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Essere donne, artiste, madri, in Italia, ai tempi del Covid-19 è una sfida. E la colpa non è certo del virus, o almeno non solo. Questa situazione di emergenza ha reso evidente una lunga serie di criticità che affliggevano, da tempo, il sistema dell’arte. Problemi ai quali abbiamo dedicato un questionario – ne scriveremo in un approfondimento specifico – e che, spesso, assumono declinazioni di genere. «Siamo state spinte dall’emergenza Covid 19 ma alle spalle abbiamo 3 anni di condivisione e di incontri per discutere della situazione delle artiste madri, su cosa voglia dire essere madre e artista all’interno del sistema dell’arte italiano e internazionale, o a casa con i nostri figli e compagni. Sono stati incontri fatti per esplorare possibilità di azione e per sostenerci a vicenda», spiegano Sara Basta, Francesca Grossi e Vera Maglioni, che hanno scritto una lettera aperta a sostegno delle artiste visive e madri.
«Nonostante la maternità sia per noi un esperienza vitale, affrontiamo tante difficoltà concrete e pregiudizi su quello che questa condizione comporta. Intere generazioni di artisti prima di noi non hanno fatto figli perché credevano che questo sarebbe stato di intralcio alla loro carriera, perché in effetti fare l’artista e avere una famiglia sembra impossibile anche oggi. Sentiamo l’esigenza di manifestare il forte disagio che da anni proviamo ma anche il desiderio di dire che esistiamo e che essere artisti e genitori è possibile ma abbiamo bisogno di tutele e diritti», continuano le artiste che, in diverse occasioni, si sono occupate del rapporto tra la dimensione privata e lo spazio pubblico. La lettera è stata sottoscritta da circa 200 persone, tra docenti, artiste e artisti, curatrici e curatori, scrittrici e scrittori e tante altre professionalità che compongono il variegato mondo dell’arte e della cultura. Affinché essere donne, artiste e madri, in Italia, sia una opportunità.
Di seguito riportiamo il testo integrale della lettera scritta da Basta e Grossi Maglioni.
La lettera di Basta e Grossi Maglioni: «Siamo noi le vere mostre!»
«Siamo artiste visive, abbiamo molti anni di lavoro e di ricerca alle spalle, un’alta formazione accademica, e ci scontriamo con l’assenza di diritti su tutti i fronti. Siamo anche madri, e questo ci fa vivere un’ulteriore forma di disparità. Già prima della pandemia non avevamo la possibilità di accedere al congedo di maternità e di usufruire di quello parentale, di iscrivere figli e figlie ad asili nido e scuole dell’infanzia pubbliche, in quanto per lo Stato e le Istituzioni noi siamo “disoccupate”. Non abbiamo nessun sostegno in caso di malattia o infortunio, perché a differenza di quanto avviene in molti Stati europei in Italia la nostra categoria professionale non esiste.
Le nostre difficoltà quotidiane, in questo periodo di crisi sono diventate insostenibili. L’emergenza sanitaria ci ha esposto, come tante altre soggettività precarie, ad una grave insicurezza economica e sociale, rendendo evidenti i paradossi del settore culturale di cui facciamo parte. Abbiamo mutui per la casa e affitti da pagare, i costi degli studi in cui lavoriamo, ora disabitati, da sostenere e nessuna entrata su cui contare.
Come se non bastasse constatiamo che neanche in questa situazione veniamo considerate come professioniste, né dallo Stato e dalle altre Istituzioni pubbliche e tantomeno dal sistema dell’arte.
È sul lavoro di noi artiste e artisti che si basano le attività di tantissime persone impegnate nel settore culturale, eppure, quotidianamente ci confrontiamo con richieste di lavoro non retribuito.
Questo è un profondo problema culturale. Non lavoriamo per la nostra “visibilità” o per la tanto decantata retorica della “passione”, lavoriamo per portare avanti la nostra ricerca e vivere degnamente la nostra esistenza. Non si può sempre tagliare la voce di spesa relativa al compenso dell’artista. Non possiamo più permettere questo stato di sfruttamento.
In Italia non viene sostenuta la sperimentazione in campo artistico, ad esempio attraverso dottorati e assegni di ricerca. Non esiste alcun sussidio per gli artisti e le artiste visive nonostante la nostra peculiarità lavorativa che include lunghi periodi senza alcun guadagno e a differenza di altri paesi Europei non abbiamo nessun sistema contributivo. Non è accettabile che le Accademie di Belle Arti continuino a formare artisti e artiste, i musei a commissionarne le opere e le gallerie a venderle, se l’artista come figura professionale non è riconosciuta da nessuna parte.
Questa condizione di precarietà, per noi che siamo anche madri è sistematica.
Nell’assoluta mancanza di qualsiasi forma di tutela, la maternità rischia di costituire la negazione dell’operare artistico stesso. Il processo creativo è fatto di tempi e modi che non sono compatibili con la vita domestica perché ancora oggi il peso maggiore dell’accudimento e della gestione famigliare ricade sulle donne. Non si può pensare che si possa lavorare e occuparsi dei figli senza un giusto sostegno alla cura e alla ricerca da parte dello Stato e le Istituzioni.
Se molte colleghe hanno fatto della maternità un tema centrale del proprio lavoro, questa è la dimostrazione di quanto possa essere forte il desiderio di esistere e di creare e di quanto questa condizione possa arricchire la pratica artistica stessa.
In Italia c’è una grave disattenzione verso le necessità delle artiste madri. Non esistono sostegni specifici e mirati da parte di fondazioni, residenze per artisti o musei e a tutto questo si aggiunge la quasi totale mancanza di un adeguato spazio dato al dibattito di tutti questi temi. E’ un disinteresse che non possiamo più accettare.
Troppe volte siamo state escluse dai programmi di residenza perché incinte o con famiglia al seguito o abbiamo dovuto rinunciare ad incarichi importanti ad esempio nelle Accademie. Perché la maternità fa paura, perché va pagata, perché richiede attenzione e cura, perché cambia la nostra percezione del tempo, perché fa perdere il controllo sulle persone e sui corpi.
Vogliamo che l’attività artistica acquisti la legittimità di una categoria professionale, per uscire da una condizione di sfruttamento ed informalità e dalla diffusa percezione che sia un hobby, per privilegiati o folli, e non una vera scelta lavorativa. Vogliamo che ci venga riconosciuto il congedo di maternità e tutti gli altri ammortizzatori sociali previsti per le donne lavoratrici con figli. Vogliamo che le istituzioni dell’arte inizino a mettere in pratica quelle idee d’impegno sociale che fino ad ora hanno veicolato, attraverso le opere degli artisti e delle artiste, solo formalmente.
Immaginiamo un sistema solidale e collaborativo, in cui sia contemplato il tempo della maternità, come possibilità di scelta libera e incondizionata e in cui il tempo della ricerca sia considerato come momento imprescindibile alla produzione artistica.
Scriviamo come artiste madri, perché per noi l’essere madri disegna il perimetro di una lotta che riguarda tutte le genitorialità e anche chi i figli non li ha o non li vuole e crediamo che quando saranno garantiti i nostri diritti, lo saranno anche quelli delle altre soggettività discriminate.
Ci rivolgiamo alle nostre colleghe, ai nostri colleghi e alle persone con cui collaboriamo: è ora di cambiare il nostro sguardo. Lottiamo per avere delle relazioni di lavoro eque. Non accettiamo e non proponiamo lavori che non siano pagati.
Ci rivolgiamo al Governo, alle Istituzioni, e a tutti gli operatori culturali: è ora di riconoscerci».
Per sottoscrivere la lettera di Sara Basta, Francesca Grossi e Vera Maglioni, potete cliccare qui.
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