16 dicembre 2019

Viva la pittura e la porcellana: il 2020 di Fondazione Prada

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Presentato il nuovo programma espositivo di Fondazione Prada a Milano e Venezia: con Liu Ye, Gnoli, Kippenberger e un Peter Fischili curatore, la pittura torna al centro

Liu Ye Prelude , 2018 Acrilico su tela / Acrylic on canvas 40 x 30 cm Collezione Privata, Pechino / Private Collection, Beijing

Quello di Fondazione Prada sarà un 2020 dedicato alla pittura, in tutte le sue declinazioni stilistiche, cronologiche e geografiche, tra colori accesissimi e inquadrature enigmatiche, dalla Cina a un italiano di New York.

È stato appena annunciato, infatti, il programma espositivo del nuovo anno che porterà nelle sedi di Milano e Venezia non solo artisti da scoprire, come Liu Ye, e riscoprire, come Domenico Gnoli e Martin Kippenberger, ma anche curatori sui generis. Come Peter Fischli che, insieme a David Weiss – scomparso nel 2012 – ha formato il duo più pirotecnico dell’arte contemporanea (il riferimento è ovviamente al loro memorabile video Der Lauf der Dinge, del 1987). Fischli curerà una mostra in apertura alla Fondazione Prada di Venezia il 24 maggio 2020, dal titolo tanto programmatico quanto provocatorio, “Stop Painting”.

Il 2020 di Fondazione Prada inizia con l’arte cinese

Il 2020 sarà l’anno del Topo, secondo il calendario lunare cinese, quindi l’inizio di un nuovo ciclo. E così Fondazione Prada riparte con “Storytelling”, personale di Liu Ye a cura di Udo Kittelmann, in apertura il 30 gennaio e visitabile fino al 28 settembre 2020, presso la galleria Nord nella sede di Milano. Il progetto espositivo è stato presentato per la prima volta a Prada Rong Zhai a Shanghai nel 2018 e prosegue a Milano, con una selezione di 35 dipinti realizzati a partire dal 1992. Nato a Pechino nel 1964 e formatosi durante la Rivoluzione Culturale, la ricerca di Liu Ye si concentra sulla reinvenzione di un linguaggio pittorico, mediando tra i modelli culturali cinesi e occidentali, da Mondrian e Magritte a Freud e Nietzsche.

Liu Ye Bauhaus No.5 , 2018 Acrilico su tela / Acryl ic on canvas 15.1 x 20 cm Friedrich Christian Flick Collection

A Shanghai, le opere di Liu Ye, fiabesche ma a tratti inquietanti, riconoscibili per i colori puri e vivacissimi e per il tratto intensamente espressivo e narrativo, interagivano in modo armonico con gli arredi, le decorazioni e i colori originali della storica residenza del 1918, sede di Prada Rong Zhai. A Milano, invece, i dipinti svilupperanno un contrasto cromatico e materico con le pareti di cemento e l’architettura industriale di Fondazione Prada.

In contemporanea, sarà visitabile anche “The Porcelain Room – Chinese Export Porcelain”, una mostra curata da Jorge Welsh e Luísa Vinhais che esplora il contesto storico, la finalità e l’impatto delle porcellane cinesi da esportazione. Per l’occasione, saranno esposte 1700 opere di porcellana, realizzate tra il XVI e il XIX secolo per diversi mercati, gruppi sociali e religiosi.

Liu Ye Book painting No. 27(Franz Kafka, AMERICAN, KURT WOLFF VERLAG, Muenchen, 1927) , 2019 Acrilico su tela / Acrylic on canvas 26 x 16 . 5 cm Collezione privat a, Pec hino / Private Collection, Beijin

Viva la pittura kafkiana

Il 21 febbraio 2020, nella sede di Fondazione Prada Milano aprirà una mostra a dir poco kafkiana, se non sinestetica. Si tratta di “K. Martin Kippenberger’s The Happy End of Franz Kafka’s ‘Amerika’ accompanied by Orson Welles’ film The Trial and Tangerine Dream’s album The Castle”, ancora a cura di Udo Kittelmann. Quindi, ricapitolando, il lieto finale di K. Martin Kippenberger – K. ovvero l’agrimensore K. del Castello di Kafka – per Amerika di Kafka – opera incompiuta del grande scrittore praghese –, accompagnato dal film del Processo di Orson Welles  e dall’album The Castle – altro straordinario romanzo incompiuto di Kafka – dei Tangerine Dream. Insomma, c’è tutto.

Martin Kippenberger, The Problem Perspective, 2009 MOMA, New York

D’altra parte, Kippenberger, scomparso prematuramente nel 1997 a causa di un cancro, è stato riconosciuto come uno degli artisti tedeschi più talentuosi della sua generazione. E la sua attività, pur breve, è stata variegata e prolifica, tra installazioni ambientali e dipinti di grande impatto, tanto visivo quanto concettuale. Come nel caso di Prima i piedi, opera esposta nel 2008 in occasione di una mostra al Museion di Bolzano, che scatenò un accorato dibattito per questioni di presunta blasfemia.

Martin Kippenberger, Senza titolo, 1996

Il 23 maggio, a Venezia, sarà la volta di “Stop Painting”, a cura di Peter Fischli, mentre il 25 settembre 2020, ancora a Milano, una retrospettiva dedicata a Domenico Gnoli, a cura di Gemano Celant.

Domenico Gnoli, Waist Line

Tra gli artisti italiani più riconosciuti all’estero, in particolare in area anglofona, Gnoli nacque a Roma, il 3 maggio 1933 e, dopo due anni trascorsi Parigi, nel 1955 si trasferì a New York. Enigmatiche e severe ma anche ironiche e profondamente umane sono le sue opere, nelle quali particolari ravvicinatissimi del corpo e di oggetti di uso quotidiano si impongono sulla scena, come architetture razionaliste, esprimendo universi di significato oppure di silenzio. Dopo aver ottenuto un ampio riconoscimento, soprattutto per la sua attività di illustratore per alcune importanti riviste, morì di cancro, nel 1970, a soli 36 anni. A dire il vero, negli ultimi tempi diverse sono state le mostre a lui dedicate, come la personale del 2018 alla Luxembourg & Dayan di New York, mentre sue opere sono state inserite in varie edizioni delle Biennali di Venezia, del 2003, 2013 e 2015. Nel 2017, inoltre, un progetto espositivo presentato in occasione al Festival di Spoleto ha ricordato il suo lavoro per il teatro.

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