29 aprile 2021

Uno sguardo più ampio al PNRR

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Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza lanciato lunedì sta facendo discutere, ma è necessario definire alcune coordinate di base, che aiutino chi vuole approfondire il sistema. Ecco la nostra analisi

BEIC – Biblioteca Europea di Informazione e Cultura di Milano

In questi giorni si è discusso molto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, e molte sono state le interpretazioni che hanno guardato con “sufficienza” tale Piano, soprattutto con riferimento alle azioni intraprese nel novero dei comparti culturale e creativo. Pur non volendo contestare interpretazione alcuna, nell’interpretazione di un Piano così ampio è necessario definire alcune coordinate di base, dei “paletti”, che aiutino chi vuole approfondire il sistema di interventi individuati per poter maturare la propria personale opinione.
Al riguardo, un primo perimetro da segnalare è riconducibile ad una continuità di politica comunitaria, rappresentata in modo sensibile dalle Raccomandazioni del Consiglio Europeo, formulate sul programma di stabilità del nostro Paese. In tal senso va rilevato che, avendo ad oggetto una visione di “stabilità” economica, e tenendo conto del periodo (maggio 2020) in cui sono state indirizzate al nostro Paese, in tali raccomandazioni non si fa alcun cenno diretto alla cultura. Con ciò non si intende affermare che il più importante piano programmatico del nostro Paese debba proporre una serie di “ricette” destinate a soddisfare le richieste di Bruxelles. Ci si attiene semplicemente ai “fatti”.
Un secondo perimetro, o se vogliamo, un secondo strumento interpretativo del PNRR con riferimento alla “cultura” deriva invece da una riflessione legata alle dimensioni concrete della “cultura” nel nostro Paese (ma non solo). La dimensione culturale, infatti, non è avulsa dal resto del cosiddetto Sistema Paese: il nostro Patrimonio, infatti, è spesso affidato alla gestione (diretta e/o indiretta) delle Amministrazioni (centrali e/o territoriali), o ad altri soggetti strumentali. Al contempo, gli operatori che compongono la dimensione “non pubblica” del nostro sistema culturale, sono rappresentati da imprese, professionisti autonomi, enti del terzo settore. Tali organizzazioni coinvolgono, infine, i lavori dipendenti, più o meno stabili, con una condizione occupazionale di settore probabilmente ancora più critica di quanto possa essere osservabile negli altri comparti produttivi del nostro Paese.
Da queste premesse deriva, naturalmente, che le modalità attraverso le quali il PNRR creerà impatti sul nostro sistema culturale vanno ricercati, quindi, non solo nella dimensione “cultura”, come indicata all’interno del Piano, ma anche in quelle attività, e in quelle riforme, che riguardano altri aspetti. Nella valutazione degli impatti che il PNRR potrà avere sulla nostra cultura, non possono non essere considerati, ad esempio, gli interventi legati alla nostra PA: dalla riforma “recovery procurement platform”, alle modalità di accesso facilitato per l’acquisto di servizi ICT per la nostra Amministrazione, dall’incremento delle competenze in termini progettuali e in termini di dotazioni infrastrutturali, fino alla riforma che si pone come obbiettivo “la definizione di un nuovo piano dei conti unico per le pubbliche amministrazioni”. Questi sono tutti elementi che incidono, sebbene in modo “indiretto”, sul contesto economico e produttivo della cultura. Di conseguenza, almeno in parte, andrebbero considerati in “cultura” anche i circa 10 miliardi di euro che il Piano destina alla M1C1 “Digitalizzazione, Innovazione e Sicurezza nella Pubblica Amministrazione.

Stadio Artemio Franchi, di Pierluigi Nervi

Analogamente, vanno considerati anche gli effetti benefici che le altre introduzioni previste dal Piano possono presentare per il comparto: si pensi ad esempio alle opportunità (in termini di mercato) che l’estensione della velocità di banda e della cosiddetta 5G potranno avere sul mercato della creazione dei contenuti: infrastrutture attraverso le quali poter creare realmente un’interazione tra i cittadini (e i turisti) sul territorio, sviluppando logiche legate all’Internet of Things, o supportando servizi di mixed reality che allo stato attuale, sono spesso limitati anche dalla “lentezza” delle reti mobili in determinate aree.
Vanno altresì ben interpretate le politiche volte a stimolare l’internazionalizzazione delle nostre PMI, sia attraverso misure volte ad incrementare la presenza delle nostre imprese all’estero, sia attraverso la semplificazione del nostro sistema fiscale, che potrebbe favorire flussi di investimenti diretti esteri nei nostri territori e nelle nostre imprese, così come, soprattutto sul comparto creativo più attivo nel cosiddetto “Made in Italy” è lecito sperare che ci possano essere apporti significativi dalla riforma del sistema della proprietà industriale. Ancora da considerare, nel rafforzamento del nostro sistema culturale, gli effetti dell’estensione dei servizi di mobilità ad alta velocità anche per il Sud, che abbinati alle specifiche misure di incentivo per gli investimenti nelle regioni meridionali, all’incremento delle competenze, e al ricambio generazionale all’interno della Pubblica Amministrazione, possono “sbloccare” un’area geografica che presenta importanti margini di crescita (sia come domanda, che come filiera produttiva) legata alla cultura, alla creatività e al turismo.
Definiti questi aspetti, c’è ancora un’ultima prospettiva attraverso la quale guardare al rapporto tra il PNRR e il settore culturale: la dimensione immateriale.

progetto del Museo del Mediterraneo, waterfront di Reggio Calabria

Il nostro Patrimonio e il nostro sistema produttivo legato al mondo delle industrie culturali e creative si inseriscono, infatti, in un rapporto duale con una serie di valori intangibili, come l’innovazione, la coesione sociale, il sentimento identitario, la “cultura” personale e collettiva, la capacità di elaborare informazioni e trasformarle in conoscenza e via discorrendo. Tali valori, per il nostro comparto culturale (patrimonio e industria), sono insieme fattore produttivo e output, e talvolta ne rappresentano anche “il processo produttivo in sé”. Pertanto, pur non intervenendo direttamente sul comparto culturale, all’interno di questo schema vanno altresì inseriti anche parte degli interventi volti a favorire la coesione sociale, in primis quanto previsto dal PNRR in termini di rigenerazione urbana, come indicato dallo stesso PNRR, allorquando afferma che la cultura e lo sport sono strumenti formidabili per restituire alle comunità una identità e negli interventi di rigenerazione urbana e sociale previsti concorrono attivamente” (corsivo nel testo originale). Condizione che quindi ci dovrebbe portare ad affermare che all’interno del “budget” del PNRR della cultura, rientrano altresì gli effetti leva derivanti dai circa 17,17 miliardi di euro della Missione 5: Inclusione e Coesione, rientrano in essa “politiche attive del lavoro” (destinate a generare effetti, ad esempio, sui lavoratori stagionali e sui lavoratori del mondo dello spettacolo), “le infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore” e gli interventi speciali per la coesione territoriale, con la strategia nazionale per le aree interne, la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie, gli interventi socio-educativi per combattere la povertà al Sud sostenendo il terzo settore.
E ancora, non è possibile, nella valutazione del PNRR, non considerare i circa 32 miliardi di euro destinati alla Missione Istruzione e Ricerca, perché oltre alle ovvie “relazioni” che sussistono tra una popolazione con un maggior livello di istruzione e il potenziale incremento dei consumi culturali, tra le debolezze strutturali che questa missione intende mitigare presenziano elementi come lo skill mismatch, il basso livello di spesa in ricerca e sviluppo, il basso numero di ricercatori e la perdita di talenti, la ridotta domanda di innovazione e la limitata integrazione dei risultati della ricerca nel sistema produttivo, tutti elementi che, a ben vedere, affliggono, in un concorso di cause ed effetti, anche il nostro settore culturale. È in questo contesto, che vanno infine inseriti l’insieme di interventi raccolti nella definizione Turismo e Cultura 4.0.

Colombaia – Castello di mare – Torre Peliade, Trapani

È nell’insieme degli interventi e delle riforme, quindi, che vanno interpretati gli investimenti che il PNRR destina al Patrimonio Culturale per la Prossima Generazione (1,10 miliardi), alla Rigenerazione culturale di piccoli siti turistici e culturali, aree rurali e periferie urbane (2,42 miliardi) all’industria culturale e creativa 4.0 (0,16 miliardi), e al turismo 4.0 (2,40 miliardi).
Si badi bene, con ciò non si intende di certo fare un’apologia del PNRR: sicuramente alcuni aspetti potevano essere approfonditi con maggiore attenzione, e questo sarebbe successo se il segmento culturale fosse stato altrettanto attento durante le fasi di redazione del Piano come lo è stato durante le fasi della lettura. Ciò che si intende qui sottolineare è che è nella sostanziale modifica di scenario che il nostro settore culturale deve trovare le “opportunità” per incrementare il proprio “peso” all’interno del nostro sistema economico così come all’interno della vita quotidiana dei nostri concittadini.
Da anni gli esperti auspicano una sostanziale politica di riforme strutturali. Ora è arrivata. Sta a noi, e a nessun altro, comprendere come intercettare le opportunità per creare, attraverso la cultura, un valore aggiunto al settore e al Paese.

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