25 aprile 2025

Liberazione, resistenza, oppressione. Cosa resta del 25 aprile

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In un momento storico in cui la guerra, mondiale, dilaga a pezzi, ricorre l’ottantesimo anniversario della liberazione d'Italia dall'occupazione nazista e dal fascismo, a coronamento della resistenza italiana al nazifascismo. Noi vi proponiamo di celebrarlo con una (breve, e non esaustiva) galleria di immagini che portano il peso del nostro passato

Jannis Kounellis, Resistenza e Liberazione, 1995, Padova

Che cosa è il fascismo. No, non è soltanto una riflessione, quanto mai urgente e attuale. Che cosa è il fascismo è una storica performance di Fabio Mauri, presentata per la prima volta il 2 aprile 1971 negli Studi Cinematografici Safa Palatino in Roma con la partecipazione degli allievi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, a conclusione del seminario “Gesto e comportamento nell’arte oggi” curato da Giorgio Pressburger. «Lo spunto – ricorda Dora Aceto –  è il ricordo della visita di Hitler a Firenze nel 1938, in occasione della quale la squadra di Bologna di cui fa parte Fabio Mauri con l’amico Pier Paolo Pasolini, Fabio Luca Cavazza e altri, vince la competizione intellettuale giovanile. L’azione consiste nella ricostruzione dei ‘Ludi Juveniles’. Si susseguono saggi ginnici, incontri di scherma, esibizioni di pattinaggio, sbandieramenti, inni e dibattiti individuali sulla Mistica di Regime». 

Fabio Mauri, Che cosa è il fascismo, 1971. Courtesy Studio Fabio Mauri, Roma
Fabio Mauri, Che cosa è il fascismo, 1971. Courtesy Studio Fabio Mauri, Roma

In questo spirito anche Anselm Kiefer negli anni ’60 creò una serie di fotografie che lo ritraggono mentre fa il saluto hitleriano davanti a vari monumenti storici e paesaggi romantici. In occasione della sua mostra di laurea all’Accademia di Belle Arti di Karlsruhe, nel 1969, Kiefer organizzò le fotografie in un libro che intitolò ironicamente Heroische Sinnbilder (Simboli eroici). Il titolo è tratto da un articolo pubblicato nel 1943 sulla rivista del Partito Nazionalsocialista Die Kunst im Deutschen Reich (L’arte nel Reich tedesco), in cui si parlava dell’importanza vitale dell’arte nel rappresentare l’eroismo tedesco del passato ai tedeschi contemporanei. Qui, la figura di Kiefer che saluta appare alla stessa altezza della rovina classica nel paesaggio alle sue spalle, ridicolizzando le manie di grandezza dei nazisti. Anche Giovanni Morbin, in occasione della sua mostra personale a Rijeka nel 2014, presentò la performance Something Else, nella quale durante la quale passeggiava per le strade della città, costretto e sostenuto da un gesso nella posizione del saluto fascista, offrendo così il suo corpo al gesto come molti in passato e nel presente decidono di fare. 

Anselm Kiefer, Heroische Sinnbilder, 1969. Courtesy Anselm Kiefer
Giovanni Morbin, Something Else, 2014. Rijeka

Da un lato dunque troviamo Kiefer, che non vuole lasciar seppellire nel dimenticatoio quella vergogna, quella infamia collettiva, che non vuole cancellare la macchia del nazismo dalle coscienze e anzi, vuole tenerla ben presente per serbare la memoria della guerra e dell’Olocausto, dall’altra invece Mauri: in lui la storia del fascismo si è sovrapposta alla memoria dell’infanzia e dell’adolescenza, portando con sé «una nota di nostalgia per la giovinezza, e di rancore, per averla dovuta vivere in una scena mitica, vuota e cieca», come affermò lui stesso, che ricorse (anche) alla performance per affrontare il problema individuale e collettivo, personale e politico, della memoria e della storia del XX secolo italiano. «In Che cosa è il fascismo il contrasto tra l’apparente normalità degli eventi e la presenza di segnali negativi genera un senso di inquietudine progressiva e di evidenza dell’improntitudine mortale della Bugia di Stato così come dell’ottimismo infondato di un popolo, anzi di due». 

Come loro, così furono e sono molti gli artisti impegnati nell’affrontare il peso del passato fascista, più letteralmente, come per esempio hanno fatto Renato Guttuso, Emilio Vedova e Aligi Sassu, o per le vie di un’interpretazione più ampia, come Kara Walter e Shirin Neshat, Lida Abdul o Regina José Galindo, che riflette una quanto mai urgente e attuale lotta contro l’oppressione in diverse forme e in diversi contesti. 

Renato Guttuso, Crocifissione, 1940-41. Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma
Renato Guttuso, Gott mit Uns, 1978-81

Renato Guttuso per esempio, che nel 1941 dipinse la Crocifissione – affermando «Voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena di oggi … come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio, per le loro idee… le croci (le forche) alzate dentro una stanza. I soldati e i cani – le donne scarmigliate, discinte, piangenti, al lume di candela (la candela di Guernica?). Gente che entra ed esce… oppure puntare sul contrasto. Il supplizio tra il popolo con giocolieri e soldati – circo e massacro – al sole con l’uragano che arriva» – dedicò alla lotta partigiana un’importante testimonianza. La sua Gott mit Uns (che si traduce con “Dio è con noi” ed era la scritta incisa sulla fibbia d’acciaio dei soldati nazisti e delle SS) è, in proposito, una serie di disegni e acquerelli che racconta la militanza e l’impegno ideologico di chi si è battuto per la liberazione, prendendo posizione contro ogni forma di dittatura. Anche Emilio Vedova, che fu Partigiano durante la Resistenza con il nome di Barabba, ha saputo trasporre la drammaticità dell’esperienza nelle sue tele: Morte di un partigiano è al contempo omaggio e testimonianza potente della lotta partigiana. 

Emilio Vedova, tessera partigiano della brigata Fratelli Bandiera. CPurtesy Fondazione Emilio Vedova
Emilio Vedova, Morte di un partigiano, 1945

Anche Armando Pizzinato, come Vedova, fu Partigiano – sue sono opere come Un fantasma percorre l’Europa, che allude alle tensioni politiche del dopoguerra, e Liberazione di Venezia, che celebra la fine dell’occupazione – e come loro Aligi Sassu fu progressivamente impegnato nell’impegno antifascista. Arrestato nel 1937 insieme ad altri artisti suoi compagni, Franchina, Grosso, Joppolo, Migneco e Birolli, per sovversione contro lo stato, fu condannato a dieci anni di reclusione, ma il 27 luglio del 1938 ottenne la grazia dal re su richiesta di suo padre Antonio. Nel 1975 realizzò la litografia Liberazione: 25 aprile (La) per commemorare la caduta del fascismo e le speranze di pace e le aspirazioni di libertà di milioni di italiani appena usciti dalla tragedia della guerra.

Armando Pizzinato, Un fantasma percorre l’Europa. Courtesy Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, Venezia
Aligi Sassu, Liberazione: 25 aprile (la), 1975

Vent’anni dopo Sassu, nel 1995, anche Jannis Kounellis fu autore di un’opera – restaurata nel 2021 con il sostegno della Fondazione Alberto Peruzzo – che commemorava le vicende eroiche di Ezio Franceschini, Concetto Marchesi e Egidio Meneghetti, tre professori dell’Università di Padova protagonisti della Resistenza partigiana. Resistenza e Liberazione, questo il titolo, è stata realizzata con una serie di travi di legno che mostravano i segni del tempo, scheggiate, rovinate, di colori diversi, assemblate secondo una modalità già utilizzata a partire dagli anni ‘70 dall’artista. L’opera, incassata nella parete, si compone di stratificazioni irregolari che assumono una conformazione più lineare nella parte superiore. Jannis Kounellis ha raccolto vecchie travi di legno nei pressi della periferia della città con l’intenzione di conferire all’intero progetto un valore legato al territorio. A completare l’opera la bandiera della Repubblica Italiana, a ricordarci il valore, l’identità, la storia della Nazione e degli italiani. 

Jannis Kounellis, Resistenza e Liberazione, 1995, Padova

Solo qualche anno più tardi, nel 1998, Christian Boltanski realizzò Les Regards – nello stesso anno l’opera entrò a far parte della collezione permanente del MAMbo di Bologna – prendendo spunto dal Sacrario dei partigiani in Piazza Nettuno. L’artista, autore anche dell’opera autore dell’opera A proposito di Ustica, utilizzò le foto dei caduti – che nei giorni della liberazione dell’aprile 1945 furono collocate spontaneamente dai cittadini sul muro nel luogo in cui erano stati fucilati molti partigiani – isolò gli sguardi e li trasferì ingranditi su sottili fogli di poliestere. Il senso di leggerezza dato dal materiale e dal suggestivo allestimento crea uno stato di inquietante sospensione: questi occhi tornano a osservarci per poter sopravvivere nella forza del ricordo. 

Christian Boltanski, Regards, 1998. MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna. Courtesy Coop Editrice Consumatori
Christian Boltanski, Les Regards, 1998. Città metropolitana di Bologna, 2017

Mauri invitò Pier Paolo Pasolini a vedere una prova di Che cos’è il fascismo e Pasolini, in un articolo sul Corriere della Sera (Sfida ai dirigenti della televisione, 1973) scrisse alcuni anni dopo: «Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto la televisione), non solo l’ha scalfita ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre». Pasolini, che aveva individuato dei fascismi meta-storici che erano parte integrante della sua epoca, oggi cosa direbbe? Vorrei dire che oggi come oggi sarebbe di per sé un buon sintomo che ognuno rispondesse, liberamente e senza timore di censure, a questa domanda, non sbagliava Antonio Gramsci, purtroppo, e nemmeno Alfredo Jaar e rievocarlo: «Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri». 

Alfredo Jaar, Il vecchio mondo sta morendo, quello nuovo tarda a comparire, e in questo chiarascuro nascono i mostri, 2016. Courtesy l’artista e Galleria Lia Rumma
Zehra Doğan, 2020, Brescia. Courtesy Fondazione Brescia Musei

In questo chiaroscuro da Nord a Sud diversi Comuni italiani stanno vietando i cortei e, addirittura, di cantare Bella ciao – rifugiandosi (?) dietro un invito alla sobrietà in nome del lutto per la scomparsa di Papa Francesco, colui che però più di altri e coraggiosamente ci aveva ammoniti di come fosse meglio essere atei che andare in Chiesa e odiare gli altri. E invece è proprio Bella ciao cantanta, a mente o squarciagola, liberamente e senza censure, a condurci verso altre due artiste che in questa galleria non vogliamo trascurare. Zehra Doğan, impegnata umanamente e politicamente in materia di resistenza e liberazione – nel 2020 ha donato alla Fondazione Brescia Musei un’opera site specific, dedicata alla resistenza della città lombarda al Coronavirus – si ritrae in abito da infermiera utilizzando un fonendoscopio come fionda – e anche al fascismo: «Una mattina mi sono svegliato e ho trovato l’invasor», verso del celebre inno, compare infatti nell’installazione. Qualche anno più tardi, era il 2022, Marinella Senatore ci ha fatto tornare tutti insieme infanti e patrioti partecipando al coro dei bambini che fuori dalla SIAL, a Londra, hanno intonato Bella Ciao in occasione di Afterglow. 

Oggi, se in Sudan, in Mozambico, in Russa e in Ucraina, in Palestina, e in tutti gli altri angoli del mondo in cui la guerra dilaga, una mattina ci svegliassimo e trovassimo l’invasore, sapremmo tutti noi piantare fiori e custodire la liberazione dall’oppressione? Questo è l’augurio, buon 25 aprile. 

Marinella Senatore, Afterglow, 2022, Londra. Courtesy l’artista e Mazzoleni London – Torino

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