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Il murale antifascista di Philip Guston e Reuben Kadish risorge in Messico
Arte contemporanea
Tra le architetture coloniali di Morelia, una delle città simbolo della guerra di indipendenza del Messico contro il dominio coloniale spagnolo, una parete lunga 12 metri torna a parlare con la forza delle immagini. Dopo decenni di oblio, The Struggle Against Terrorism, La lotta contro il terrorismo, il murale realizzato nel 1934 da Philip Guston e Reuben Kadish, è stato restaurato e restituito al pubblico, riemergendo in un momento storico in cui le sue inquietanti profezie sembrano ancora attuali.
Questa monumentale opera murale si inscrive nel solco della grande tradizione del muralismo messicano ma la sua iconografia si spinge oltre i confini nazionali, intrecciando storia e politica globali. Gigantesche figure avanzano in un affresco della persecuzione e della resistenza, dalla crocifissione di Cristo alla Santa Inquisizione, fino alle effigi del Ku Klux Klan – soggetto ricorrente nelle opere di Guston – e ai simboli del nazismo. Un’opera che, nel suo impeto espressionista, non lascia scampo all’indifferenza e che, dopo quasi un secolo, risuona con una drammatica attualità.

Due giovani americani e il sogno messicano
Guston e Kadish, entrambi ventunenni, arrivarono in Messico nel pieno della loro formazione artistica. La loro presenza a Morelia, a partire dal 1934, è legata alla figura di David Alfaro Siqueiros, tra i pionieri del muralismo rivoluzionario, che li incoraggiò a misurarsi con la scala monumentale della pittura murale e li invitò a realizzare un’opera in un maestoso edificio coloniale, allora di proprietà dell’Università di St. Nicholas.
Dopo la rivoluzione messicana (1910-1920), artisti come Siqueiros e Diego Rivera concepirono il muralismo come uno strumento pedagogico, capace di raccontare la storia alle masse, rendendole esse stesse protagoniste della narrazione, attraverso immagini dal respiro epico. Il rettore dell’università di Morelia, Gustavo Corona, sognava di trasformare la città nella “Firenze del Messico” e incoraggiò diversi artisti a dipingere le pareti del complesso coloniale che ospitava l’ateneo.

Per Guston e Kadish fu un’opportunità irripetibile: poter lavorare senza vincoli su una parete di oltre 90 metri quadrati. Come figli di immigrati ebrei scampati alle persecuzioni, erano profondamente preoccupanti dall’ascesa del fascismo e del nazismo in Europa e negli Stati Uniti, così come dagli episodi di razzismo a cui avevano assistito nella loro giovinezza a Los Angeles. Nel corso di 180 giorni e con l’assistenza del poeta e critico d’arte Jules Langsner, Guston e Kadish avrebbero completato un’opera imponente e visivamente sbalorditiva in puro affresco.
È plausibile che Guston e Kadish abbiano adottato la teoria della poliangolarità di Siqueiros per il murale, impiegando questa tecnica per creare un effetto visivo quasi cinematografico. Disperdendo una rete di punti di fuga lungo l’estesa superficie della parete, i due artisti imbastirono una composizione dinamica, capace di coinvolgere e catturare lo sguardo dello spettatore. Nel definire l’impianto visivo dell’opera, Guston e Kadish sublimarono varie influenze, intrecciando elementi del Surrealismo e del Futurismo con la monumentalità e la solennità degli affreschi rinascimentali italiani.
Il loro soggiorno a Morelia durò sei mesi ma di quel periodo restano pochissime tracce: qualche fotografia dei due artisti al lavoro e poche testimonianze scritte. E poi, il silenzio.

Nascosto, dimenticato, riscoperto
A pochi anni dalla sua realizzazione, il murale di Guston e Kadish si trovò al centro di un curioso episodio di censura. Negli anni ’40, il direttore di un museo, che nel frattempo aveva prese sede nell’edificio, voleva ottenere una tela di proprietà della Chiesa, che accettò di dare l’opera ma a una condizione: che il murale venisse coperto. Motivo? La presenza di figure femminili nude e di una croce rovesciata, simbolo ritenuto scandaloso.
Fu così che The Struggle Against Terrorism venne sigillato dietro una parete fittizia e dimenticato. Solo 30 anni dopo, durante lavori di manutenzione, si scoprì l’esistenza di una parete posticcia. Quando venne rimossa, il murale tornò alla luce ma in condizioni critiche: danneggiato dall’umidità e coperto di sporco. Eppure, paradossalmente, l’occultamento l’aveva preservato dall’usura del tempo.

Un monito senza tempo
Il restauro, durato due anni e fortemente voluto dalla Guston Foundation, in collaborazione con il Ministero della Cultura messicano e con l’Istituto nazionale di belle arti e letteratura e l’Istituto per la conservazione delle opere murali, ha restituito all’opera la sua potenza originaria. E sembra chiudere un cerchio drammatico. Il messaggio antifascista del murale risuona con particolare urgenza in un’epoca segnata da rigurgiti autoritari sempre più inquietanti.

«Quando ho visto il murale per la prima volta, nel 2006, la sua antica potenza poteva solo essere immaginata», ha raccontato Musa Mayer, figlia di Philip Guston. «Sono profondamente grata a tutti coloro il cui diligente lavoro ha riportato in vita questa straordinaria opera giovanile. Il suo messaggio è rilevante oggi come lo era 90 anni fa».
«Talvolta le stelle si allineano, 90 anni dopo siamo fondamentalmente nella stessa situazione», ha commentato Sally Radic, direttrice della Philip Guston Foundation. «Ma questo dipende dal proprio punto di vista politico».