hanno mosso qualcosa».

Qual è l’opera d’arte che ti ha avviato nei sentieri della professione nelle arti visive?

«Probabilmente qualche lavoro di Morandi. Anzi no, Dorazio. E naturalmente Pascali. Non saprei rispondere insomma».

Pino Pascali. From image to shape, Palazzo Cavanis, Venezia, 2019Image to Shape”

Quali artisti contemporanei che hai personalmente conosciuto sono stati importanti nell’avviamento della tua professione? E perché?

«Qui so rispondere: David Batchelor. È stato uno dei miei primissimi studio visit londinesi, un vero azzardo, non sapevo nulla e parlavo malissimo l’inglese. Mi regalò un suo libro tradotto in venti lingue, ovviamente l’edizione italiana: Cromofobia. Quel gesto, quel libro e quello studio, quella carriera artistica e accademica così perfettamente calibrate, coerenti e integrate, furono illuminanti. Credo fosse il 2007 o 2008».

Quali sono stati i tuoi maestri diretti e/o indiretti nella curatela?

«Indiretti, Harald Szeemann e Germano Celant. Diretti, il mio professore, Alberto Abruzzese, che non è un curatore ma ha tolto ogni steccato, categoria, confine della modernità che ancora fosse presente nella formazione accademica e nel lavoro culturale».

Pino Pascali. From image to shape, Palazzo Cavanis, Venezia, 2019

Con quale progetto hai iniziato a definirti curatore?

«Direi con una mostra del 2009, piuttosto lontana da quello che è il mio lavoro oggi, ma all’epoca fu sorprendente anche per me. Era una doppia personale con i lavori di Jan Saudek e Riccardo Mannelli, al Castello Carlo V di Monopoli e all’Istituto di Cultura Ceco di Roma. Curammo la mostra con Luca Arnaudo e per me fu una sorta di battesimo».

Qual è la tua definizione di curatore?

«Un analista delle immagini, di chi le produce e di chi le fruisce. È in fondo un lavoro dalle numerose implicazioni psichiche, individuale e collettive».

Nucré, Rassegna di Arte contemporanea, Ceglie Messapica (BR), 2022, ph. Marino Colucci

Qual è la tua giornata tipo?

«Lavoro continuamente, non so davvero quando finisce il lavoro e inizia qualcos’altro. Cerco di dare priorità all’attività accademica, alle lezioni e alle tesi. Ogni giorno parto da questi impegni e subito dopo lavoro alle mostre in programma. Quando non sono così preso, porto avanti qualche pubblicazione: è davvero l’aspetto che mi appassiona di più».

Hai dei riti particolari quando lavori?

«Mangiare nocciole a metà mattinata. Quando allestisco vorrei non avere mai nessuno intorno e spesso ci riesco».

C’è uno spazio per l’imprevisto nel tuo lavoro?

«L’imprevisto generalmente compare in fase di allestimento e spesso riguarda opere con un contenuto tecnologico appena al di sopra della presa elettrica».

Nico Vascellari, ph. Alan Chies

Qual è il progetto, la mostra che hai curato che trovi più rappresentativa del tuo percorso scientifico?

«La mostra “Pino Pascali. From image to shape”, evento collaterale della 58° Biennale di Venezia del 2019. È stata una mostra importante, si celebrava il cinquantennale della scomparsa di Pascali. Ma soprattutto è stata ideata e realizzata esattamente come intendo io una mostra, con un forte apparato teoretico e un deciso impianto progettuale, formalista, filologico».

A tuo avviso, qual è lo stato della critica d’arte in Italia?

«Claudicante. Si scrive pochissima saggistica (e ci si odia quasi tutti). No dai, sono stato imprudente. Apprezzo davvero molto la scrittura e la ricerca di alcuni “giovani” critici e curatori italiani come Riccardo Venturi, Pier Paolo Pancotto, Ilaria Bernardi, Raffaella Perna, Paolo Bolpagni, Gaspare Luigi Marcone e altri ancora».

Quali sono i tuoi riferimenti critici?

«Vengo da una formazione arganiana, per me la critica resta una forma di militanza e di… ideologia. Si può dire ideologia?».

CRAC Puglia, Centro Ricerca Arte Contemporanea, Taranto

La mostra di un altro collega che avresti voluto curare?

«Ammetto di aver provato invidia per la grande disponibilità di mezzi che Eugenio Viola ha avuto a disposizione in quest’ultima Biennale. Ma non avrei voluto curare una mostra di quel tipo. Avrei voluto curare la mostra – assolutamente perfetta – che Carlos Basualdo ha proposto a Punta della Dogana con un immenso Bruce Nauman».

Quale ritieni che sia il tuo più grande limite professionale?

«Mi sono molto impigrito dopo il Covid. Non sono mai stato un globe trotter e questo sì, è un limite su cui lavorare ancora di più nei prossimi anni».

Progetti in corso e prossimi?

«Mentre inizio a lavorare alla seconda edizione della rassegna Nucré a Ceglie Messapica, che quest’anno ha visto migliaia di visitatori, vi invito alla mostra del prossimo Premio Pino Pascali del 2022, conferito a Nico Vascellari. Inauguriamo il 9 dicembre prossimo in Fondazione Pascali a Polignano a Mare. Il 10 invece inauguriamo Winfred Gaul al CRAC di Taranto di cui sono direttore artistico. Sarà un bellissimo week end in Puglia».

Winfred Gaul, Oggetto mistico, 1961, Courtesy Galleria Peccolo, Livorno

Chi è Roberto Lacarbonara

Roberto Lacarbonara (Bari, 1981), giornalista e curatore di arte contemporanea, opera in Italia, è Direttore artistico del museo CRAC Puglia – Centro Ricerca Arte Contemporanea (Taranto) e dell’Archivio Storico Nazionale del Progetto d’Artista. Young curator per la Fondazione Mu­seo Pino Pascali, docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Lecce. Tra i recenti saggi e monografie ha pubblicato: “Giuseppe Capogrossi e l’architettura” (Silvana Editoriale, 2022); “Luciano D’Alessandro. L’ultimo ide­alista” (Postcart Edizioni, 2021); “Passages/Paysages” (Mimesis, 2020); “Fondazione Biscozzi Rimbaud. Una Collezione” (Silvana Editoriale, 2020); “Pino Pascali. From Image to Shape”, Catalogo della mostra a Palazzo Cavanis in occasione della 58 Biennale Arte di Venezia 2019; “Carlo Lorenzetti. Piegare la Luce” (2019); “Pino Pascali. Fotografie” (Postmedia Books, 2018), “Super. Pino Pascali e il sogno americano” (Skira 2018). Collabora con il quotidiano La Repubblica, con il periodico, Espoarte e con Sky Arte.

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