03 novembre 2020

Il museo del futuro è ibrido. Intervista a Peter Weibel

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Intervista al direttore del Zentrum für Kunst und Medientechnologie di Karlsruhe, per capire quali sono le strategie future da adottare per i musei e a che punto è la ricerca nell’ambito dell’arte e dei nuovi media nell'epoca del digitale pandemico

Veduta esterna notturna © ZKM | Center for Art and Media Karlsruhe. Foto Uli Deck

Il Zentrum für Kunst und Medientechnologie di Karlsruhe in Germania è stato fondato nel 1989 con l’obiettivo di “traghettare” l’arte visiva nell’era digitale. È uno degli spazi dedicati all’arte e alle nuove tecnologie più sperimentale e prestigioso a livello mondiale che, attraverso connessioni interdisciplinari, combina ricerca e produzione, mostre e performance, una vasta collezione di arte multimediale, un ricco e prezioso archivio, e una serie di simposi che uniscono arte, filosofia, scienza, tecnologia e politica. Per questa ragione e per il fatto di analizzare gli effetti della digitalizzazione e della globalizzazione sulla società contemporanea, il suo fondatore, Heinrich Klotz, l’ha ribattezzato col nome di “Bauhaus elettronico”. Dal 1997 il centro è ospitato in un ex edificio industriale tutelato e riconvertito, chiamato Hallenbau A, costruito tra il 1915 e il 1918. Alla sua guida, a partire dalla fine degli anni Novanta, in qualità di direttore artistico/scientifico e presidente, vi è l’artista, curatore e teorico dei media Peter Weibel che l’ha, a sua volta, rinominato la “Mecca of Media Arts”. Lo abbiamo intervistato per capire come il suo centro, in una società iperconnessa, ha reagito al lockdown e alla pandemia globale, quali sono le strategie future da adottare per i musei e a che punto è la ricerca nell’ambito dell’arte e dei nuovi media.

Peter Weibel © ZKM | Center for Art and Media Karlsruhe. Foto Andrea Fabry

Intervista a Peter Weibel

Il Covid-19 ha spinto molte istituzioni pubbliche e private a “investire” di più nel digitale. Molte fiere d’arte hanno adottato le Online Viewing Rooms (OVR), alcuni musei hanno implementato interfacce online più interattive e tour virtuali e numerose gallerie private hanno proposto opening digitali. Come ha risposto il ZKM al lockdown e alla pandemia?
Con il lockdown di marzo, il ZKM ha raccolto la sfida non solo di mantenere il contatto con i suoi visitatori, ma di aprire nuove vie e accessi ai contenuti culturali del centro. Il festival di quattro settimane Feminale ha segnato l’inizio, onorando compositrici di spicco che sono ancora sottorappresentate nelle sale da concerto. Nello spazio digitale, il ZKM è stato in grado di contribuire al riconoscimento dei loro successi musicali e ha presentato quotidianamente due compositrici femminili con alcuni esperti, dalle prime rappresentanti come Francesca Caccini (1587-1640) a compositrici contemporanee come Rebecca Saunders (* 1967). La mostra “bauhaus.film.expanded”, inaugurata poco prima del blocco, ha mostrato 60 film fino ad allora sconosciuti ed è andata online senza indugi. In più di dieci conversazioni online con il curatore, gli esperti hanno spiegato il background delle creazioni e gli eventi al Bauhaus dell’epoca. Numerosi altri eventi come The Museum of the Future is no longer a Museum o diverse attività in rete come WednesdAI si sono concentrati principalmente sulla partecipazione. Non volevamo solo trasmettere, volevamo entrare in contatto con i nostri visitatori. Siamo riusciti a farlo attraverso i numerosi canali utilizzati. Un punto culminante, tuttavia, è stato “Critical Zones. Horizons of a new earth policy”. Sebbene l’installazione chiave della mostra prevista nell’area d’ingresso fosse stata completata in tempo — nonostante le circostanze avverse — con l’aiuto degli artisti parigini, nessun visitatore è potuto entrare nel museo. Per questo motivo, in circa cinque settimane è stata creata una piattaforma digitale per riunire le opere digitali della mostra e ogni accesso cambiava lo spazio espositivo virtuale: ogni visita a questa mostra non è mai la stessa. Per portare all’attenzione delle persone il tema di grande attualità della sostenibilità e della politica della terra e per stimolare un dibattito intenso è stato ideato un format che trasmettesse la conoscenza e allo stesso tempo consentisse uno scambio: una combinazione di un opening di una mostra con tour virtuali, un simposio, proiezioni di film, rappresentazione di uno spettacolo e discussioni. L’ultimo fine settimana di maggio, il ZKM ha poi vissuto la prima maratona trasmessa in diretta nella sua storia trentennale. Il filosofo e co-curatore francese Bruno Latour e con lui gli scienziati e gli artisti collegati in diretta da tutto il mondo hanno discusso della necessità di una nuova politica della terra con visitatori virtuali internazionali. Circa 35mila spettatori provenienti da USA, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Germania ovviamente, ma anche Corea del Sud e Cina hanno seguito il programma dal vivo del ZKM. Oltre mille partecipanti al Gruppo Telegram di “Critical Zones” hanno accompagnato per 72 ore l’intero festival attraverso il canale Messenger e lo hanno arricchito con stimolanti riflessioni, discussioni e suggerimenti. Certamente l’esperienza dei visitatori è stata diversa da quella sul posto, eppure il feedback è stato assolutamente positivo.

Veduta esterna con il padiglione sonoro The Morning Line dell’artista Matthew Ritchie e degli architetti Aranda Lasch e Arup AGU © ZKM | Center for Art and Media Karlsruhe. Foto Achim Mende

Quali pensa siano le strategie per il futuro?
Nella metà del XIX secolo con l’invenzione del telefax (1843) e successivamente con la tecnologia di trasmissione wireless, per la prima volta nella storia dell’umanità il messaggero è stato separato dal messaggio. Prima di allora, quando volevi inviare un messaggio, avevi bisogno di un corriere: un soldato, un animale, una nave e così via. Una lettera doveva essere trasportata dal postino, dal corriere. Con l’avvento delle telecomunicazioni e della trasmissione senza fili, i segnali potevano viaggiare da soli, non avevano più bisogno del corpo di un vettore. Quando faccio una telefonata a Roma, il mio corpo rimane a Karlsruhe e il corpo del ricevitore rimane a Roma, ma possiamo comunque comunicare senza muovere i nostri corpi, perché i segni viaggiano con onde elettromagnetiche invisibili. Con la tecnologia delle telecomunicazioni stiamo costruendo una tele-società, in cui le persone non hanno bisogno e non dipendono dalla vicinanza della comunicazione faccia a faccia. Una società, in cui la comunicazione è agita dal corpo accanto al corpo, la chiamo società della prossimità. Una società senza corpi come messaggeri di comunicazione, la chiamo tele-società. Nel Ventunesimo secolo con i social media e gli smartphone siamo entrati completamente nell’era della tele-società. Le persone comunicano quasi sempre e ovunque solo tramite lo scambio di segni senza il trasporto corporeo di messaggi. Ma le persone vivevano in questa tele-società senza esserne consapevoli. Avevano ancora la sensazione di vivere in una società di prossimità. Ma la crisi dovuta al Covid-19 ha detto loro la verità, costringendoli ad accettarla. L’ordine del distanziamento sociale è precisamente il divieto del faccia a faccia e di altre forme di comunicazione corporea. Ora, le persone sono costrette a utilizzare strumenti di conferenza digitali, telefonate e tutti gli altri mezzi di telecomunicazione. Senza l’avvento e gli sviluppi degli strumenti della telecomunicazione, la comunicazione crollerebbe completamente nell’era del distanziamento sociale, dove non è consentito vedersi di persona. La crisi del Codiv-19 ci ha costretti ad andare avanti nella società digitale della telecomunicazione. Ci stiamo avvicinando alla fine della società della prossimità nello spettacolo, nello sport, nella cultura. Il pubblico di massa non sopravvivrà così come il turismo di massa e altre forme di mobilità di massa. La cultura deve espandersi in estensioni digitali, in dipartimenti digitali, in attività digitali. I musei diventeranno i rivali dei servizi di streaming (Netflix e altri) e delle trasmissioni televisive. Le strategie per il futuro si basano su eventi e formati ibridi. I musei possono ancora rimanere come istituzioni per incontri fisici, ma devono diventare anche piattaforme per incontri virtuali.

Charlie Brooker, creatore della serie “Black Mirror”, ha detto che voleva fermarsi un attimo perché la realtà è oggi più distopica della finzione. Che cosa ne pensa?
Charlie Brooker ha ragione. La bussola classica, le coordinate classiche per l’orientamento nel mondo, come la verità e la realtà non funzionano più. Abbiamo esperienza che molti presidenti sono diventati presidenti grazie alle loro bugie, alla loro immoralità, al loro rifiuto della realtà. Dal sistema finanziario ai sistemi politici osserviamo l’esodo dalla realtà verso il regime della finzione. Possiamo confrontare la relazione delle mappe con la terra con la relazione dei media con la realtà. Le mappe rappresentavano il territorio in modo più o meno corretto e veritiero. Ma i media non rappresentano la realtà nel modo in cui una mappa rappresenta la terra. I media non simulano più la realtà, i media non sono una mappa. I media oggi costruiscono la realtà. La maggior parte di ciò che sappiamo della società e della natura, lo sappiamo da e attraverso i media. Allo stesso tempo, sappiamo che non possiamo fidarci dei media. Ciò significa che dobbiamo imparare a diffidare della nostra percezione che dipende dai media. Questo doppio legame con i media è il difetto sistemico della società contemporanea. Il prezzo da pagare per questo difetto sono democrazie difettose e teorie cospirative. Questi momenti distopici di oggi non sono fallimenti. Sono effetti di sistema. Potremmo sbarazzarcene solo se fossimo in grado di cambiare i nostri sistemi sociali e i nostri media. Il tempo dell’utopia è finito. Non c’è più posto per l’utopia. Tutti i luoghi del mondo vengono visitati. Non c’è più un pulsante di fuga per un’isola utopica. Non possiamo nemmeno sfuggire al pianeta Terra, a quest’ultima utopia. Dobbiamo convivere con la distopia, con il terrore, con l’inquinamento, con il riscaldamento globale, con l’entropia. Dobbiamo imparare a sopravvivere in un universo entropico. La celebre frase alle porte dell’inferno nella Divina Commedia (Inferno III) di Dante “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate” è ora scritta sulla porta della nostra società.

Veduta esterna notturna © ZKM | Center for Art and Media Karlsruhe. Foto Achim Mende

Mai come oggi Internet, la tecnologia e i social media giocano un ruolo importante. Quali sono i pro e i contro secondo lei?
Mi chiede qual è la mia opinione su Internet e sui social media. La mia risposta è proprio la sua domanda, il ruolo dell’opinione. La parola greca per opinione è doxa e Internet e i social media consentono ora a centinaia di milioni di persone di pubblicare le proprie opinioni. Prima di Internet e dei social media esisteva un filtro per l’opinione di tutti: TV, radio e giornali aprivano le porte alle opinioni private solo ai professionisti, ai giornalisti più o meno professionisti. Le persone potevano partecipare al dibattito pubblico solo una volta alla settimana sulla pagina del giornale dedicata alle risposte dei lettori. Con i social media milioni di persone partecipano alla sfera pubblica. Ora, l’opinione privata ha valore. Quello che abbiamo quindi è il governo basato sullo scambio di opinioni private. Per le opinioni abbiamo una “legge” scoperta nel 1956 da Leon Festinger: la teoria della dissonanza cognitiva secondo la quale l’individuo sopprime qualsiasi informazione che causa dissonanza nel cervello e abbraccia con entusiasmo qualsiasi informazione che causa armonia nel cervello e conferma la cara opinione. Ora, con l’esistenza dei social media, chiunque può cercare e ricercare qualsiasi opinione che confermi la propria opinione. Invece di verità e informazioni ora abbiamo un’opinione. Con la legge della dissonanza cognitiva è difficilmente possibile cambiare l’opinione di razzisti, omofobi o fondamentalisti. Con il mare aperto dei social media, abbiamo generato una piattaforma di opinioni simile all’oceano. Ora le opinioni regnano. Non viviamo più in una democrazia, stiamo vivendo in una doxacrazia. Ancora peggio: viviamo nell’ortodossia. La correttezza politica è il termine eufemistico per una nuova ortodossia, che è estremamente illiberale, intollerante e dogmatica. La legge della dissonanza cognitiva rende quasi impossibile l’educazione di persone supponenti. Pertanto, dobbiamo inventare nuovi strumenti di insegnamento nell’educazione che si basano proprio sulla tecnologia digitale. Potremmo fare un uso umano di Internet se cambiassimo le regole del gioco. Il primo passo sarebbe distruggere i Big Five perché i dati che li rendono miliardari sono nostri, sono di nostra proprietà, appartengono alle persone. Creiamo i dati, è il nostro lavoro da cui traggono il loro profitto, che è un’attività completamente illegale. Tutti coloro che usano i social media vengono sfruttati. Dobbiamo fermare questo sfruttamento da parte dei Big Five.

Qual è lo stato attuale della new media art?
Il XIX secolo ha creato macchine di movimento come la ferrovia, l’automobile, la bicicletta, ovvero una tecnologia di movimento su ruote. Il XX secolo ha creato mezzi di movimento come il cinema e il video, che all’inizio erano anche basati su telecamere e proiettori contenenti ruote. Il XXI secolo creerà bio-media che sono caratterizzati da un comportamento simile al vissuto. Questo nuovo stato dell’arte dei media fa parte di un Rinascimento 2.0. Dobbiamo creare nuove istituzioni, nuove alleanze per questo ramo emergente della new media art, perché i musei e il mercato non sono disposti ad accettare questa evoluzione dell’arte.

Sta pianificando mostre, eventi o incontri (digitali o meno) al ZKM che testimoniano il momento che stiamo vivendo?
La mostra “Critical Zones” è una testimonianza convincente del fatto che il modo in cui abbiamo vissuto in passato non è più possibile. L’attuale pandemia è direttamente correlata a questo. La mostra ci invita ad affrontare in vari modi la situazione critica della Terra e ad esplorare nuove modalità di convivenza tra tutte le forme di vita. Ormai tutti sanno che esiste una minaccia alle nostre condizioni collettive di esistenza, ma pochissime persone hanno idea di come affrontare questa nuova situazione critica. I cittadini di molti paesi sviluppati appaiono disorientati; è come se venisse chiesto loro di atterrare su un nuovo territorio — una nuova Terra — di cui hanno ignorato a lungo le reazioni. L’ipotesi che la mostra vuole proporre è che il modo migliore per mappare questa nuova Terra sia vederla come una rete di zone critiche. Generate nel corso di eoni di tempo da varie forme di vita, queste zone critiche formano una superficie sottile solo pochi chilometri. Quelle forme di vita avevano completamente trasformato la geologia originale della Terra, prima che l’umanità la trasformasse ancora una volta negli ultimi secoli. Sempre più scienziati, artisti, attivisti, politici e cittadini si stanno rendendo conto che la società non è incentrata esclusivamente sull’umanità, ma deve ridiventare “terrena” se desidera atterrare senza schiantarsi. Il progetto moderno è stato nel volo, indifferente ai limiti planetari. All’improvviso, c’è un movimento generale verso il suolo e una nuova attenzione ai modi in cui le persone potrebbero abitarlo. La POLITICA non riguarda più gli umani che prendono decisioni da soli e solo per se stessi, ma è diventata un’impresa immensamente più complessa. Sono necessarie nuove forme di cittadinanza e nuovi tipi di attenzione e cura per le forme di vita per generare un terreno comune. La mostra è accompagnata da un programma digitale completo che mira ad aiutare a riflettere sulla situazione attuale e quindi a localizzarla. Il museo della “centrale sociale” ha il potenziale per essere trasferito nello spazio digitale. Pertanto, gli spazi digitali virtuali possono essere utilizzati indipendentemente dalla posizione come uno spazio esteso e un mezzo per l’informazione, l’interazione e l’istruzione. Diverse forme di comunicazione online possono essere trasferite direttamente ai formati di mediazione museale offrendo la possibilità di espandere l’accesso e trasformare il museo in una comunità open source in cui le persone possono espandere e rafforzare apertamente e congiuntamente le proprie competenze per agire in modo più creativo e consapevole. Non si tratta mai di sostituire l’incontro fisico e l’esperienza fisica, ma è necessario ampliare l’accesso e dare forma ad esperienze nuove e diverse. Il futuro del ZKM è ibrido. Pertanto, la nostra mostra attuale “Critical Zones” (in corso fino all’8 agosto 2021 ndr) e le prossime “Bio-Media and The Origins of Life” e “Renaissance 2.0” sono precisamente il riflesso del momento che stiamo vivendo.

Ha qualche lettura da consigliarci per capire meglio il nostro presente e cosa dobbiamo aspettarci dal futuro?
Suggerisco Novacene. L’età dell’iperintelligenza di James Lovelock (tradotto e pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri ndr).

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